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IL PIANO DEL GOVERNO E LE POLEMICHE ANIMALISTE

Proteggere i Lupi. E i Pastori

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di: Franco Zunino
Quanti sono i lupi in Italia per davvero? La stima prudenziale di Franco Zunino, segretario Generale dell’associazione Wilderness Italia e conoscitore del lupo dell’Appennino italiano e del suo habitat, è superiore alle stime ufficiali. Questa è, allo stesso tempo, una buona notizia (le politiche di protezione hanno avuto successo) e allarmante (anche i pastori e gli armenti hanno bisogno di protezione). Senza misure di contenimento e rimborsi certi, la convivenza dei lupi con le comunità umane e le attività economiche fragili e rare della montagna diventa difficile. Ma, mentre il Piano del Governo viene aggredito dalle critiche animaliste, il bracconaggio passa sotto silenzio.


Non lo avevamo mai considerato tale, e forse qualcuno si era anche illuso che mai saremmo giunti a ritenere il Lupo un problema. Un problema lo era, ma per noi ambientalisti: quello di evitare di farlo estinguere, vista la riduzione che la popolazione aveva subito nel secolo scorso. E ci siamo riusciti, prima con una campagna in sua difesa, lodevole, sostenuta soprattutto dall’allora neo-nato WWF Italia e valorizzata dall’impegno profuso dal Parco Nazionale d’Abruzzo sotto la guida dell’allora brillante nuovo direttore Franco Tassi: “l’Operazione San Francesco” in difesa del Lupo si concluse con il decreto del1976 afirma dell’allora ministro Giovanni Marcora, che per la prima volta in Italia dava una protezione totale a quest’animale. Oggi il Lupo è di nuovo un problema, anche per noi ambientalisti: almeno in alcune zone, sono certamente troppi!

Allora si parlava di solo 100 lupi distribuiti in centro e sud Italia. A quell’epoca, a dire il vero, io già sostenevo che 100 lupi erano presenti nel solo Abruzzo e ristrette zone limitrofe; una tesi basata sulla mia esperienza in quel Parco ed in quella regione (dai 10 ai 20 erano allora i lupi stimati ufficialmente nel solo Parco: per la stessa area, dopo 30 anni, si parlava di circa 60).

Nel nostro emisfero il Lupo è forse l’animale con più capacità di sopravvivenza di ogni altro, orso bruno compreso: poco esigente, senza la necessità di spazi selvaggi, capace di adattarsi ai cambiamenti ambientali ed anche ai bisogni alimentari: dalle minuscole lucertole e topolini di bosco ai grandi erbivori domestici e selvatici, agli scarti alimentari umani. Se così non fosse stato, il Lupo si sarebbe estinto già nella prima metà del secolo XIX, quando fu cacciato ed ucciso in tutti i modi legittimi ed illegittimi, con fucili, trappole e veleni. Ebbene, questa capacità di sopravvivenza è ancora oggi attuale e va tenuta nella debita considerazione nel valutare l’attuale problema. Ed è proprio per questa sua capacità che oggi il Lupo può considerasi ormai presente in quasi tutte le zone montagnose e collinari d’Italia (salvo le isole), grazie alla sua proliferazione e a qualche “aiutino” dato dai francesi con ripopolamenti non autorizzati nelle Alpi (benché vi sia chi si ostini a credere ad un ritorno naturale dagli Appennini, ma questa è un’altra questione che ho trattato in altre sedi). Alla metà degli anni ’80, il Lupo non raggiungeva ancorala Toscana, anche secondo le autorevoli pubblicazioni dell’epoca che ne certificarono la presenza massima verso nord ai Monti Sibillini (Boitani 1981).

Una cosa è certa ed è che, da allora, i lupi sono progressivamente aumentati. La stima ufficiale riferita dal Ministro dell’Ambiente in Parlamento riguarda un minimo di 1.070 individui per la popolazione appenninica e di 100 individui per la popolazione alpina. “La forte ripresa del lupo negli ultimi decenni ha portato a riconoscere la specie in uno stato di conservazione soddisfacente rispetto ai parametri proprio della direttiva «habitat» e a migliorare la sua classificazione da «minacciata» a «vulnerabile» nella Lista rossa IUCN, rappresentando gli esiti di un successo per il nostro Paese” ha detto il Ministro in quell’occasione.

Il problema fondamentale è che, al di là di alcune stime localizzate basate sugli ululati, nessuno sa quanti lupi ci siano in Italia. Perché il Lupo non è certo un animale la cui presenza si possa calcolare con dei conteggi a vista come si fa con cervi, cinghiali o camosci. Bisogna, giocoforza, basarsi su stime ed estrapolazioni, partendo da quel numero massimo di circa 100 lupi dati per presenti in Italia nel 1970 (Boitani 1981) ed utilizzando dati tratti dalla letteratura scientifica: i lupi possono formare branchi da un minimo di 2 esemplari (maschio e femmina) a contingenti più numerosi (4-8 animali ed, eccezionalmente, anche oltre la decina); per ogni branco si accoppia solo la femmina più anziana che partorisce dai 4 ai 6 cuccioli. L’unico dato incerto è quello sulla mortalità, in quanto non è noto quanti cuccioli raggiungano l’età adulta né quanti lupi siano, ogni anno, uccisi da cacciatori e allevatori. Stimare una mortalità del 30% annuo potrebbe essere una buona base di calcolo senza rischiare di sbagliare per difetto ed essendo poco credibile un dato superiore (con una mortalità calcolata del 40% non vi sarebbe crescita) altrimenti il Lupo si sarebbe estinto già nell’800 e/o nella prima metà del ‘900, quando non godeva di alcuna protezione.

Procediamo ad un calcolo prudenziale, prendendo sempre il numero minimo al fine di un conteggio per difetto:

- partiamo dai 100 lupi stimanti nel 1970 (sebbene, come già detto, probabilmente fossero assai di più);

- dovremmo supporre che essi fossero riuniti in branchi di 4 o 5 individui (infatti, nel 1970, i branchi erano al massimo di 5 individui, quindi con un maggior numero di femmine adulte in grado di riprodursi. Inoltre, sappiamo che, in Italia, branchi numerosi sono rari per motivazioni ambientali e comportamentali) ma, per tenerci larghi e considerare una media durevole negli anni, adottiamo la stima di solo 10 branchi formati ognuno da 10 individui; con una femmina fattrice per ogni branco;

- per quanto riguarda le nascite, volutamente sottostimiamo soli 4 cuccioli per femmina anche se di norma si parla di 4-6 cuccioli;

- per quanto riguarda la mortalità, per i motivi già detti, esageratamente, stimiamo una mortalità annua del 30% sul totale della popolazione;

Con un calcolo progressivo ed esponenziale ecco cosa si ottiene (per semplicità cito solo i dati ogni 5 anni):

Anno

Lupi

Femmine

Nati

Morti

Totale

1970

100

10

40

30

110

1975

159

15

60

47

172

1980

245

24

96

73

268

1985

388

38

152

116

424

1990

617

61

244

185

676

1995

984

98

392

295

1081

2000

1576

157

628

472

1732

2005

2532

253

1012

759

2785

2010

4072

407

1628

1221

4479

2015

6547

654

2616

1964

7199

Troppi? Non lo so, ma è certo che il calcolo è stato fatto prendendo al ribasso tutti i dati variabili. Vogliamo essere critici al massimo? Ok, facciamo ancora un taglio del 50% tenendo conto di variabili non previste: abbiamo comunque oltre 3.500 lupi! Una popolazione, per di più, in continua esponenziale crescita.

A suffragare la ragionevolezza di queste cifre, abbiamo la situazione spagnola dove, a partire dai circa 200 lupi stimati negli anni ’70 (Boitani 1981), oggi si stima una presenza di oltre 3.000 lupi (nonostante gli strumenti di protezione risalgano ad appena vent’anni fa e, addirittura, la specie sia soggetta ad una limitata caccia in metà della Spagna). Un’altra esperienza eloquente, sia in merito alla crescita sia in merito ai danni che i lupi arrecano, è quella dello storico Parco Nazionale Yellowstone dove furono liberati i primi lupi nel 1995. La crescita della popolazione è letteralmente esplosa: nel 2008 benché ne fossero stati uccisi 264, se ne stimava una presenza di 1.600 esemplari suddivisi in 200 branchi! E così la crescita dei danni arrecati agli allevatori, benché si sia in presenza di popolazioni di ungulati selvatici tra le più ricche del mondo (cervi di varie specie, bisonti, antilocapre) che pure hanno subito una riduzione drastica; prova che, per tanti cervi, cinghiali e caprioli ci possano essere sul territorio, il Lupo andrà sempre a colpire l’anello più debole della catena alimentare: pecore, vitelli e cavalli!

Nel Minnesota, dove esiste l’unica popolazione originaria del cosiddetto “Lupo grigio”, costituita da diverse migliaia di esemplari (erano stimati circa 1.000 nel 1980), le autorità hanno stabilito tre fasce territoriali. Nella prima fascia il Lupo è protetto in forma assoluta. Nella seconda fascia, in caso di danni eccessivi, le autorità preposte alla gestione della fauna sono autorizzate ad abbattere gli individui responsabili delle aggressioni; nella zona esterna a queste due fasce gli allevatori possono liberamente abbattere i lupi. In Norvegia, Svezia e Svizzera limitano con gli abbattimenti il numero dei lupi pur avendone poche decine sui loro territori. Forse esagerano, ma certamente non è la nostra situazione, dove pur limitando la presenza dei lupi non si mette certo a rischio la popolazione. Più simile alla nostra situazione è quella spagnola, dove difatti le autorità hanno già ottenuto dall’Unione Europea l’autorizzazione a ridurne il numero.

Quindi il problema è quello di stabilire di quanto ridurre il numero dei lupi, dove e come. Altra soluzione non esiste se si vuole proteggere il Lupo e, nello stesso tempo, contenere i danni che esso arreca agli allevamenti. D’altro canto, anche la Convenzionedi Berna per la tutela delle specie di fauna selvatica consente di “considerare il Lupo specie solo parzialmente protetta quando produca danni eccessivi”.

In ogni modo, i danni andranno pagati al 100% del prezzo di mercato, compreso un bonus per i danni indiretti. Se il Lupo è, quale è, un patrimonio culturale e scientifico per la nostra comunità, allora tutti i cittadini devono pagare per la sua salvezza, e non solo gli allevatori!

Ma ostinarsi a sostenere che nessun Lupo possa essere abbattuto significa fomentare un bracconaggio indiscriminato, e non considerare i diritti degli allevatori e dei pastori a tutela delle loro proprietà. Non è così che si salvano le specie a rischio ma tutelando anche i diritti di chi a causa della presenza di queste specie subisce dei danni economici, quindi creando consenso non solo tra gli animalisti di città (che si beano della visione di belle foto e dipinti di lupi nei vari siti di Internet, e che non si preoccupano dei danni che questi arrecano ad allevatori e ai pastori delle aree marginali), ma soprattutto nelle comunità rurali dove la presenza del Lupo è sentita come una calamità.

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