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DOPO LE UCCISIONI DEGLI ORSI

Ursus arctos e Homo sapiens sapiens

Scritto il .

di: F. M.


E così siamo arrivati al terzo orso ammazzato in Italia: sembra l’inizio delle guerre orsine. D'altronde, è nelle nostre tradizioni: quando gli Orsini di Monte Giordano andavano all'attacco dei Colonna del Quirinale, il grido di battaglia era "Orsa, orsa!". Tre orsi, in rapporto alla popolazione degli orsi in Italia (marsicani, trentini e orsi rifugiati di guerra dall’ex Jugoslavia), significa un’ecatombe. Si tratta del 3% della popolazione senza contare i due cuccioli, il cui destino è ancora da vedere.

Sono particolarmente sensibile ai problemi emersi a seguito della morte dell’orsa Deniza e del destino dei due cuccioli, per sentimento personale, per coscienza etica ed anche, per così dire, per esperienza istituzionale (a suo tempo, ho lavorato nell’organo tecnico della Convenzione sulla Biodiversità). Ho anche avuto modo di visitare alcune zone dove è ancora presente Ursus arctos, l’orso bruno e molte delle sue supposte sottospecie. L’argomento meriterebbe un libro, ma mi limiterò ad alcuni punti, premettendo che per preparazione sono un biologo genetista e non uno zoologo o un esperto di mammifero.

Sarebbe facile prendersela con gli enti locali, burocratici e approssimativi, e con il popolo ignorante che vuole la pelle dell’orso. Certo, ci si chiede se il cercatore di funghi avesse il patentino e se fosse stato istruito su come comportarsi con gli orsi. Ma vorrei invece affrontare la questione del ruolo dei parchi: ho infatti l'impressione che siano anche i parchi ad avere problemi di funzionamento.

Un parco dove si trovano mammiferi di grande taglia, soprattutto se circondato o addirittura inframmezzato a zone pesantemente antropizzate, dovrebbe essere chiuso ad un pubblico libero di vagare a piacimento, mentre dovrebbe essere munito, in determinate zone, di appositi posti di osservazione per i visitatori, a salvaguardia degli animali e degli umani. Lo aveva già capito Theodore Roosevelt nel 1885-1886.

Così si fa in quasi tutti i parchi di altri paesi dove si trova Ursus arctos, l'orso bruno, che è la stessa specie in tutto il mondo, come dice il DNA; anzi è una specie geneticamente piuttosto omogenea – non più di 5 cladi, nonostante la profusione (un centinaio) di “razze” (sottospecie) inventate dai morfologi. Le recenti tecniche di analisi del DNA hanno fatto giustizia di questa visione morfologica, probabilmente fatta più che altro per soddisfare l’osservatore umano. Ma la biogeografia degli orsi non corrisponde alla loro tassonomia tradizionale. Ad esempio, quasi solo in Italia si crede (e lo credono anche molti esperti che sono nostri amici) che esista una gentile razza marsicana, una specie di mammoletta innocua. Questa visione è in contrasto con la letteratura scientifica.  A mio avviso, invece, gli animali sono animali, orsi bruni, specie nobilissima, che vanno rispettate anche in quanto pericolosi, e non trattati come degli orsacchiotti.

Un ultimo problema serio va affrontato: quello dei numeri. In Italia, gli orsi bruni sono circa 100: 80 nel Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise, forse 5 nel Trentino occidentale, 10-12 in Friuli, di origine ex-jugoslava; pare quasi tutti maschi, mentre le femmine abbordabili sono in Slovacchia, Austria e Croazia. La situazione di altri paesi europei è ben diversa: fino a 8.000 nella regione dove Romania, Slovacchia e Ucraina si toccano, 1.200 in Scandinavia, 30.000 nella Russia europea, 2 popolazioni di 100 individui ciascuna in Grecia, 400 in Slovenia, 1.400 nel resto dei Balcani, 90 in Polonia, fino a 10 in Austria, poco più di 10 in Francia meridionale, 50-60 in Spagna. Il problema di quanto siano giustificati gli sforzi, anche finanziari, per salvaguardare tutte le sottopopolazioni ovunque, deve essere aperto e discusso.

Forse, il rischio per questi animali deriva non solo da umani insensibili e amministrazioni inadeguate, ma anche da alcuni animalisti: in televisione ho sentito parlare un sedicente "rappresentante degli orsi". Chissà cosa ne pensano gli orsi?

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