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CEMENTIFICI E AMBIENTE
Circolare è Bello, ma Solo a Parole

- di: Rosa Filippini
- I deputati europei a 5 Stelle denunciano in Procura i cementifici di Varese che utilizzano il combustibile da rifiuti al posto del carbone. Non perché abbiano violato la legge o le direttive europee, ma perché… le applicano, proprio come accade in tutta Europa e, ancora troppo poco, nel resto di Italia. Come creare allarmismo intorno a una buona pratica di economia circolare attraverso un esposto senza notizia criminis.
L’eurodeputata Eleonora Evi, insieme a due colleghi e a un gruppo di attivisti del M5S di Varese ha presentato nei giorni scorsi un esposto in procura contro due cementifici che utilizzano combustibile da rifiuti. "Vogliamo fare chiarezza perché siamo estremamente preoccupati per le emissioni prodotte dai cementifici e chiediamo al Procuratore di valutare se sussistano gli estremi per aprire le indagini I due cementifici – continua Evi - così come tutti i maggiori gruppi produttori di cemento in Italia, bruciano infatti combustibili alternativi e scorie da inceneritori, con possibili gravi ripercussioni sulla salute umana e l'ambiente. Di fatto producono cemento non nelle modalità tradizionali, ma bruciando combustibili solidi secondari (CSS), o combustibili derivati da rifiuti solidi urbani (CDR) o scorie da acciaierie e da inceneritori".
Ma quale sarebbe il sospetto di reato? Nel comunicato e, dunque nell’esposto, la Evi non rivela alcuna specifica accusa ai due cementifici del varesotto e rinvia invece ad un elenco dei cementifici autorizzati in Italia in cui sono in corso attività di coincenerimento di CSS e altri rifiuti speciali, compilato da Medicina Democratica, anch’esso privo di qualsiasi specifico indizio di reato.
Lo stesso comunicato riconosce, infatti, che l’utilizzo dei combustibili alternativi è regolamentato per legge e che i quantitativi utilizzati sono molto al di sotto di quelli autorizzati ma questo non evita la richiesta di indagine e non placa la preoccupazione: “Pensiamo all'emissione di metalli pesanti tossici nell'atmosfera, ad esempio, oppure alla questione occupazionale, con i rischi cui sono sottoposti i lavoratori che sono quotidianamente esposti all'inalazione e all'assorbimento di cromo e cadmio”.
Com’è noto, il Movimento non ha una grande fiducia nei legislatori che hanno preceduto i propri eletti, ritiene che le politiche ambientali siano all’anno zero e che nessuno in Italia, movimenti, associazioni, sindacati, enti scientifici e di ricerca, oltre alle Camere e ai governi, in 40 anni, si sia mai posto il problema delle emissioni inquinanti. Ma, in questo caso, l’eurodeputata e i suoi amici sembrano snobbare addirittura le direttive europee sugli inquinanti atmosferici, sulla qualità dell’aria e sul ciclo dei rifiuti: un corpus normativo complesso, che nel corso di 40 anni ha provveduto a uniformare alle migliori pratiche ambientali le produzioni industriali di 28 paesi, fra le economie più avanzate del pianeta.
Il comparto industriale del cemento non fa eccezione e, anche se Evi e i suoi amici si preoccupano “della compromissione dei diritti dei consumatori (italiani) che, al momento dell'acquisto, non possono distinguere una confezione di cemento con elementi tossici da una di cemento tradizionale", in tutta Europa, compreso il nostro paese, il processo produttivo si è adeguato negli anni alla legislazione ambientale e agli standard di qualità UNI, adottando criteri e innovazioni similari.
Per produrre il cemento è necessario cuocere una miscela di calcare e argilla a 2000° C in forni industriali. Per farlo, servono materie prime e combustibili in grado di fornire il calore necessario. La sostituzione parziale delle materie prime e dei combustibili fossili utilizzati nel processo produttivo del cemento rappresenta un’importante elemento di circolarità in grado di determinare la competitività economica della filiera nel mercato europeo.
In Italia, mentre il tasso di sostituzione delle materie prime risulta in linea con la media europea (il 6,7 % nel 2016 che corrispondete in totale circa 1,6 milioni di tonnellate di scarti e rifiuti non pericolosi provenienti da altri settori produttivi), il tasso di utilizzo dei combustibili alternativi in sostituzione di quelli fossili risulta ancora molto lontano dalla media europea del 40%.
Nel 2016, in Italia, solo il 16,5 % del calore necessario per produrre il cemento è stato prodotto da combustibili alternativi derivati dai rifiuti (un totale di 334.000 tonnellate/anno) mentre il restante 83,5% è stato ottenuto da combustibili fossili non rinnovabili (pet-coke).
Fig.1 - Evoluzione tassi di sostituzione materie prime e combustibili fossili in Italia (2009-2016) (fonte: rapporti di sostenibilità di AITEC)
Fig.2 - Tassi di sostituzione materie prime e combustibili fossili in Europa (2009-2016) (fonte: rapporti di sostenibilità di AITEC)
Nello stesso periodo 2009-2016 il settore del cemento registra importanti diminuzioni dei principali parametri emissivi: -36% delle emissioni specifiche di ossidi di azoto e il dimezzamento delle emissioni specifiche di ossidi di zolfo (-50%) e di polveri (-56%). Si tratta di emissioni rapportate all’unità di prodotto, pertanto scevre dall’effetto-crisi.
Le emissioni di CO2 evitate grazie all’utilizzo dei combustibili alternativi derivanti dai rifiuti, nonostante le basse percentuali di sostituzione, sono state superiori a 1,5 milioni di tonnellate. Tali risultati sono stati raggiunti grazie ad investimenti nelle migliori tecniche disponibili pari a circa 300 milioni di euro sull’intero periodo (2009-2016).
Gli impianti italiani - sostengono i cementieri - potrebbero facilmente raggiungere i livelli di utilizzo di combustibile derivato dai rifiuti, CSS, dei propri competitor Europei, ma incontrano molte difficoltà per la diffidenza ideologica suscitata verso questa pratica. Iniziative come quelle di Evi e dei 5 stelle di Varese, anche qualora non avessero alcun esito giudiziale, rappresentano il veicolo principale della diffidenza suscitata presso la popolazione e gli amministratori. In assenza di un’informazione diffusa corretta, il mancato consenso sociale aumenta anche la complessità degli iter autorizzativi.
Il paradosso è che il CSS prodotto in Italia con rifiuti generati dal sistema paese è ambito da cementerie, centrali termoelettriche e termovalorizzatori austriaci, tedeschi, olandesi e persino bulgari, rumeni, portoghesi e spagnoli. Ma questo riguarda il triste capitolo dell’export dei rifiuti e dei loro derivati, per il quale l’Italia continua a pagare un prezzo elevato invece di avvalersi dell’energia in essi contenuta. Nel 2016 (Fig. 3) secondo dati ISPRA, abbiamo esportato circa 4 milioni di tonnellate di rifiuti all’estero, tra i quali circa 132.000 tonnellate di CSS.
Fig.3 - Export CSS dati ISPRA 2016