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REWIND. DOSSIER SULL'EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA

Dietro i roghi di Napoli

di: Mario Signorino
Ripubblichiamo questo dossier del Luglio 2007, vecchio ma non superato, sorprendente per la lungimiranza delle previsioni e delle soluzioni prospettate.



Mezzogiorno senza Stato
Dietro quei rifiuti nelle strade della Campania, dietro quelle proteste, quei roghi, riemerge la questione meridionale nei suoi tratti più antichi e desolanti denunciati 60 anni fa da Guido Dorso: l’assenza di una classe dirigente illuminata, l’incapacità della classe politica, l’arretratezza culturale della società civile. Mai i cittadini meridionali sono apparsi tanto lontani dagli standard di vita dell’Europa.

Quasi tutto il Mezzogiorno è commissariato per i rifiuti. Lo sono la Campania e la Puglia dal 1994, la Calabria dal 1997, la Sicilia dal 1999; nel '99 è iniziato anche il commissariamento del Lazio (Vedi Tabella 1). Il che vuol dire: metà del paese è incapace di autogoverno in un settore elementare del vivere civile. Vuol dire: nel Mezzogiorno non c’è neanche quel poco di Stato che serve per gestire correttamente i rifiuti. Lo si deve importare, come il petrolio. Per questo si dichiara l’emergenza e si fanno i commissariamenti.

Non è forse, questo, un problema politico nazionale?

 

Suicidio di una regione
In questo quadro già critico, una regione e una capitale tra le più importanti soccombono sotto i propri rifiuti, come avviene nelle tragiche periferie delle megalopoli del Terzo mondo. Non è una questione politica nazionale, oltre che una devastante questione sociale?

Del “Rinascimento napoletano” non rimane che cenere:

  • un’emergenza che non ha riscontro in alcun’altra area dell’Occidente, e neanche nelle altre regioni del Sud;
  • il fallimento della classe politica e della pubblica amministrazione campane, che non hanno saputo evitare lo scempio della propria terra;
  • il tracollo civile di una delle comunità più popolose del paese, che rifiuta le normali responsabilità del vivere civile e accetta condizioni umilianti di vita.

Quelle proteste, quei roghi, quei rifiuti nelle strade rappresentano una spettacolare regressione e un atto di autodistruzione. Una grande regione e una grande capitale si suicidano in diretta Tv, mostrando al mondo la propria arretratezza. È un grave, gravissimo fallimento italiano. Non dovrebbe essere la priorità della politica nazionale?

 

Una crisi senza cause oggettive
La crisi non è nata da alcuna causa oggettiva. La gestione dei rifiuti non è un'attività poco conosciuta, ma è regolata da decenni da una normativa europea e nazionale estremamente articolata e stringente; anche troppo, per taluni aspetti. La prima direttiva europea risale al 1975, 20 anni prima dell’inizio dell’emergenza campana; la prima norma-quadro nazionale è del 1982.

Non ci sono difficoltà tecnologiche proibitive: gestire i rifiuti è facile, ci riescono tutti nel mondo sviluppato, senza tante storie.

Forse in Campania si producono più rifiuti che altrove? No: per quanto riguarda la produzione di rifiuti e il suo trend di crescita, i numeri della regione sono costantemente al di sotto della media nazionale (Cfr. Tabella 2).

È mancata la competenza tecnica? Nient’affatto, anzi, fin dalla primissima fase dell'emergenza, commissari e responsabili regionali si sono avvalsi delle competenze tecnico-scientifiche dell’ENEA, il meglio disponibile nel settore pubblico.

Infine, doverosamente, la Corte dei conti toglie di mezzo l’ipotesi razziale: non c’è alcun ostacolo di ordine antropologico - scrive nella sua recente relazione sulla gestione dei commissari straordinari nelle diverse regioni - alla realizzazione in Campania di un efficiente sistema di gestione dei rifiuti. Si è al punto di doverlo scrivere...

 

Blocco di sistema
L'origine dell'emergenza è interna alle istituzioni: è la gravissima inefficienza della pubblica amministrazione campana, che non ha garantito in alcun modo il corretto smaltimento dei rifiuti. La camorra, che il New York Times ha posto in primo piano,  prende piede in mancanza di un sistema di smaltimento legale, ma impiantare questo sistema e farlo funzionare spetta alle istituzioni locali. Il fronte vero su cui agire è quello del malgoverno.

Riesce comunque difficile capire perché in 13 anni la situazione si sia ulteriormente incancrenita, perché le istituzioni regionale e locali non siano riuscite in tutti questi anni ad attrezzarsi degnamente, perché i commissari che si sono succeduti non abbiano avuto sufficiente forza. Ancor oggi, quello campano è un sistema bloccato, che in tutte le sue componenti – politica, amministrativa e civile – rifiuta di farsi carico della gestione dei propri rifiuti e pretende di addossare agli altri – alle altre regioni, a paesi esteri, al contribuente italiano – i costi della propria inefficienza; rigetta qualsiasi progetto di impianto legale e controllato, ma nulla fa contro le innumerevoli cave e discariche abusive. E intanto fa profitti con l’emergenza, che nel Sud è considerata da sempre una risorsa.

Come si è arrivati a questa situazione? Sono individuabili tre fattori:

  • la radicalizzazione della sindrome “Nimby”, che in Campania è diventata una patologia estrema della società e delle istituzioni;
  • la debolezza del governo centrale;
  • una strategia errata nella gestione dei rifiuti.

 

NIMBY e dintorni
La Campania è diventata la terra promessa, la vetrina dell'ambientalismo protestatario e senza responsabilità, quello che dice no a tutti gli impianti di smaltimento e ha della raccolta differenziata una visione miracolistica. Attorno alla protesta verde è poi  cresciuto il teatrino dell'antagonismo, da Beppe Grillo a padre Zanotelli, che scaccia i “demoni” (gli inceneritori, le discariche legali) con l'acqua benedetta. Una combinazione pittoresca e nefasta, che pare aver sedotto tutta la regione.

I rifiuti ammucchiati nelle strade - quella vergogna - testimoniano la vittoria dei verdi e degli antagonisti, la prova provata che costoro, invece di risolvere i problemi, li esasperano.  Il rigetto degli impianti è talmente radicale da far pensare a un rigurgito nichilista, che va oltre le tradizionali manifestazioni “Nimby”: come se in Campania si fosse superata una qualche soglia, o una nuova patologia avesse infettato il corpo sociale e le istituzioni.

Quali forze si muovono dietro la facciata della protesta verde? In realtà, più che le minoranze estremiste, i veri protagonisti del dissenso sono le istituzioni di tutti i tipi e di tutti i livelli, i pubblici amministratori, i sindaci, gli eletti locali e nazionali, fino ai parroci e ai vescovi. La fioritura di acronimi derivati dal NIMBY testimonia dell'importanza crescente di questi soggetti: da NIMO (Not In My Office) a NIMEY (Not In My Election Year), fino agli acronimi finali, a scelta, CAVE (Citizens Against Virtually Everithing) e BANANA (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anybody).

Tra i fattori di blocco occorre infine includere la diffusa illegalità, gli intrallazzi, la camorra: quanti affari si fanno oggi in Campania con quell'emergenza? Quanti ingrassano contribuendo alla rovina della loro terra? Quanto hanno pesato, nel rendere cronica la crisi, la paura o le complicità delle amministrazioni locali?

 

La causa tecnica dell'emergenza
La causa tecnica dell'emergenza in Campania va ricercata in direzione opposta alla vulgata verde, ed è la mancanza di discariche a norma. Fra l'altro, è l'unica differenza sostanziale tra la Campania e le altre regioni del Sud.

Questa carenza rappresentava la principale motivazione del DPCM che nel 1994 ha dato inizio al commissariamento, poi è praticamente sparita dall'ufficialità ed è diventata cronica, generando crisi su crisi. Non se ne parla molto neanche oggi; e l'opinione prevalente è che causa della crisi sia l'insufficiente raccolta differenziata. È questa la convinzione che si ritrova negli articoli dei giornali, nei documenti ufficiali, in molte audizioni della Commissione parlamentare d'inchiesta, nella carte della magistratura contabile.

Pochi considerano i dati di fatto: che cioè in Campania gli sforzi maggiori sono stati indirizzati alla promozione della raccolta differenziata (quasi il 50% dell'intero bilancio commissariale al marzo 2004, secondo la Commissione parlamentare d'inchiesta) e alla produzione di combustibile dai rifiuti (CDR), senza però sviluppare contestualmente l'indispensabile capacità di smaltimento mediante incenerimento e discarica.

Sono gli effetti della strategia adottata nel 1997 per allineare la politica regionale al decreto legislativo n. 22/97, il “Decreto Ronchi”. Si puntò tutto sul recupero, oscurando la vera emergenza, la realizzazione delle discariche. Quanto all'incenerimento, praticato in tutta Europa, si abolì la parola stessa e lo si mascherò, vincolando il processo industriale con l'obbligo di produzione di CDR. Alla Campania che affondava nei rifiuti, si additò l'obiettivo velleitario e mistificatorio di diventare la prima realtà europea nella prevenzione e nel recupero.

Nessuno disse la verità ai cittadini: che cioè, se anche fossero stati costruiti tutti gli impianti previsti, si sarebbe dovuto coprire con le discariche un transitorio di almeno 5 anni, equivalente a più di 10 milioni di tonnellate di rifiuti; e che comunque, anche con un sistema di gestione a regime, ci sarebbe stato bisogno di una capacità di smaltimento in discarica pari ad almeno 1 milione di tonnellate di rifiuti l'anno.

È un vero mistero come i protagonisti locali e nazionali dell'emergenza abbiano creduto di poter andare avanti per tanti anni senza il punto di chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti rappresentato da inceneritori e discariche.

Si vede come sono poi finite le cose: quella politica ha portato al disastro. Ancor oggi, tutto finisce in discarica (ma senza garanzie adeguate) o riempie le strade di Napoli e della regione. Eppure quella politica disastrosa viene costantemente rilanciata: ministri e parlamentari vanno in giro a dire che si può fare a meno dello smaltimento e parlano di “opzione zero”. Come dire, non ci sono costi da pagare, continuiamo a dire no a inceneritori e discariche, i rifiuti si portino in Germania, in Romania, nelle altre regioni...Da non credere.

 

Opzione zero in condotta
Il punto è: i rifiuti non spariscono da soli, la raccolta differenziata non elimina lo smaltimento, le azioni di prevenzione possono ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti, ma non possono farli sparire. Non si devono confondere gli obiettivi di medio/lungo periodo con le necessità della gestione corrente. Una politica dei rifiuti seria deve perciò prevedere un sistema di gestione integrato che persegua gli obiettivi di riduzione e recupero, ma assicuri nel contempo il corretto smaltimento mediante incenerimento e discarica.

In Campania si producono ogni anno circa 3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, che devono finire da qualche parte: recuperati, bruciati o messi in discarica. L'alternativa non è smaltimento sì o no, ma smaltimento corretto, secondo le leggi, o abbandono selvaggio dei rifiuti sul territorio. Per chi sta affogando nei propri rifiuti, l'opzione zero è una fantasia, una parola d'ordine irresponsabile che rafforza il rigetto di impianti e discariche legali, ostacolando il superamento dell'emergenza.

La Figura 1 descrive come funziona un sistema di gestione di rifiuti urbani: con una raccolta differenziata al 40 per cento (che è l'obiettivo velleitariamente deciso dal Ministero dell'ambiente per il dicembre 2007) e una resa in CDR al 35 per cento, una metà dei rifiuti dovrebbe comunque essere smaltita in discarica. Si tratterebbe, per la Campania, di circa 1,5 milioni di tonnellate di rifiuti l'anno.

Sarebbe possibile ridurre ulteriormente lo smaltimento in discarica, ma a determinate condizioni. Ad esempio, con una raccolta differenziata al 40 per cento, si potrebbe ridurre al 30 per cento l'invio in discarica con un utilizzo più spinto dell'incenerimento, con una qualità del materiale da bruciare inferiore all'attuale CDR, e con un livello qualitativo del compost che ne consenta l'utilizzo sottraendolo alla discarica.

Può interessare verificare i numeri della Lombardia, dell'Emilia-Romagna e della Toscana, che presentano le più alte percentuali di incenerimento, oltre ad ottime performance di raccolta differenziata. L'Emilia-Romagna, con il 31% di RD e il 26% di incenerimento, manda in discarica il 43% dei rifiuti urbani prodotti. La Toscana, con il 30,7% di RD e circa il 10% di incenerimento, smaltisce il discarica il 46% dei RU. La Lombardia sembra aver ridotto al minimo la discarica: spingendo molto, sia sulla RD (42,5%), sia sull'incenerimento (33,8%), infatti, la regione smaltisce in discarica il 15% del totale dei rifiuti prodotti (ma la cifra si attesterebbe probabilmente sul 30% se fosse conteggiata la quota di organico inviata fuori regione per la produzione di compost).

 

Bilancio del commissariamento
Nella sua relazione su “La gestione dell'emergenza rifiuti effettuata dai Commissari straordinari del Governo”, resa nota agli inizi del 2007, laCorte dei conti ha tracciato un bilancio molto negativo del commissariamento in Campania:

  • per inefficacia: non ha rimosso le cause dell'emergenza e non ha evitato neanche le crisi più acute (come quelle del 2001 e del 2004);
  • per un uso distorto dell'istituto: si è andati troppo oltre, riguardo al tempo (13 anni per un'emergenza sono troppi) e ai poteri (ai commissari è stata passata in blocco tutta la gestione dei rifiuti).

In effetti, l'impressione è che ci si sia mossi ai confini della legge, su terreni irregolari e in maniera contorta.

Quanto alla Campania, si possono fare alcune valutazioni generali:

  • in 14 anni nella regione non è stato bruciato neanche un grammo di rifiuti o di CDR, e solo agli inizi del 2008, se tutto andrà bene, verrà messo in funzione un primo inceneritore;
  • la raccolta differenziata, malgrado le risorse impegnate, è attualmente intorno al 10%, e il gap rispetto alla media nazionale si è ulteriormente aggravato;
  • lo smaltimento in discarica è ufficialmente crollato dal 100% al 29%; ma in realtà, se si tiene conto dello stoccaggio provvisorio dei rifiuti chiamati “ecoballe”, oltre che di parte delle spedizioni fuori regione, non ci si è discostati dal 100% iniziale;
  • nei cosiddetti stoccaggi provvisori sono ammassati da 5 a 7 milioni di tonnellate di “ecoballe”;
  • dal 2001 al 2005 sono stati spediti fuori regione, secondo nostre stime, rifiuti per 1,6 milioni di tonnellate: 600 mila tonnellate in Germania e il resto in altre regioni italiane;
  • l'ostilità nei confronti degli impianti rimane immutata.

Per un bilancio più puntuale, bisognerebbe disporre di dati che sono tuttora di difficile reperimento. Non si conosce neanche una valutazione ufficiale del costo complessivo dell'emergenza e della gestione commissariale dal 1994 ad oggi. Noi abbiamo prudenzialmente calcolato 1,5 miliardi di euro, cui bisogna aggiungere il rilevantissimo debito sommerso dovuto allo smaltimento delle “ecoballe”: un altro miliardo e mezzo di euro. Un vero e proprio salasso di pubblico denaro, per concludere quasi niente.

L'intrico istituzionale
A fronte di questo bilancio desolante, si è configurato negli anni un vero intrico istituzionale, che genera a sua volta nuove difficoltà:

  • come ha rilevato la Corte dei conti, la gestione commissariale ha dato vita a strutture parallele all'amministrazione ordinaria, provocando sprechi, ulteriore deresponsabilizzazione degli enti locali, disordine nei ruoli e nei poteri;
  • prima si sono sostituiti con prefetti i governatori regionali, poi gli sono stati conferiti i pieni poteri. Ma quando gli inefficienti vengono promossi a demiurghi, è l'istituto stesso del commissariamento che perde ogni credibilità agli occhi della popolazione e dei diversi attori;
  • i commissari possono commissariare a loro volta (ad esempio, i consorzi di bacino), ma sono vincolati, controllati e ostacolati nella loro operatività in vari modi. Ad esempio, con un turn-over molto accentuato che genera precarietà, con l'asimmetria tra gli obiettivi ambiziosi che gli vengono attribuiti e lo scarso tempo a disposizione, con una pluralità di controllori. Attualmente sono in funzione: una struttura di “coordinamento e supporto”, presieduta dal generale Roberto Jucci, presso il Ministero dell'ambiente; un'altra struttura formata da Carabinieri, Guardia di finanza e Corpo forestale dello stato, presso il Dipartimento della protezione civile; la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, alla sua terza edizione;
  • le gestioni commissariali si sono col tempo “meridionalizzate”. Sedi e strutture si sono ingrossate sempre di più, finché negli ultimi tempi non è stato posto un limite al personale. I documenti della Corte dei conti e della Commissione parlamentare d'inchiesta riportano innumerevoli casi di sprechi, irregolarità, inefficienza, consulenze discutibili, scarsa produttività delle strutture locali, furti e sprechi di attrezzature;
  • il caso più tipico riguarda i “lavoratori socialmente utili” assunti per promuovere la raccolta differenziata: 2.300 addetti, secondo le carte ufficiali, 12-13 mila secondo altre stime riferite in convegni. Nella relazione della Corte dei conti e nei documenti della Commissione parlamentare d'inchiesta, si riportano testimonianze secondo le quali questi lavoratori non lavorano, mentre i comuni assumono altro personale per la raccolta o si rivolgono a imprese, con conseguente spreco di pubblico denaro.

Questa situazione non può essere superata con atti politicamente neutri.

Uscire dalla crisi si può, se...
Provvedere a smaltire correttamente i rifiuti in modo duraturo, riguadagnare la normalità istituzionale ponendo fine al regime straordinario: questi obiettivi richiedono che si assumano decisioni tecniche adeguate e si realizzino dei fatti politici importanti.

    1. La caduta del commissario Guido Bertolaso – nominato ma non sostenuto dal governo Prodi e anzi duramente contrastato da un ministro – ha ricondotto l'emergenza campana ai suoi inizi del '94. Ora al governo resta un solo modo di porre rimedio: assumere quell'emergenza come una priorità politica e promuovere un accordo bipartisan con l'opposizione per una effettiva e duratura normalizzazione della situazione nella regione.
    2. Per quanto riguarda la politica dei rifiuti, occorre ribaltare l'approccio demagogico fin qui seguito dai più, realizzando un sistema equilibrato di gestione. Dalla crisi si esce facendo le discariche e gli inceneritori che servono, puntando contestualmente alla prevenzione e al recupero. In questo senso si è espressa anche la Commissione europea nella “lettera di costituzione in mora” che ha avviato la procedura d'infrazione a carico del governo italiano per il dramma campano.

Ancora più in chiaro: per superare realmente l'emergenza, bisogna disporre di una capacità adeguata di smaltimento in discarica, quantificabile nel seguente modo (vedi le Tabelle 10 e 11):

  1. in un'ipotesi più pessimistica, con una raccolta differenziata ferma al 10% attuale e con 2 inceneritori, dal 2008 al 2015 bisognerebbe smaltire in discarica circa 15 milioni di tonnellate di rifiuti urbani; in più, rimarrebbe inalterato il pregresso di 6-7 milioni di tonnellate di “ecoballe”;
  2. in un'ipotesi più ottimistica, con un aumento graduale della raccolta differenziata fino al 40% e con un terzo inceneritore, la quantità di rifiuti da smaltire in discarica potrebbe scendere a circa 13 milioni di tonnellate al 2015; si potrebbe inoltre smaltire il 50% circa del pregresso mediante incenerimento.
  3. C'è poi una bomba che non è ancora scoppiata: il caso dei rifiuti industriali (o speciali), che il dramma dei rifiuti urbani ha tenuto finora in ombra. È tempo di accendere i riflettori anche su questi rifiuti. Le statistiche ufficiali segnalano una produzione nella regione di 4,3 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, di cui 2,6 milioni risultano gestiti (in gran parte con operazioni di recupero, e in minima parte con operazioni di smaltimento). Mancano all'appello 1,7 milioni di tonnellate: dove vanno a finire?
  4. Quelli che galleggiano sui rifiuti. È sorprendente che, malgrado il disastro che colpisce la regione e la capitale, i due massimi responsabili politici campani - Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino - restino ai loro posti. Se un politico, un amministratore non si dimette in simili circostanze, quando mai dovrebbe farlo? Il sindaco di Napoli, Russo Iervolino, e ancor più Bassolino, che è stato commissario straordinario per i rifiuti, sindaco di Napoli e presidente della Regione, sono diventati l'emblema del fallimento della classe politica campana. Ha dichiarato il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino: “È molto probabile che io e la presidente della Regione Mercedes Bresso ci saremmo dimessi se una situazione come quella dei rifiuti in Campania si fosse verificata a Torino. Ci avrebbero costretto le pressioni dell'opinione pubblica e l'obbligo di dare risposte”. Perché a Napoli no?

    La crisi delle amministrazioni regionale e locali è l'emergenza politica che ha generato l'emergenza dei rifiuti in Campania e ancor oggi ne ostacola il superamento. Non si apre alcuna pagina nuova, nella terra che fu di Guido Dorso, se la politica che ha fallito rimane senza sanzione, se alla cittadinanza arriva solo il messaggio che il potere locale non è tenuto a garantire neanche i più elementari servizi pubblici. L'esempio che viene dai vertici della regione e della capitale, galleggianti sui rifiuti, erode la credibilità dello Stato e della politica.

  5. Oggi in Campania, domani dove?In un paese normale, la regione del ministro dell'ambiente e leader dei Verdi dovrebbe rappresentare un caso esemplare di buongoverno del territorio. Così, anche solo per opportunismo, per una questione d'immagine del ministro e del governo di cui fa parte. In Italia invece no, avviene anzi il contrario: la regione del ministro, la sua casa dunque, è la peggiore del paese nella gestione dei rifiuti, tanto da costituire una vergogna nazionale.

    Per niente imbarazzato, lo stesso ministro continua la sua battaglia contro inceneritori e discariche legali, la cui assenza ha provocato l'emergenza campana; ha delegittimato duramente l'operato del commissario Guido Bertolaso, fino ad ottenerne la revoca; ed anche nelle altre regioni, ove possibile, si batte per impedire che si realizzino inceneritori. Da seguire con particolare attenzione le vicende del Lazio e della Sicilia. Si tratta di una prassi pericolosa, di un grave problema politico. Qualcuno, in parlamento o nello stesso governo, se lo dovrebbe porre seriamente.


I rifiuti in numeri

Tab 1 - Commissari nominati dal Governo per la gestione dell’emergenza rifiuti

Regione Inizio stato
di emergenza
Commissari
delegati
Incarico ricoperto al momento della nomina Decorrenza della nomina del Commissario
Campania 1994 Improta Prefetto 3/1994 -  3/1996
Rastrelli Pres. Regione 3/1996 -  1/1999
Losco Pres. Regione 1/1999 -  5/2000
Bassolino Pres. Regione 5/2000 -  2/2004
Catenacci Prefetto 2/2004 -  9/2006
Bertolaso Capo Dipart. 10/2006– 7/2007
Pansa protezione civile 7/2007 ad oggi
Puglia 1994 Catenacci Prefetto 10/1994 -  6/1996
Di Staso Pres. Regione 6/1996 - 12/1999
Catenacci Prefetto 12/1999 -  8/2000
Fitto Pres. Regione 8/2000 - 4/2005
Vendola Pres. Regione 4/2005-ad oggi
Calabria 1997 Nisticò Presid. Regione 10/1997 - 8/1998
Caligiuri Presid. Regione 8/1998 - 4/1999
Meduri Presid. Regione 4/1999 - 5/2000
Chiaravalloti Presid. Regione 5/2000 - 9/2004
Bagnato Prefetto 9/2004 - 3/2006
Alfiero Prefetto 3/2006 - 10/2006
Ruggiero Prefetto 11/2006- 1/2007
Salvo (f.f.) Dirigente 2/2007-ad oggi
Sicilia 1999 Capodicasa Presid. Regione 5/1999 - 5/2000
Leanza Presid. Regione 6/2000 - 7/2001
Cuffaro Presid. Regione 7/2001-12/2006
Lazio 1999 Badaloni Presid. Regione 6/1999 - 5/2000
Storace Presid. Regione 5/2000 - 5/2005
Marrazzo Presid. Regione 5/2005 - ad oggi

Fonte: Corte dei Conti - La gestione dell’emergenza rifiuti effettuata dai Commissari straordinari del Governo, 2007

Nella seguente tabella 2 è rappresentato l’andamento della produzione di rifiuti in Italia ed in Campania negli ultimi 10 anni; si evidenzia come, a fronte di un aumento medio nazionale di oltre il 20%, la produzione dei rifiuti in Campania sia cresciuta di meno della metà, superando appena il 9%.  

Tab 2 - Produzione rifiuti urbani e incremento nel decennio


Anno

Campania

Italia

 

Produzione (t/a)

Incremento nel decennio

Produzione (t/a)

Incremento nel decennio

1995

2.570.000 (*)

 

25.900.000

 

1996

2.560.000 (*)

 

25.960.000

 

1997

2.517.200

 

26.605.000

 

1998

2.456.000

 

26.846.000

 

1999

2.562.000

 

28.364.000

 

2000

2.598.500

 

28.959.000

 

2001

2.762.900

 

29.409.000

 

2002

2.660.000

 

29.864.000

 

2003

2.681.900

 

30.034.000

 

2004

2.785.000

 

31.150.000

 

2005

2.806.000

9,2 %

31.677.000

20.2 %

da: Rapporti Rifiuti APAT-ONR ed ENEA
(*) Dati desunti dalle quantità conferite a discarica (ENEA)

In tabella 3 è riportato l’andamento della produzione di rifiuti per abitante in Italia, nel Mezzogiorno e in Campania; l’analisi di tali dati evidenzia come la crescita di produzione di rifiuti della Campania non sia stata solo inferiore a quella nazionale ma anche a quella del Sud.
Questi dati dimostrano che la situazione di crisi in Campania non è in alcun modo imputabile a un inatteso incremento della produzione dei rifiuti urbani. 

Tab 3 - Produzione rifiuti urbani pro-capite (kg/ab x anno)


Anno

Campania

Sud

Italia

1998

424

430

466

1999

443

452

492

2000

449

454

501

2001

485

464

516

2002

465

469

521

2003

468

480

524

2004

481

491

533

2005

485

496

539

da: Rapporti Rifiuti APAT-ONR

Nelle tabelle 4 e 5 è riportato l’andamento del numero di discariche operative, del quantitativo di rifiuti smaltiti in discarica, e della % di tale quantitativo rispetto alla produzione. Dall’analisi dei dati emerge una netta e costante diminuzione, sia del quantitativo dei rifiuti conferiti in discarica, sia del numero di discariche stesse. Va comunque rilevato che, mentre a livello nazionale il numero di impianti si è quasi dimezzato (a fronte di un calo di circa il 20% del conferimento in discarica), in Campania il numero di discariche è calato di quasi 40 volte, con una riduzione dello smaltimento in discarica di circa il 70% .
Va rilevato inoltre che le quantità conferite nel 2005 hanno esaurito le capacità residue delle ultime discariche in esercizio nella Regione, comprese quelle ex  2a categoria destinate ai rifiuti speciali.

Tab 4 - Smaltimento a discarica in Campania


Anno

Impianti
(n.)

Quantità conferite
(t/a)

%
su produz.

1995

Nd

2.570.000

-

1996

Nd

nd

-

1997

115

nd

-

1998

80

nd

-

1999

85

2.560.000

100

2000

62

2.598.200

100

2001

56

1.655.570

60

2002

44

1.558.000

59

2003

27

1.343.000

50

2004

5

1.060.000

38

2005

3

801.000

29

da: Rapporti ANPA-ONR ed ENEA

Tab 5 - Smaltimento a discarica in Italia


Anno

Impianti
(n.)

Quantità conferite
(t/a)

%
su produz.

1995

-

22.044.400

70.6

1996

-

21.623.500

72.1

1997

-

21.275.190

73

1998

-

20.767.700

73.9

1999

-

21.744.700

74.8

2000

657

21.917.000

75.7

2001

619

19.705.000

66.7

2002

552

18.848.000

61.1

2003

474

17.996.000

55.7

2004

401

17.742.000

54.7

2005

340

17.225.000

51.7

da:Rapporti APAT e Federambiente (valori mediati)

Relativamente allo stato dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani in Campania, nella tab 6 è dato un quadro sintetico della situazione a partire dal 2000; si nota un progressivo aumento della raccolta differenziata (che in ogni caso supera appena il 10%), l’avvio dal 2002 della produzione di CDR e la costante diminuzione dell’invio in discarica.
Di contro, la voce “differenza” si è sempre mantenuta su livelli elevati (anche rispetto alla media nazionale), soprattutto perché in questa rientrano9 il compost e lo smaltimento dei rifiuti fuori regione.
Quanto al CDR, occorre dire che quanto prodotto dal 2002 è tuttora giacente presso gli stessi impianti di produzione con un quantitativo che ormai supera i 6 milioni di tonnellate-

Tab 6 - Gestione RU in Campania

Anno

Produzione
(t/a)

RD
(t/a)

CDR/ecob.
(t/a)

Discarica
in Regione
(t/a)

Differenza (*)
(t/a)

2000

2.598.500

46.800

-

2.590.000

-38300

2001

2.762.900

168.500

-

1.656.000

938.400

2002

2.660.000

194.200

500.000

1.558.000

407.800

2003

2.681.900

217.200

800.000

1.343.000

321.700

2004

2.785.000

295.200

900.000

1.060.000

529.800

2005

2.806.000

297.400

940.000

801.000

767.600

Dati aggregati dalle tabelle precedenti
(*) La differenza è costituita da perdite di processo e discarica/smaltimento fuori Regione

Prima di affrontare il problema dello smaltimento fuori regione (e fuori Italia), è bene dare un quadro sintetico di come si articola un sistema di gestione dei rifiuti del tipo di quello previsto per la Campania, che prevedeva il raggiungimento dell’obiettivo del 40% di raccolta differenziata.

Dallo schema riportato in fig 1 si vede come:
allo stato attuale, il compost viene conferito in discarica per mancanza di un reale mercato;
del 40% proveniente dalla raccolta differenziata, solo il 60% torna ad essere materiale utilizzabile (il resto di fatto va in discarica);
del 60 % avviato alla produzione di CDR, solo poco più del 20% diviene effettivamente CDR, e il 20% di quest’ultimo (sotto forma di ceneri) finisce comunque in discarica.

In grossa sintesi, anche partendo dal 40% di raccolta differenziata e con una produzione di CDR che interessa il rimanente 60% dei rifiuti, circa il 50% di tutto il rifiuto termina in discarica. Ciò vuol dire che, con riferimento alla situazione campana, oltre 1 milione di tonnellate di rifiuti all’anno (anche quando il CDR sarà utilizzato) terminerà in discarica.

 

Figura 1

 

Tale % di invio in discarica può variare incrementando ulteriormente il quantitativo di raccolta differenziata; tuttavia, mantenendo questo schema e queste tecnologie, si scende appena sotto il 40% di invio in discarica anche con il 60% di raccolta differenziata.

La produzione di compost di qualità, l’invio di FOS (frazione organica stabilizzata) all’incenerimento e l’aumento della resa in CDR potrebbero portare tale quantitativo (anche con il 40% di raccolta differenziata) a circa il 30%.

Tornando al problema dello smaltimento dei rifiuti fuori regione, si può asserire che dal 2001 al 2005 circa 1.600.000 ton di rifiuti sono stati smaltiti fuori regione, di cui:

  • circa 600.000 ton in Germania tramite Ecolog (con una spesa totale per trasporto e smaltimento pari a 80 milioni di €) presso inceneritori;
  • il rimanente in altre regioni italiane (con un incremento costante dal 2003 al 2005).

Analizzando i valori della gestione dei rifiuti in Italia dal 2001 (riportati in tab. 7), si nota come la raccolta differenziata sia andata progressivamente aumentando fino a superare il 24% (lontano comunque dall’obiettivo del 40%), mentre l’incenerimento è cresciuto in modo meno marcato superando appena il 10%; come conseguenza lo smaltimento in discarica è sceso sotto il 50%.
Si noti in ogni caso come la voce “Differenza” (contenente la produzione di compost, in buona parte destinato sempre in discarica, e le perdite di processo) sia aumentata sfiorando quasi il 17%.

Tab 7 - Gestione RU in Italia


(%)

2001

2002

2003

2004

2005

Raccolta differenziata

17.4

19.2

21.1

22.7

24.3

Discarica

66.7

59.5

53.1

51.9

48.8

Incenerimento

8.8

8.3

9.0

9.8

10.2

Differenza (*)

7.1

13.0

16.8

15.6

16.7

da:Rapporto Rifiuti APAT 2006
(*) La differenza è costituita dalla produzione di compost e dalle perdite di processo nei trattamenti meccanico-biologici.

Se si analizza in dettaglio il dato sui rifiuti inviati a combustione (e riportati in tab. 8) si nota che la % è aumentata in modo molto lento e senza un aumento significativo del numero degli impianti (dal 2000), caratterizzandosi con un aumento della produttività di quelli esistenti.

Tab 8 - Combustione rifiuti in Italia


Italia

n. impianti

(t/a)

% produzione

1996

-

1.151.700

6.1

1997

-

1.746.700

6.6

1998

-

1.884.400

7.0

1999

41

2.069.400

7.3

2000

43

2.236.800

7.7

2001

42

2.515.600

8.6

2002

50

2.671.900

8.9

2003

49

3.168.700

10.5

2004

48

3.552.400

11.4

2005

50

3.832.900

12.1 (*)

da:Rapporto Rifiuti APAT 2006
(*) Il dato è comprensivo del trattamento termico di RU, CDR e rifiuti speciali, in particolare rifiuti sanitari, presso impianti per il trattamento di rifiuti urbani).

Se poi si considera la distribuzione regionale della combustione dei rifiuti (tab. 9), si nota come oltre il 50% del totale nazionale sia incenerito in impianti situati in Lombardia; aggiungendo l'Emilia Romagna, la Toscana, il Veneto e la Sardegna, si raggiunge circa l’85% della capacità d'incenerimento nazionale.

 

Tab. 9 - Combustione di RU e CDR per regione al 2005


Regione

%

Lombardia

50.8

Emilia R

17.4

Toscana

6.5

Veneto

5.1

Sardegna

4.9

Friuli VG

3.8

Puglia

3.3

Piemonte

2.5

Trentino AA

1.9

Basilicata

1.4

Umbria

0.8

Lazio

0.6

Marche

0.5

Sicilia

0.5

da:Rapporto Rifiuti APAT2006

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