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LA SITUAZIONE DEI RIFIUTI A ROMA
En Plein Air
- di: Rosa Filippini
- La Sindaca Raggi e il Governatore Zingaretti litigano su tutto ma sono sempre stati d’accordo su un punto: “nessun nuovo inceneritore a Roma e nel Lazio”. Ma, in una situazione di continua emergenza e di scarsa trasparenza sulle effettive destinazioni dei rifiuti, le norme più elementari di sicurezza vengono meno. Alla fine, come a Pomezia, i rifiuti bruciano lo stesso, ma “en plein air” provocando disastrose conseguenze sanitarie, ambientali ed economiche.
Dopo una settimana dall’inizio dell’ennesima emergenza rifiuti nella capitale, le liti fra la Regione Lazio e il Comune di Roma hanno avuto un unico effetto: quello di sollevare un tal polverone da cancellare ancora una volta il merito del problema e, con esso, una valutazione obiettiva delle rispettive responsabilità nel fallimento delle gestioni dei rifiuti da parte delle amministrazioni passate e presenti.
Che l’effetto confusione sia voluto dalle due parti è un sospetto verosimile, visto che, al netto delle reciproche accuse, le posizioni effettive e gli atti specifici sono stati simili negli anni e coincidono sostanzialmente ancora oggi. Vediamoli.
La discarica di Roma e la politica di Tafazzi
Che la discarica di Malagrotta andasse inesorabilmente verso l’esaurimento e che fosse inopportuno un suo allargamento ulteriore, le amministrazioni locali di destra e di sinistra lo sapevano fin dagli anni ’90 del secolo scorso. Le giunte capitoline di Rutelli, Veltroni e Alemanno e Marino e i corrispondenti governi del Lazio con Badaloni, Storace, Marrazzo, Polverini, Zingaretti si sono tutte, a più riprese, pronunciate per la chiusura della discarica. Tutte, però, lo hanno fatto più per compiacere i comitati di cittadini sorti nei quartieri intorno alla discarica (comitati appoggiati senza alcuna riserva dal movimento 5 Stelle, anche quando non aveva rappresentanti nelle due istituzioni) che per la preoccupazione di trovare una soluzione più evoluta o anche soltanto più in linea con le normative europee e italiane approvate nel frattempo. Nei fatti, scelte strutturali per il recupero di materia e di energia e per l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti non sono state mai fatte e, fino al 2013, tutte le giunte hanno finito per riconoscere di non avere alternative e per chiedere proroghe all’utilizzo della discarica del bistrattato Cerroni. Di più. Nel 2013, la discarica è stata definitivamente abbandonata senza che fosse predisposta alcuna soluzione alternativa. Paradossale, all’epoca, che tutte le forze politiche plaudissero alla chiusura in quelle condizioni e che, addirittura, la rivendicassero come proprio merito.
Il tabù dell’incenerimento alla romana
Il categorico No agli inceneritori con recupero di energia, da parte dei governi di Roma e del Lazio (che litigano su tutto ma, su questo, sono sempre stati d’accordo e lo sono ancora) si traduce non solo in continue emergenze che riguardano l’immagine, il decoro, l’igiene e la sanità della Capitale ma anche nello scandaloso export di rifiuti romani nelle altre province laziali, nelle altre regioni italiane e in mezza Europa.
Nel corso dell’ultimo ventennio, qualcuno , fra i tanti assessori all’ambiente capitolini e regionali che si sono succeduti, ha certamente valutato l’adozione di un progetto di incenerimento con recupero di energia nell’ambito di un ciclo integrato di rifiuti. Sarebbe strano il contrario, visto che si tratta di una soluzione adottata da tutte le capitali europee più avanzate e da quella metà d’Italia (dalla Lombardia al Trentino e all’Emilia Romagna) che vanta le migliori prestazioni nei servizi ai cittadini e nella protezione ambientale.
Tuttavia, la parola d’ordine, fra i politici e persino fra osservatori e giornalisti, è sempre stata quella di tacere e di negare questa possibilità, nel timore della contestazione dei comitati “No inceneritori”. Una scelta sciagurata che, oltre agli aspetti di negata trasparenza, ha finito per alimentare la diffidenza e la pregiudiziale ostilità delle popolazioni residenti nei pressi dei siti indicati come probabili sedi delle installazioni.
Un’eccezione c’è stata, per la verità, dall’esito infausto, a causa del contesto descritto. Giovanni Hermanin, che fu assessore regionale nel 1995 e presidente dell’Ama nel 2006, riuscì a far approvare la previsione di un nuovo inceneritore nel Piano dei rifiuti. Hermanin non ha mai rivendicato questa sua posizione e non ne ha mai fatto una battaglia politica e culturale, ma non l’ha mai nemmeno negata e, forse per questo, si è trovato politicamente isolato. La cosa che appare veramente paradossale è che, per aver sostenuto una soluzione concretamente alternativa alla discarica, si sia trovato, infine, indagato dalla procura nell’inchiesta sui rifiuti di Roma che coinvolge insieme all’avvocato Cerroni, proprietario della discarica, anche il prefetto Sottile, uno dei commissari governativi incaricati di risolvere una delle tante crisi dei rifiuti romani, e una ventina di altri funzionari e tecnici della regione. L’accusa, per Hermanin, è di aver favorito illecitamente Cerroni. Un reato che appare suggestivo, visto che Cerroni non si è mai trovato in un contesto di agguerrita concorrenza per lo smaltimento dei rifiuti romani, tale da dover ricorrere a mezzi illeciti per costringere tutte le amministrazioni regionali e capitoline che si sono succedute in 40 anni a ricorrere solo ai suoi impianti.
Il tabù dell’incenerimento riguarda, più o meno allo stesso modo, anche la giunta grillina. L’ex assessora Muraro, che Virginia Raggi ha difeso strenuamente, per diversi mesi, anche dagli attacchi interni al movimento, appena 2 anni fa, sosteneva attivamente la necessità di chiudere il ciclo dei rifiuti con il recupero di energia
http://www.atiaiswa.it/2014/07/29/trashed-la-disinformazione-ambientale . Convinzione svanita, dopo la nomina. Chissà se, dopo l’estromissione, ha cambiato ancora parere, visto che, intervistata sulla nuova emergenza, ha dichiarato che i 5 Stelle sono degli “incompetenti”.
Le idee “chiarissime” dei grillini sui rifiuti
Nel frattempo, Antonella Giglio nominata appena sei mesi fa amministratrice unica dell’Ama, l’azienda municipalizzata dei rifiuti, nel gennaio scorso ha stanziato due milioni e mezzo di euro per il revamping dell’inceneritore di Colleferro, si suppone, su imput della giunta romana. Ora, però, dopo che si è sparsa la notizia, l’imput della giunta è cambiato virando in direzione di una trasformazione dell’inceneritore esistente in una non meglio precisata “super stazione di riciclo”. Intervistata dal Messaggero, ora Giglio dichiara che “i termovalorizzatori non rientrano nei nostri obiettivi” ma omette di spiegare quale sarà l’utilizzo o la destinazione della frazione secca di cui lei stessa propone di aumentare la produzione negli stabilimenti Ama di Rocca Cencia. Soprattutto, non spiega quale sia la coerenza degli “obiettivi grillini“ che prevedono la produzione di combustibile da rifiuti ma non il suo utilizzo. In ogni caso, lo zelo manifestato da Giglio nel cambiare improvvisamente decisioni e programmi non è stato sufficiente a garantirle la permanenza nell’incarico: la Sindaca l’ha già sostituita con un nuovo “tecnico” che arriva da Torino.
Di sicuro, in casa 5 Stelle, le idee non sono chiarissime. A cominciare da Grillo che, come se stesse chiacchierando al bar, spiega a noi poveri mortali che risolvere il problema è semplice: basta costruire due separatori di immondizia da duemila tonnellate al giorno, uno a nord e uno a sud di Roma, “come fanno a Barcellona”.
Per fortuna, questa volta la Regione Lazio e il Ministro dell’Ambiente Galletti rispondono in modo appropriato ricordando che a Roma, di separatori ce ne sono già 4 e che a Barcellona, invece, ci sono 3 inceneritori e una discarica.
La sindaca Raggi, per parte sua, intervistata da Vespa su Rai Uno, pensa che a rendere convincente una risposta basti ripeterla come un mantra, ostentando grande sicurezza. Non si accorge, che continuare a invocare autorizzazioni per nuovi impianti di separazione senza dire (o senza preoccuparsi di sapere) dove finirà l’immondizia separata, non rappresenta né una soluzione nè un cambiamento rispetto alle gestioni delle giunte precedenti. D’altra parte, la Sindaca rischia grosso quando le scappa il nome di un’azienda di Aprilia come possibile destinazione. Il giorno dopo, provvedono i suoi stessi colleghi di Movimento dei comuni del Lazio a farle capire che ognuno pensa al proprio collegio elettorale, grande o piccolo che sia, e che i suoi rifiuti, Roma, li deve smaltire all’interno del proprio territorio.
Come direbbe Totò
Ma questo, la Raggi, lo aveva già capito. Infatti sorvola sull’export dei rifiuti romani fuori dalla Regione, negli impianti in Italia (quella che funziona) ma anche nelle discariche di quella che non funziona, e all’estero. Export che, a un anno dall’elezione della sua giunta, riguarda ancora il 90% del totale dei rifiuti prodotti. Almeno, così abbiamo calcolato noi , facendo qualche supposizione, visto che i dati sulla gestione dei rifiuti non sono affatto facili da trovare. Proprio come ai tempi delle giunte precedenti. “Alla faccia della trasparenza!” direbbe Totò.
La grande “ecoballa” e il disastro di Pomezia
E proprio come ai tempi delle giunte precedenti, ogni dichiarazione pubblica della “nuova classe dirigente” tende ad avvalorare la grande balla che la raccolta differenziata sia, di per sè, risolutiva del ciclo dei rifiuti. “Che farete, e come?” incalzano i giornalisti “Faremo la raccolta differenziata! La faremo spinta, la faremo al 70% …” cinguettano on line e in ogni telegiornale, confidando di nascondere la propria incompetenza dietro l’affermazione politicamente corretta più abusata del momento. Citano le direttive europee che vieterebbero inceneritori e discariche. Mentono. E’ proprio l’Europa a raccomandare il recupero energetico prima dello smaltimento finale in discarica, come confermano anche i documenti europeipiù recenti, e come spiega bene l’ENEA in un recente articolo sulla sua rivista.
Ma, tanto, chi le legge le Direttive europee? E’ così che la grande balla (anzi, ecoballa) riesce ancora a tacitare i giornalisti. Nessuno, infatti, pone la domanda successiva, quella sulla destinazione dei rifiuti che, differenziati o separati che siano, restano sempre rifiuti anche se cambiano categoria e, da urbani, diventano speciali.
Questa volta poi, la coincidenza temporale, pur casuale, della crisi nella raccolta dei rifiuti romani e del disastro di Pomezia, avrebbe dovuto facilitare una valutazione congiunta delle due notizie e consentire un dibattito più consapevole e informato. Invece, le due notizie sono rimaste rigorosamente separate sulle pagine dei giornali e nei servizi televisivi.
A noi, invece, appare evidente che il NO ideologico agli inceneritori provochi la necessità di disfarsi di quantitativi sempre crescenti di rifiuti anche se differenziati, tritovagliati, o frullati. L’ ansia dell’emergenza e l’assenza di controlli adeguati finiscono per favorire appalti con aziende poco affidabili che accumulano rifiuti oltre il lecito e senza le misure di sicurezza dovute. E’ così che accadono tragedie come quelle di Pomezia dove i rifiuti bruciano si, ma nei roghi all’aperto, provocando il massimo danno possibile alla salute, ai territori, all’ambiente.