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END OF WASTE
Fatela Più Semplice (2)

- di: Giovanni Barca e Rosa Filippini
- L’emendamento della maggioranza di governo al Decreto Salva Imprese sull’annosa questione dell’End of Waste sblocca finalmente le autorizzazioni regionali, come proposto anche dagli Amici della Terra, ma complica inutilmente le procedure per sbloccare l’economia circolare e rivela un pregiudizio verso le aziende che recuperano gli scarti.
In tema di economia circolare, è una buona notizia che il governo Conte 2 stia individuando una soluzione per definire una procedura per l’End of Waste, che il Conte 1 non aveva assolutamente trovato.
È una soluzione da tempo auspicata dagli Amici della Terra, che vede le Regioni protagoniste dei provvedimenti autorizzativi dei processi di recupero dei rifiuti.
Tuttavia, non si può non rilevare che permangono nell’emendamento al DL salva imprese proposto dai deputati Maronese, Ferrazzi, Comincini e Nugnes (art 13-bis Cessazione qualifica di rifiuto) molte complicazioni, un atteggiamento sospettoso nei confronti delle aziende che riciclano e una non completa fiducia nei confronti del SNPA, che si vuole comunque tenere sotto controllo tramite gli uffici del Ministero dell’Ambiente.
Infatti, l’emendamento si occupa solo delle fasi successive al rilascio dell’autorizzazione, ignorando (e forse, è un bene) tutta la parte che precede l’atto autorizzativo.
Il procedimento autorizzativo è procedura complessa, che vede comunque impegnati molti uffici della PA, comprese le Agenzie per l’ambiente regionali. Le Arpa, con il coordinamento di Ispra, operano in rete nel SNPA, Sistema Nazionale di Protezione Ambientale, che è un soggetto terzo, affidabile, che possiede tutte professionalità per capire se un processo di recupero dei rifiuti, e le sostanze che ne derivano, sono conformi alle direttive comunitarie e non producono danni all’ambiente, nonché alla salute dell’uomo. Le Arpa sono anche quelle che, a legge vigente, debbono operare i successivi controlli.
La proposta avanzata dagli Amici della Terra confermava le procedure vigenti limitandosi a specificare che le verifiche tecniche fossero fatte ex ante dalle Arpa, con il Coordinamento di Ispra, secondo i dettami degli art. 4 e 6 della legge 132/2016.
L’emendamento della maggioranza sembra invece ragionare secondo uno spirito poliziesco, nel sospetto che, ad autorizzazione rilasciata e impianto costruito, sia probabile che si commettano infrazioni che vanno indagate e scovate attraverso specifici controlli.
Ma non si capisce perché le aziende preposte alla concreta attuazione dell’economia circolare debbano avere un trattamento diverso da tutte le altre. Una azienda che tratti rifiuti o che svolge altre attività anche più impattanti, e che sia in possesso di un’AIA, autorizzazione integrata ambientale, è normalmente soggetta ad un iter autorizzativo e a successivi controlli ambientali che le Arpa e gli altri organi di controllo svolgono usualmente. Nel caso in questione, si inserisce una tripla procedura di verifica e controllo che passa da Arpa a Ispra e Ministero dell’Ambiente e che, tra l’altro, potrebbe essere foriera di numerosi contenziosi dovuti alla farraginosa individuazione delle competenze.
Inoltre, appare fantasiosa la previsione di un commissario ad acta che surroghi quelle amministrazioni Regionali che, a controlli avvenuti con esito negativo, non volessero sospendere o revocare l’autorizzazione rilasciata. Il ricorso a commissari ad acta è procedura estrema che non viene nemmeno usata nel caso della grave, endemica emergenza della gestione dei rifiuti nella Capitale!
La previsione di istituire un registro nazionale deputato alla raccolta delle autorizzazioni rilasciate è una buona iniziativa, ma non si capisce perché non possa essere tenuto dagli organi tecnici dell’Ispra e perché le poche risorse previste (200.000 euro) non siano attribuite al SNPA che da anni attende di esser potenziato attraverso la definizione dei Livelli Essenziali di Protezione Ambientale e relativo finanziamento.
L’impressione generale è che, nell’attuale contesto politico istituzionale e, conseguentemente, nell’opinione pubblica, i rifiuti da recuperare siano dei “sorvegliati speciali”, persino più di quelli da avviare a smaltimento.
Altro che economia circolare. Qui, qualsiasi cosa che assuma la qualifica di rifiuto, anche solo per una fase limitata della propria vita, diventa tabù, ed ogni soluzione individuata è valutata con pregiudizio.
Così facendo si cade nell’irrazionalità e ci si allontana dalle soluzioni semplici e sensate che sarebbero necessarie.