Tags: Energia, Efficienza energetica, Clima

OTTAVA CONFERENZA NAZIONALE PER L’EFFICIENZA ENERGETICA

Emissioni e Migrazioni

di: Fabio Pistella
La seconda sessione della ottava Conferenza per l’efficienza energetica ha affrontato il problema dell’ entità e dell’efficacia degli investimenti per le politiche energetico climatiche in considerazione degli obiettivi globali che la comunità internazionale si è posta. Nella sua relazione introduttiva, il prof. Pistella mette l’accento sulla necessità di una strategia realistica che consenta di affrontare, contestualmente ai problemi ambientali, le cause e gli effetti drammatici delle crisi politiche, degli eventi bellici, della povertà, del terrorismo.


A. CHE FARE, OVVERO QUALI LINEE DI AZIONE PERSEGUIRE REALISTICAMENTE

Con l’esito delle elezioni in USA, è consistente il rischio che la feroce polemica sulle cause antropogeniche o meno[1] del riscaldamento globale sia destinata a rinfocolarsi e, invece, si permanga nell’inconcludenza riguardo alle azioni da mettere in campo. La COP21 di Parigi è una prova di apprezzabili dichiarazioni volontaristiche, ma di azioni reali se ne sono viste poche e la COP22 di Marrakech non ha certo invertito la tendenza.

Aldilà dei dichiarati successi di una relativamente rapida ratifica in molti Paesi dell’accordo di Parigi, si è assistito a reazioni contraddittorie come:

- dichiarazioni del mondo ambientalista che gli impegni (per la verità non vincolanti)[2]assunti a Parigi sono insufficienti,

- decisioni (sia ordinativi in Cina e in India, sia altalenanti programmi sul carbone in Germania, solo per fare alcuni esempi) difficilmente compatibili con le dichiarazioni di volontà espresse a Parigi.

Obiettivo di questa riflessione è l’individuazione della tipologia di azioni a più elevato livello di performance e, tra queste, quelle che (per le loro caratteristiche di protezione dell’ambiente e di ragionevole gestione delle risorse) sono desiderabili comunque, anche dal punto di vista di chi non ritiene sufficientemente dimostrata la tesi che il riscaldamento del pianeta sia dovuto alle attività umane.

 

L’uso razionale dell’energia

La linea di intervento più concreta, nella logica sopra delineata, è quella dell’uso razionale dell’energia: ha tutte le caratteristiche di sostenibilità ambientale sociale ed economica; si può dispiegare su tutti fronti del comparto energetico, sia dal punto di vista tecnologico per tutte le fonti, sia dal punto di vista della articolazione in fasi, dalla produzione al consumo, con interessanti prospettive del demand side management, tanto declamate quanto poco perseguite in pratica. Esperienze ne sono state fatte. Quasi tutte con successo (tra gli esempi banali: l’etichettatura degli elettrodomestici, le fasce orarie, l’incremento di rendimento della generazione termoelettrica, la cogenerazione, anche di frigorie, e tanti altri). Restano aperte grandi possibilità che spaziano dai macro sistemi alle singole utenze, ivi incluso lo sviluppo di dispositivi innovativi che potrebbero trarre ulteriori vantaggi dai nuovi trend tecnologici, quali Smart Cities e Internet of Things, Industry 4.0.

 

Le fonti rinnovabili

Quanto alla promozione delle fonti rinnovabili, il decollo c’è stato e va ovviamente salutato con favore. Ma il realismo vuole che si riconoscano alcuni errori dovuti alla fase di crescita esplosiva. Dagli errori si deve apprendere che il vincolo di sostenibilità ambientale economica e sociale va applicato anche alle rinnovabili con alcuni accorgimenti che garantiscano il successo:

  1. perseguire l’innovazione tecnologica (questo vale per settori come il fotovoltaico che molto potrà essere rafforzato da nuovi materiali, ma anche per settori che sembravano perdenti come il solare termodinamico, in particolare, con sabbia a letto fluido);
  2. dare attenzione agli aspetti normativi e regolatori che condizionano, nel bene e nel male, le dinamiche tecnologiche e di mercato (soprattutto evitare decisioni erratiche che impediscano la necessaria stabilità);
  3. non sopravvalutare l’attrattività di singole isole di utenza autosufficienti per ogni tipologia di impiego, back-up incluso, errore di valutazione che farebbe perdere i benefici di integrazione in rete. Piuttosto favorire la creazione di maglie a livello intermedio che aggreghino realtà individuali - produttive e di consumo – e che dialoghino sia con la singola unità sia con reti di maggiore estensione e capacità.

 

Incremento della penetrazione dell’elettricità negli usi finali, in particolare nel settore trasporti

L’automazione nella produzione industriale e la semplicità di impiego confermeranno la tendenza all’incremento della penetrazione elettrica. Ridurre nelle città l’inquinamento e il traffico caotico - basti citare Pechino -promuovendo l’uso di mezzi elettrici pubblici e privati e incrementando il trasporto su ferrovia sono obiettivi condivisi indipendentemente dalle diverse convinzioni sulla natura dei cambiamenti climatici e coerenti con la crescita della quota di consumi energetici in forma elettrica anche per la prevedibile crescita della produzione di elettricità da rinnovabili.

 

Incremento dell’impiego di gas naturale

L’incremento dell’impiego di gas naturale sarà favorito dalla disponibilità in quantità largamente superiore alle stime di qualche decennio fa, dalla distribuzione geopolitica diversificata, dal livello elevato e dalle soluzioni differenziate nella logistica, dagli investimenti recentemente effettuati nella produzione e nella logistica, dall’andamento dei prezzi favorevole alla diffusione e dall’impatto ambientale incontestabilmente molto ridotto rispetto alle altre fonti fossili, sia dal punto di vista convenzionale sia da quello dell’immissione di CO2 nell’atmosfera. I rischi di minore consenso in prospettiva, come l’impatto ambientale del fracking e la preoccupazione sulle perdite di metano – come gas serra – nelle varie fasi dei cicli, sono assai limitati. E’da valutare anche la percorribilità di una sinergia tra il mondo del metano e quello del carbone nel caso si concretizzi il suo impiego previa gassificazione. In tempi ben più lunghi si può immaginare anche una immissione nelle reti del metano di percentuali (fino al 10 %) di idrogeno, qualora significative quantità si rendessero disponibili a costi ragionevoli.

 

Una strategia realistica condivisa

Non a caso, le strategie più realistiche per definire il percorso che porti alla decarbonizzazione prevedono un lungo periodo transitorio nel quale si persegua l’uso razionale dell’energia, l’incremento dell’impiego del gas naturale e una crescita delle fonti rinnovabili - nei segmenti che saranno veramente sostenibili - anche da parte di chi è scettico sulla responsabilità umana nei cambiamenti climatici.

 

B. DOVE E’ PRIORITARIO AGIRE

E’ acquisito che già oggi - e ancor più nei prossimi decenni - la crescita dei consumi energetici e, conseguentemente, la realizzazione di nuovi impianti avverrà soprattutto nei grandi paesi in crescita, a cominciare da Cina e India (ma non vanno trascurati il Sud Est Asiatico e il Sud America e va auspicato uno sviluppo energetico del continente africano come fattore irrinunciabile per l’uscita dal sottosviluppo). Un caso a parte è rappresentato da USA e Russia per la dimensione e per l’impronta - complessiva e pro capite - che li caratterizza.

Eppure, molti sostengono che l’Europa debba “a qualunque costo” ridurre le proprie emissioni di CO2. L’illogicità è nella connotazione “a qualunque costo”, tenuto conto che:

  1. l’impronta energetico ambientale dell’Europa non è particolarmente alta, anzi;
  2. in Europa sono diffuse situazioni di sovraccapacità produttiva, quindi non è necessario realizzare nuovi impianti, anzi stanno fermi con rilevanti conseguenze economiche anche impianti di elevata efficienza come turbogas e ciclo combinato;
  3. si applica al settore la legge dei rendimenti marginali decrescenti (è più costoso e impegnativo ottenere ulteriori benefici su efficienza e impatto ambientale se il livello di partenza è già buono)
  4. l’UE pesa circa il 10 % nelle emissioni di CO2[3]e, se si lancia in un programma “lacrime e sangue” di riduzione pari al 15 % dei valori attuali, a fine periodo (immaginiamo al 2040, tanto per fissare una data) avrà dato al contenimento del totale delle emissioni un contributo pari a circa l’1.5 %. Anche meno, visto che le emissioni, inevitabilmente, a quella data, saranno salite rispetto ai livelli attuali. La retorica del dare un segnale e del fare la propria parte appare inefficace e inefficiente. E rischiosa, perché penalizzante oltre misura nella competitività sia di importanti comparti sia trasversale, per effetto degli elevati costi dell’elettricità sostenuti dal sistema produttivo;
  5. un approfondimento a parte dovrebbe essere dedicato ai meccanismi di attuazione delle policy UE; un esempio dei limiti operativi di questi meccanismi sta nella ripartizione tra paesi membri degli impegni UE e nell’enforcement di strumenti quali gli ETS per non parlare, a livello internazionale, delle interminabili discussioni sulla carbon tax.

Da quanto sopra risulta evidente la convenienza di realizzare gli interventi delineati nel paragrafo precedente in quei paesi dove l’esigenza di efficienza è più marcata, dove si manifesta la domanda di nuovi impianti e infrastrutture e dove i rendimenti economici sono più soddisfacenti. Meccanismi di collaborazione tra paesi in crescita e paesi industrializzati erano stati previsti nelle fasi di negoziazione e, in parte, nei testi finali degli accordi via via sottoscritti, in particolare nel Protocollo di Kyoto, ma l’entità della loro applicazione è stata modesta.

 

C. MECCANISMI DI INTERVENTO COST SHARING E AGENZIE INTERNAZIONALI DA COINVOLGERE

La circostanza che gli eventi significativi avvengano nei paesi in fase di sviluppo non comporta che gli oneri corrispondenti siano esclusivamente a carico di quei Paesi.

Un principio di riferimento potrebbe essere che i sovra costi associati all’impiego delle cosiddette best available technologies,derivanti dal perseguimento degli obiettivi sopra indicati, sia sostenuto dai Paesi industrializzati, con meccanismi da definire, per esempio in forma di prestiti a lungo termine e basso tasso di interesse. Si potrebbe anche far ricorso a un meccanismo di Project Financing ad hoc per i costi aggiuntivi che preveda la cessione ai Paesi finanziatori di una quota delle tariffe per l’elettricità prodotta dai nuovi impianti. Per esempio, nel caso di aumento di efficienza nella generazione elettrica questo meccanismo sarebbe senza oneri per i Paesi dove gli impianti verrebbero installati. In alternativa, potrebbero essere utilizzate formule di lavorazione per conto o di trading (il caso della siderurgia e dell’allumino potrebbero prestarsi ad accordi di questo tipo che integrino la cessione di tecnologia con risvolti economici e finanziari). Potrebbe essere delineata una sorta di Piano Marshall in versione aggiornata con vari ulteriori benefici quali una responsabilità condivisa tra Paesi in crescita e Paesi industrializzati e, per questi ultimi, una rinnovata stagione di commesse per imprese dell’elettromeccanica e della green economy che stanno fronteggiando una crisi di domanda. Un ruolo potrebbero giocarlo anche le grandi imprese del mondo  degli idrocarburi, che hanno già dato segnali di disponibilità a fare la loro parte per governare la transizione, e le grandi utility come l’ENEL, già significativamente internazionalizzate. Spunti interessanti potrebbero essere colti dal ricorso, con i necessari interventi correttivi, ad accordi del tipo diffusamente utilizzato dai cinesi nel continente africano.

Un approccio di questo tipo richiede una diversa modalità operativa di alcune importanti Agenzie internazionali e soprattutto ben più incisive formule di coordinamento e integrazione a livello sia di policy sia di gestione di singoli progetti. In sede di COP21, è stata menzionata l’ipotesi di coinvolgere il WTO nella gestione del fantomatico Fondo da 100 miliardi di dollari. Ottima idea. Ma per raggiungere il livello di investimento necessario, dovranno essere coinvolti organismi quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale e anche, su scala diversa, La Banca Europea degli investimenti. E’ interessante osservare che, fra questi, il FMI ha dato segnali di ripensamento di alcune scelte di policy aprendo verso politiche più espansioniste, un’opportunità da non perdere. Potrebbero essere usati strumenti di politica economica internazionale, come il riconoscimento a un paese dello stato di economia di mercato, in correlazione con la sua adesione a meccanismi virtuosi di investimento nel settore energetico-ambientale.

Più in generale, un disegno di intervento di largo respiro darebbe occasione per una migliore finalizzazione e sinergia tra le numerose e spesso sovrapposte Agenzie delle Nazioni Unite, dalla FAO all’UNEP. La recente nomina di un nuovo valente Segretario Generale delle Nazioni Unite potrebbe portare a un processo di riforma ed efficientamento anche avvalendosi dell’entusiasmo e della mobilitazione per un obiettivo così ambizioso e motivante.

Un’osservazione conclusiva. Si sta diffondendo la consapevolezza che le crisi politiche con risvolti bellici, le difficoltà economiche e sociali (a cominciare da quelle africane), le migrazioni e perfino il terrorismo sono fenomeni inestricabilmente connessi che non ha senso affrontare singolarmente. Bisogna riconoscere che con il Migration Compact il governo italiano ha disegnato un percorso che merita di essere approfondito. La sua udienza in ambito europeo è una parabola, partita con le critiche, passata per una effimera condivisione e relegata in un colpevole oblio. Eppure, è l’unica proposta degna di nota in un contesto di improvvidenza desolante di fronte a tragedie che proseguono e non accennano ad attenuarsi. Tante parole sulle potenziali future drammatiche conseguenze dei cambiamenti climatici (e pochi fatti). Sulle migrazioni, con il loro carico di conseguenze immediate e in prospettiva, sono finite pure le parole e i fatti restano pochi, anzi pochissimi. Lo sviluppo del binomio disponibilità di energia e protezione dell’ambiente potrebbe dare invece luogo a risultati concreti sul fronte della risposta ai cambiamenti climatici e non solo. A quando una COP sul Piano Marshall degli anni 2000 che affronti il dramma dello sviluppo sostenibile nei suoi risvolti ambientali economici e sociali con lo stesso risalto mediatico e lo stesso parterre de rois che ha avuto a Parigi la COP21? (Speriamo, però, con esiti meno vaghi e inconcludenti).



NOTE

[1] Da parte degli assertori dell’origine antropogenica dei cambiamenti climatici dovrebbero essere ammesse tre asserzioni: i cambiamenti climatici sono risultato di una complessa molteplicità di fenomeni con forti elementi di feedback, e pertanto molti difficili da modellare; anche sull’incidenza di molti singoli fenomeni permane un significativo livello di incertezza; questo quadro giustifica il dubbio e criminalizzare o anche solo ridicolizzare chi espone argomentandoli seriamente i propri dubbi, è al di fuori delle regole accettate sul rispetto delle opinioni altrui. Inqualificabile è il comportamento di chi sostiene si debba sanzionare penalmente chi non si allinea al pensiero prevalente (peraltro sul significato di prevalente in questo caso ci sarebbe molto da discutere)

[2] Si tratta di dichiarazioni unilaterali di volontà da parte dei singoli governi senza obblighi giuridici e tantomeno sanzioni per inadempienza

[3]Naturalmente andrà posta attenzione all’impronta ambientale – ed energetica – dei prodotti importati (esempi illuminanti quello dell’alluminio e del cemento); motivo in più (vedi nel seguito) per investire nei paesi in fase di industrializzazione e crescita economica dove alcune produzioni energivore si sono trasferite per effetto della globalizzazione.

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