Tags: Energia, Europa, Governo, Fonti fossili

IDROCARBURI IN ADRIATICO

I paletti alla Croazia

di: Beniamino Bonardi
L’Italia, come paese direttamente interessato, partecipa alla procedura di Valutazione ambientale strategica che la Croazia ha avviato sul proprio programma di ricerca e produzione di idrocarburi nel Mare Adriatico. Nel poco tempo concesso dalla procedura, non sono comunque pochi gli aspetti per i quali il Ministero dell’ambiente ha formulato osservazioni e i rilievi che sono stati inoltrati a Zagabria. L’Italia dovrà essere consultata anche in fase di Via, da effettuare per ciascuna singola opera prevista dal programma.



Il Ministero dell’ambiente italiano ha sollevato numerose osservazioni sulla Valutazione ambientale strategica (Vas), che la Croazia ha fatto sul proprio programma di ricerca e produzione di idrocarburi in Adriatico. Numerosi rilievi critici sono stati sollevati anche dall’Ispra, oltre che dalle Regioni contrarie al progetto croato. L’Italia partecipa alla procedura di Vas avviata da Zagabria come Stato interessato dai potenziali impatti transfrontalieri del programma. Va notato che la partecipazione dell’Italia a questa procedura è stata sollecitata dal nostro governo il 25 agosto 2014. Il 26 febbraio scorso la Croazia ha notificato all’Italia l’avvio delle consultazioni transfrontaliere e il 4 maggio il nostro Ministero dell’ambiente ha inviato a Zagabria le proprie osservazioni. I tempi, quindi, sono stati ristretti, tanto è vero che, nel trasmettere al Ministero le proprie valutazioni, che andranno approfondite, l’Ispra ha sottolineato di aver avuto a disposizione solo dodici giorni lavorativi.

La ricerca di idrocarburi in Adriatico da parte della Croazia prevede rilievi sismici 2D e 3D e la perforazione esplorativa per un periodo massimo di cinque anni. La produzione di idrocarburi è prevista per un periodo massimo di trent’anni. Le attività di ricerca e produzione si svolgeranno all'interno di 29 blocchi (aree): 8 blocchi nell’Adriatico settentrionale, 16 blocchi nell'Adriatico centrale e 5 blocchi nell'Adriatico meridionale. La superficie di ciascun blocco varia dai 1.000 ai 1.600 kmq.

Dopo aver rammentato alle autorità croate che alla Vas dovranno seguire le Valutazioni d’impatto ambientale (Via) delle singole opere, anch’esse soggette a consultazione transfrontaliera, il Ministero dell’ambiente evidenzia le criticità riscontrate nel progetto della Croazia, sottolineando come “sia l’analisi di contesto che la valutazione degli impatti cumulativi e le relative mitigazioni debbano prendere in adeguata considerazione i possibili, ulteriori impatti transfrontalieri riferibili a un’area confinata e limitata come il Mare Adriatico”, in particolare “al fine di evitare l’insorgere di impatti cumulativi derivanti dallo svolgimento di attività simultanee in blocchi contigui”. La Via, afferma il Ministero, “dovrà poter arrivare a escludere attività, anche se pianificate, che mettano a rischio la sostenibilità ambientale dell’intero Piano”.

Nella documentazione inviata da Zagabria, il nostro Ministero rileva “la mancanza di una generale Valutazione d’Incidenza (almeno come adeguata considerazione), pur in presenza di un grandissimo numero di siti della Rete Natura 2000 in un ambito così ristretto e inconfinabile”. Questa Valutazione d’Incidenza viene giudicata necessaria, “per prevenire o comunque minimizzare impatti su questa strategica componente del patrimonio naturalistico europeo”.

Entrando più nello specifico, il Ministero dell’ambiente osserva che nel Rapporto Ambientale croato deve essere richiamata e inserita la strategia europea per la regione adriatico-ionica, che istituisce un quadro per la pianificazione dello spazio marittimo. Inoltre, si osserva che nel Rapporto “non è stata data evidenza della coerenza con la pianificazione di settore, la cui conformità con la sostenibilità ambientale deve essere opportunamente evidenziata per i necessari riscontri”.

In relazione agli impatti cumulativi della contaminazione chimica, il Ministero osserva che “il lasso di tempo stimato del rilascio di inquinanti in mare (5 anni a seguito delle perforazioni e 25 anni minimo per le perforazioni) richiede che siano considerati anche gli eventuali effetti cronici negli organismi marini dovuti a esposizione prolungata a basse concentrazioni a inquinanti persistenti e biologicamente attivi”. Per il Ministero è anche necessario “prevedere adeguate garanzie finanziarie a copertura dei possibili danni ambientali derivanti da incidenti, che statisticamente, come si evince dalle informazioni registrate in diverse banche dati, possono presentarsi con elevata frequenza”.

Per quanto riguarda il potenziale impatto del rumore sottomarino prodotto dalle attività del Piano croato di prospezione e sfruttamento, il Ministero sottolinea che “vi è evidenzia scientifica sufficiente per osservare che, pur con sostanziali differenze a seconda degli organismi colpiti, il rumore può avere effetti notevoli, anche letali, sulle comunità viventi, mentre rimangono ancora in parte sconosciuti natura e persistenza dei danni a livello di popolazioni e specie”. In ogni caso, il Rapporto Ambientale presentato dalla Croazia “conferma il notevole impatto prodotto dalle attività di prospezione e sfruttamento che il Piano prevede” e, data la natura di mare chiuso dell’Adriatico, tale disturbo “si propagherà alle acque e coste italiane praticamente tal quale o con lievissime attenuazioni dovute a condizioni di propagazione sonora particolari”.

Il Ministero osserva che, “per quanto riguarda gli aspetti geografici e spazio-temporali del Piano, si ritiene che allo stato attuale non esista mitigazione adatta a prevenire gli impatti o anche solo a mitigarne gli effetti. Si suggerisce di valutare in maniera approfondita varianti locali limitate nel tempo in modo che, attraverso adeguata mitigazione, possa essere comunque garantito che il rumore somministrato all’ambiente risulti sostenibile e che le dosi erogate siano compatibili con gli organismi che le ricevono. Si tengano in debito conto altresì i contenuti ambientali e paesaggistici, economici (turismo e pesca) e di conservazione del patrimonio naturale del mare Adriatico”.

Il Ministero chiede anche che venga definito un unico e complessivo cronoprogramma delle operazioni di ricerca, con “valutazioni preventive e precauzioni di vario tipo laddove si utilizzi l’air-gun, atteso che l’impatto di tale tecnica sui cetacei è accertato”.

Per quanto riguarda le potenziali interferenze con le specie avifaunistiche, il Ministero dell’ambiente osserva che il Piano Ambientale croato valuta come positiva la presenza delle piattaforme per le popolazioni di uccelli migratori e marini, mentre per il nostro Ministero “tale asserzione non appare del tutto condivisibile” e si chiedono numerosi approfondimenti e integrazioni.

Il Ministero dell’ambiente sottolinea il mancato approfondimento del tema dell’inquinamento dell’aria e afferma che, “pur comprendendo le incertezze legate alle tempistiche di attuazione del piano nelle sue diverse fasi e al numero di pozzi di produzione”, ritiene necessario che sia rappresentato, anche se con dati di area vasta, l’attuale stato della qualità dell’aria e del contesto meteo-climatico dell’area interessata, per porsi degli obiettivi strategici, che andranno poi monitorati, per la riduzione delle emissioni di gas climateranti e per il risparmio energetico.

In relazione alla subsidenza e alla sismicità indotta, il Ministero dell’ambiente chiede di integrare la documentazione con analisi e valutazioni preliminari, da condurre “con cura” sulla base delle conoscenze disponibili, per “individuare eventuali potenziali impatti sul patrimonio culturale, naturale, sociale ed economico delle coste italiane”, prevedendo misure specifiche di prevenzione e minimizzazione. Queste analisi e valutazioni dovranno considerare quanto già in atto da parte dell’Italia, ad esempio per la laguna Veneta e il Delta del Po.

Sui fanghi da perforazione, la distanza tra Italia e Croazia è notevole. Il nostro Ministero dell’ambiente chiarisce che “l’eventuale rilascio di fanghi a fondo mare è una pratica che non è compatibile con la tutela della biodiversità” e chiede alla Croazia di porre un divieto, “in analogia con quanto già avviene in Italia”, che considera rifiuti tutti i fanghi di trivellazione nelle attività di perforazione.

Sulle misure di tutela e mitigazione ambientale, il Ministero chiede che la Croazia specifichi meglio “come e con quali effetti saranno applicate le previste misure di tutela ambientale, con particolare riferimento a cetacei e tartarughe, integrando inoltre la documentazione con le specifiche misure previste per la minimizzazione degli impatti sulla rete trofica”.

Il Ministero dell’ambiente evidenzia anche alcuni elementi di criticità legati ai profili di sicurezza della navigazione, che devono essere colmati con misure appropriate, “soprattutto al fine di prevenire/evitare sinistri con esiti inquinanti”.

In merito al monitoraggio e contrasto degli inquinamenti da idrocarburi, il Ministero dell’ambiente osserva che nel Piano Ambientale croato “l’aspetto relativo agli sviluppi a seguito di eventi incidentali non viene affrontato”, e chiede che anche la Croazia attui la direttiva europea 30/2013, realizzando, come ha fatto l’Italia, un sistema integrato di sorveglianza (satellitare, aerea e navale) delle piattaforme petrolifere, per l’individuazione precoce di eventuali sversamenti di idrocarburi. Il nostro Ministero “ritiene che tale sistema sia una prassi necessaria per gli Stati membri, in particolare in Adriatico, per la specifica ristrettezza e conformazione fisica” e conclude richiedendo che “si tenga in debito conto quanto sopra da considerare una priorità”.

Il documento del Ministero dell’ambiente si chiude chiedendo alla Croazia “chiarimenti e rassicurazioni relativamente alle azioni che si intende porre in essere a seguito del verificarsi di impatti significativi non previsti”.

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