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LO SMANTELLAMENTO DEGLI IMPIANTI NUCLEARI IN ITALIA

Il prato è verde, ma quanto è vicino?

di: Roberto Mezzanotte
Secondo i programmi annunciati dalla Sogin, il decommissioning della centrale di Caorso sarà portato a termine nel 2025 e prima del 2030 quasi tutti gli altri siti nucleari italiani saranno definitivamente liberati. È un obiettivo importante, che richiede però due condizioni: il superamento delle inefficienze che vi sono state sino ad oggi e la realizzazione entro il 2020 del deposito nazionale ove collocare i rifiuti radioattivi. Nel frattempo proprio dai rifiuti radioattivi giungono notizie meno confortanti: a Caorso si scopre che qualcuno tra gli 8000 fusti che li contengono è bucato.


 

Da qualche settimana la centrale di Caorso, la più grande delle quattro centrali nucleari realizzate in Italia, si è posta all’attenzione per due notizie di segno opposto.

La più recente riguarda la scoperta che, all’interno dei depositi dove sono ospitati i circa 8000 fusti di rifiuti radioattivi sin qui prodotti dalla centrale, alcuni di essi sono fortemente corrosi, sino a risultare in qualche caso bucati, con possibile fuoriuscita di radioattività. Vista la percentuale assai limitata di fusti danneggiati, la notizia non sarebbe di per sé preoccupante, se non fosse che il danneggiamento interessa, a quanto si comprende, un tipo di rifiuti un po’ particolare. Si tratta di rifiuti a suo tempo già condizionati con un procedimento che si è poi rivelato difettoso, con l’utilizzo di un materiale che ha dato luogo alla liberazione di sostanze corrosive all’interno dei fusti. Il problema è noto da anni, ma ancora oggi la soluzione da adottare non è stata individuata. In ogni caso, sembra che la Procura di Piacenza, alla quale è giunto un rapporto degli ispettori dell’ISPRA, abbia aperto un fascicolo per la violazione delle norme che, nel decreto legislativo 230/1995, riguardano la corretta gestione dei rifiuti radioattivi.

Solo qualche giorno prima vi era stata invece la notizia positiva: entro il 2025 la centrale di Caorso, sarà completamente smantellata ed il sito tornerà libero, esente da ogni vincolo derivante dalle attività nucleari che si sono svolte su di esso. È quanto aveva affermato in un incontro con la stampa il responsabile per il decommissioning degli impianti dell’area nord della Sogin, la società pubblica costituita nel 1999, alla quale è affidata la disattivazione degli impianti nucleari italiani e la gestione dei rifiuti radioattivi presenti in essi.

Ad infondere l’ottimismo che dalla dichiarazione traspare sono stati gli effetti dello snellimento delle procedure autorizzative voluto dal decreto-legge n. 1 del 2012, il cosiddetto decreto “cresci Italia”, convertito dalla legge 27/2012. In forza di quelle norme sono state già rilasciate le autorizzazioni al decommissioning delle centrali di Trino, nel luglio scorso, e del Garigliano, in settembre, ed è previsto a breve anche il rilascio dell’autorizzazione per Caorso.

In realtà, le semplificazioni procedurali introdotte dalle nuove disposizioni non appaiono di per sé decisive, né propriamente rivoluzionarie: ciò che la legge sostanzialmente prevede è il ricorso estensivo allo strumento della conferenza dei servizi, uno strumento introdotto da diversi anni, nel 1990, dalla legge 241 ed utilizzabile in tutte le procedure amministrative, tant’è che già nel 2000, senza che nessuna legge specifica lo richiedesse, venne impiegato per emanare una prima, parziale autorizzazione al decommissioning, proprio per la centrale di Caorso.

Va anche detto che la Sogin è comunque già titolare di atti autorizzativi che le hanno consentito, e ancora le consentono, di operare sui siti, pur se, indubbiamente, le nuove autorizzazioni le permetteranno una pianificazione delle attività su basi e con prospettive più certe. Tali pianificazioni portano oggi a collocare tra il 2022 e il 2029 il rilascio finale dei diversi siti, con la sola eccezione di quello di Latina, per il quale, in relazione alle particolari caratteristiche della centrale che in esso è ubicata, il rilascio è previsto per il 2035.

Se il programma verrà rispettato, la Sogin avrà realizzato in tempi ancora ragionevoli un’opera di bonifica indiscutibilmente imponente, quale è quella che si presenta oggi sugli otto siti nucleari italiani. Ma per riuscire dovranno essere superati due ostacoli di non poca rilevanza.

Il primo è costituito dalle inefficienze del sistema, inefficienze che, sino ad oggi, hanno impedito alle attività di procedere secondo i programmi prestabiliti.

Non sarà certo solo responsabilità della Sogin, ma è un fatto che, dopo oltre venti anni da che il CIPE ha decretato l’inizio del decommissioning degli impianti nucleari italiani e dopo tredici anni da che è stata adottata una nuova strategia di disattivazione, quella cosiddetta accelerata, e ne è stata affidata l’esecuzione alla Sogin, sui siti si è compiuto mediamente solo il 12 per cento del lavoro da svolgere, dato questo del Ministero dello sviluppo economico, mentre è peraltro circa il doppio la percentuale già spesa dei 6,7 miliardi di euro che rappresentano il preventivo attuale dei costi dell’intera bonifica.

Il secondo ostacolo è costituito dalla mancanza del deposito nazionale ove trasferire i rifiuti radioattivi già presenti sui siti e quelli che verranno prodotti con lo smantellamento degli impianti.

I primi programmi della Sogin erano basati sull’ipotesi, allora indicata dal Governo, di disponibilità del deposito nazionale entro il 2010. Quando l’irrealizzabilità di tale ipotesi ha cominciato ad essere evidente, la Sogin ha modificato i suoi piani ed ha assunto come riferimento per la tempistica non più il rilascio finale dei siti, il cosiddetto green field, ma il termine delle attività di smantellamento, prevedendo la costituzione di depositi temporanei di rifiuti in ciascuno dei siti, i quali si verranno così a trovare in una condizione detta di brown field.

Solo quando il deposito nazionale sarà concretamente disponibile si potrà procedere con lo svuotamento dei depositi temporanei e con la loro demolizione finale. Quando potrà avvenire questo? La nuova ipotesi è che il deposito nazionale venga realizzato entro il 2020 ed è su di essa che sono basate le previsioni circa il rilascio dei siti, compresa quella del 2025 per il sito di Caorso.

La legge affida alla Sogin anche la realizzazione e la gestione del deposito nazionale, che dovrà sorgere nell’ambito di un più ampio “parco tecnologico”, destinato ad attività di ricerca e di servizio. Ma è chiaro che in questo caso il rispetto dei programmi dipenderà, più che dalla Sogin, dalla possibilità di ottenere il consenso delle comunità e delle amministrazioni locali interessate. Basterà la prospettiva del parco tecnologico e dei benefici compensativi per superare le prevedibili resistenze? C’è da sperarlo, perché l’opera è indispensabile, e non solo per poter procedere con il decommissioning degli impianti.

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