Tags: Energia, Fonti fossili

SHALE GAS E ALTRI IDROCARBURI NON CONVENZIONALI.

La rivoluzione che l’Italia non vede

di: Alessandro Clerici (Chairman del gruppo di studio WEC “Risorse energetiche globali e tecnologie”)
Da anni lo “shale gas” ha innescato una vera e propria rivoluzione energetica, con profonde trasformazioni della geopolitica, del fronte dei produttori, dei prezzi, delle stime delle riserve – che superano i 200 anni - e della loro distribuzione. Gli Stati Uniti fanno da battistrada, ma interessanti prospettive si aprono anche in Asia e Africa. Meno favorita l’Europa. Quel che serve è una chiara visione strategica, che metta a fuoco opportunità e problemi e ispiri scelte ragionate. Strano però: è come se in Italia non ci si fosse accorti di nulla.


 

Negli ultimi anni a livello mondiale nel settore energetico si è assistito ad una “rivoluzione” capitanata dagli Stati Uniti e che va sotto il nome dello “shale gas”, “rivoluzione” passata abbastanza inosservata in Italia, legata ad importazioni di gas tramite gasdotti e con contratti di lunga durata.

Gli Stati Uniti ottengono ormai più del 25% dei loro consumi dallo “shale gas” e si sono resi indipendenti dalle importazioni del costoso GNL (gas naturale liquefatto); stanno già programmando per il prossimo futuro di diventare esportatori di GNL e pare che abbiano già definito alcuni contratti di forniture per il 2016.

Ma cos’è lo shale gas e come si piazza tra gli idrocarburi non convenzionali?

Molti dei dati riportati in questo articolo fanno riferimento alle pubblicazioni WEC (1),(2) e (3) con aggiornamenti dedotti da incontri con esperti del settore durante riunioni del WEC

 

1.   Alcune definizioni per idrocarburi non convenzionali
Si definiscono “oilshales”quelle rocce sedimentarie a grana fine che contengono una gran quantità di materiale organico (kerosen); si possono utilizzare come combustibile bruciandole direttamente (l’Estonia ad esempio produce ancora oggi la quasi totalità della sua elettricità dall’oilshale bruciato in speciali caldaie) o per estrarre combustibili liquidi (shaleoil) o in parte gassosi. Nell’oilshale il rapporto tra materiale organico (MO) e materiale minerale (MM) può variare da 1/7 ad 1/3; il materiale organico si decompone a circa 500°C in shaleoil e gas.

Il carbone si differenzia dall’oilshale avendo un rapporto idrogeno/carbonio più basso ma un rapporto MO/MM pari quasi ad 1.

L’uso dell’oilshale si può far risalire al 1600. Dal 1950 ne sono state estratte da 20 a 45 milioni di tonnellate all’anno (v. Fig1),  per la massima parte in Estonia e, con quantità nettamente inferiori, in Russia, Cina e Brasile. La Scozia fino al 1935 è stata praticamente l’unico produttore.

Figura 1 - Produzione mondiale di oilshale in milioni di tonnellate dal 1880 al 2010. Source: Pierre Allix, Alan K.Burnha

Considerando che il contenuto di shaleoil è di circa 100 l/ton di oilshale, lo scarso utilizzo dell’oilshale per derivarne petrolio è dovuto alla maggior economicità del petrolio convenzionale.

Per quanto riguarda gli olii extra pesanti (extra heavyoils) e il bitume, sono contenuti in giacimenti di petrolio che si sono degradati nel tempo per azione microbiologica ed hanno raggiunto una densità superiore a quella del petrolio convenzionale (1.02-1.04 rispetto a 0.83) ed una notevolissima viscosità (1000 volte superiore a quella del petrolio per gli olii extra-pesanti e 30.000 volte superiore per il bitume). Contengono in maggior proporzione rispetto al petrolio metalli come nickel, vanadio, zolfo e azoto.

Per quanto se ne sa finora, gli olii extra-pesanti si trovano in giacimenti che vanno dal centinaio di metri di profondità (Cina, Polonia, Indonesia) ai 1500 metri di Venezuela, Russia, UK e Israele, ai 3.000 metri del Perù.

Il bitume è contenuto in rocce comunemente chiamate “tar sands” o “oilsands” ed è stato utilizzato fin dall’antichità per pavimentazioni; la profondità dei giacimenti conosciuti varia da pochi metri (Cina e Madagascar) a 350 metri (Canada)

L’estrazione e l’upgrading degli olii extra-pesanti e del bitume per trasporto e trasformazione in prodotti finiti prevede varie tipologie di interventi dove però acqua, calore, solventi e processi per aumentare il rapporto idrogeno/carbonio (“carbon rejection” o “hydrogenaddition”) sono utilizzati in funzione sia del tipo di “materia prima” disponibile, sia dei prodotti finiti che si vogliono ottenere.

Lo “shale gas”, è gas naturale contenuto libero nelle microporosità di sedimenti argillosi (v. Fig2),  o che è “attaccato” alla loro superficie; i giacimenti cnosciuti si trovano tra i 2000 e i 5000 metri di profondità e l’estrazione avviene con perforazioni verticali e poi orizzontali (v. Fig3),   tipologia utilizzando acqua ad alta pressione (“fratturazione idraulica” – “hydraulicfracturing”) con additivi chimici per favorire la fuoriuscita del gas e “incanalarlo” verso la superficie.


Figura 2 - Illustrazione di giacimenti di shale gas rispetto a giacimenti di differente tipologia

Dell’acqua immessa, solo il 25% circa ritorna in superficie dove, per essere riciclata, richiede particolari trattamenti.

Figura 3  - Tecnologia di estrazione dello shale gas 

Un’altra tecnologia in fase di studio prevede il “gas fracturing” con propano liquefatto, con risparmi di acqua e minori pericoli di contaminazione.

Il recupero del gas contenuto in un giacimento è attualmente intorno al 30%, il che comporta la necessità di perforare un gran numero di pozzi per ottenere una produzione economicamente sostenibile.

 

2.   Le riserve di idrocarburi non convenzionali
Le riserve mondiali di oilshale sono valutate attorno ai 660 miliardi di TEP (Tonnellate Equivalenti di Petrolio) di contenuto di shaleoil, dei quali il 30% tecnicamente estraibile; risultano quindi superiori ai 175 miliardi di TEP delle riserve accertate di petrolio convenzionale.

I 2/3 delle riserve sono negli Stati Uniti, seguiti da Russia e Brasile, che congiuntamente hanno una share del 20%.

Attualmente la produzione di shaleoil da oilshale è di circa 1 milione di tonnellate all’anno, contro i circa 4 miliardi di tonnellate di petrolio convenzionale.

Le riserve di bitume accertate sono valutate pari a 35 miliardi di TEP di contenuto estraibile di petrolio, dei quali il 70% in Canada, seguito da Kazakhstan e Russia. In totale, i 598 giacimenti stimati in 23 nazioni conterrebbero potenzialmente più di 300 miliardi di TEP di petrolio. La produzione mondiale attuale da tar sands/bitume proviene praticamente dal solo Canada ed è di circa 65 milioni di TEP all’anno, pari al 45% della produzione totale di petrolio del Canada

Le riserve accertate di oli extra-pesanti contengono petrolio estraibile per circa 75 miliardi di TEP, di cui oltre 70 miliardi in Venezuela. La produzione si aggira sui 50 milioni di tonnellate all’anno, praticamente solo in Venezuela. I giacimenti identificati in 30 paesi conterrebbero potenzialmente petrolio pari a circa 50 volte quello delle riserve accertate; le maggiori potenzialità sono nella “cintura dell’Orinoco” in Venezuela

Per lo shale gas, le risorse “risked” a livello mondiale sono pari a circa 200 mila miliardi di m3 suddivisi in 48 bacini in 32 nazioni, non considerando i paesi dell’Africa Centrale, oltre a Russia e Medio Oriente, che posseggono ingenti riserve di gas naturale.

Sebbene le valutazioni varino frequentemente in funzione di nuove scoperte, la suddivisione per continenti risulterebbe (v. Fig. 4):

Nord America                     ~ 29%
Asia                                    ~ 22%
Sud America                       ~ 19%
Nord Africa e Sud Africa      ~ 15%
Europa                               ~ 9%
Australia                             ~ 6%

Figura 4 - "Risked Recoverable Shale Gas Estimates - 2011." I giacimenti di shale gas nei vari continenti ed il valore stimato in migliaia di miliardi di piedi al cubo.Per avere i metri cubi occorre moltiplicare per 0,028.(NB la virgola in inglese equivale ad un punto)

La Cina risulta il primo paese con il 18% delle probabili riserve, seguito da Stati Uniti, Argentina e Messico.

Per quanto riguarda l’Europa, la Polonia risulta il paese con le “riskedrecoveryresources” più elevate, pari a 5 mila miliardi di m3, seguita a poca distanza dalla Francia e poi da Norvegia, Ucraina, Svezia, Danimarca, UK, Germania e Olanda

Le riserve mondiali di shale gas sono stimate ad oltre 2,5 volte le riserve di gas naturale, portando a ben oltre 200 anni il rapporto tra riserve e consumi attuali di gas.

La produzione mondiale di shale gas è praticamente limitata agli Stai Uniti che hanno superato nel 2012 i 175 miliardi di m3 (il doppio dei consumi italiani di gas).

 

3.   Lo shale gas: opportunità, rischi ed aspetti geopolitici
Le potenziali grandi risorse dello shale gas, con l’impetuoso sviluppo negli ultimi anni negli Stati Uniti, stanno fortemente influenzando lo scenario energetico mondiale.

Basti pensare che negli Stati Uniti (praticamente finora gli unici grandi produttori di shale gas a livello mondiale) si è passati da una produzione di 59 miliardi di m3 nel 2008 a oltre 175 miliardi di m3 nel 2012, con oltre 30.000 pozzi in esercizio. La percentuale di shale gas sui consumi totali è pari al 25%, con una proiezione al 46% per il 2030.

Tale immissione di gas sul mercato ha portato il prezzo del gas naturale a circa 3 $/MBTU, meno di 1/3 del prezzo del gas in Europa e meno di 1/5 di quello in Giappone.

Il gas sta quindi aumentando drasticamente negli Stati Uniti la propria quota nella produzione di energia elettrica a spese del carbone, ha praticamente“ucciso” il nucleare - che ha un costo del kWh certo non comparabile con quello da centrali a gas (~3 c $ al kWh) in regime di bassi prezzi del gas-, e infine sta ponendo seri problemi alla competitività delle rinnovabili elettriche.

La riduzione di consumi di carbone negli Stati Uniti ha provocato una forte immissione di carbone US nel mercato mondiale, influenzandone i prezzi.

Nell’Energy Leaders Forum del WEC nel febbraio 2013 a New Delhi è stato sottolineato che i consumi locali del gas a basso prezzo negli Stati Uniti sono indirizzati, come sopra accennato, alla sostituzione del carbone nella produzione di elettricità. Il gas ha visto la sua “quota” nella produzione di elettricità salire dal 16% nel 2000 al 25% nel 2011 ed è previsto al 33% nel 2013, contro una quota del carbone in discesa dal 52% nel 2000 al previsto 37% nel 2013). È emerso che i possibili volumi per esportazione non sono ad ora prevedibili e di valore tale da contribuire ad un sostanziale allineamento nelle varie aree mondiali dei prezzi del gas, considerando anche i costi associati a liquefazione-gassificazione-trasporto. In ogni caso gli Stati Uniti prevedono l’esportazione non solo di GNL, ma di prodotti derivati dal gas. Nel 2010 sono stati stimati oltre 800.000 posti di lavoro associati direttamente o indirettamente allo sviluppo dello shale gas, che però sta ponendo una serie di problematiche a livello politico, industriale ,economico e ambientale.

Per quanto riguarda il rapporto prezzi/costi dello shale gas, esso risulta artificialmente basso rispetto ai costi di produzione essendo legato ai profitti collegati ai “preziosi liquidi associati” all’estrazione del gas; e le ricerche/sfruttamenti di nuovi giacimenti sono orientate verso quei giacimenti con elevati contenuti di pregiati liquidi associati. E’ stato sottolineato che un prezzo corretto sarà attorno ai 6-7 $/MBTU e a tale valore si tenderà non appena la quota del gas avrà ulteriormente ridotto quella del carbone.

Un ulteriore aumento della produzione di shale gas è richiesto sia dagli investitori, sia dall’industria impiantistica legata alla realizzazione di grossi impianti di liquefazione per l’esportazione o per la trasformazione in prodotti finiti.

Si registra inoltre una spinta per l’uso del gas in trazione come fase di transizione “ecologica” tra l’auto a benzina e i veicoli elettrici.

Dai gruppi d’interesse sopra menzionati si spinge anche verso una massiccia esportazione, foriera di buoni margini dati i prezzi nelle altre aree. Tale esportazione è invece vista da alcuni come un pericolo per la sicurezza energetica del paese e per l’inevitabile incremento locale del prezzo del gas.

Altri sostengono che una massiccia esportazione dagli Stati Uniti verso l’Europa di un GNL a buon prezzo creerebbe notevoli problemi economici all’”alleato/nemico” Russia, principale fornitore del gas per l’Europa; il che comporterebbe un riavvicinamento dell’Europa agli Stati Uniti.

In ogni caso i flussi energetici che vedevano grossi trasferimenti di GNL verso gli Stati Uniti si sono fermati ed è prevista un’inversione nei prossimi anni. Il carbone statunitense che perde quota all’interno, registra un flusso in uscita.

Nel complesso, la rivoluzione dello shale gas sta portando sostanziali vantaggi agli Stati Uniti:

- aumento dell’attività industriale e dell’occupazione
- miglioramento della bilancia dei pagamenti
- bassi costi specie per l’energia elettrica e conseguente aumento della competitività rispetto ad una Unione Europea che va verso costi dell’energia agli utenti finali sempre più alti, a causa anche dei balzelli delle rinnovabili e degli impegni per la CO2
- riduzione dell’impatto ambientale; la produzione di elettricità con cicli combinati a gas per ogni kWh prodotto emette il 40% della CO2 proveniente da produzione con carbone; inoltre l’eventuale uso del gas per trazione migliorerebbe le emissioni rispetto alle auto a benzina.

Ma a fronte di quanto sopra, esistono potenziali rischi fondamentalmente legati alle problematiche ambientali.

L’estrazione dello shale gas ha notevoli impatti ambientali, più volte sottolineati dai movimenti ambientalisti. In particolare: possibili micro-terremoti a seguito di fratture in strati sotterranei; fuoriuscita in atmosfera di gas metano ben più impattante per l’effetto serra rispetto alla CO2; inquinamento delle falde acquifere per immissione di gas metano e di solventi; grandi volumi di acqua iniettata che ritorna in superficie solo per il 25% con problemi di particolari trattamenti prima di essere ri-iniettata; grande occupazione di terreni in superficie e “mobile”.

A tali obiezioni viene risposto che: i solventi sono solo lo 0,5% dei volumi di acqua iniettata e non sono nocivi per le falde acquifere che sono situate a migliaia di metri sopra i giacimenti di shale gas; la fratturazione idraulica  nelle condizioni utilizzate non può causare movimenti sismici di rilievo; la fuoriuscita di gas sia in atmosfera sia nel terreno è praticamente nulla con le sofisticate tecnologie adottate e che sono in continua evoluzione; l’occupazione dei terreni in superficie è fatta in pieno accordo con le popolazioni e le istituzioni. In ogni caso una maggiore trasparenza su metodologie e sostanze utilizzate sembra indispensabile per arrivare ad una condivisa accettabilità.

Occorre sottolineare che proprio un’emotiva reazione delle popolazioni, recepita a livello politico con leggi restrittive, potrebbe bloccare lo sfruttamento dei giacimenti, come già avvenuto in alcune nazioni, o notevolmente influenzare l’economicità dello shale gas, ridimensionandone quindi i prospettati sviluppi. Vale la pena di ricordare che Francia e Bulgaria hanno vietato la”fratturazione idraulica” ed anche in Canada, il Quebec sta imponendo forti restrizioni.

 

4.   Considerazioni conclusive su combustibili fossili
Le riserve accertate di combustibili fossili convenzionali (R)  rispetto alla produzione annuale attuale (P) presentano un rapporto R/P pari a:

- 200 anni per il carbone
- 60 anni per il gas naturale
- 40 anni per il petrolio

Le riserve di petrolio e gas non convenzionali sono state valutate sempre più attentamente negli anni passati ed hanno assunto potenziali enormi che tuttavia non hanno avuto uno sfruttamento data la maggiore economicità delle fonti convenzionali, in particolar modo del petrolio. Con un petrolio però nell’ultimo periodo a 100 $ al barile ed oltre e con l’esplosione di uno shale gas forse non conveniente in se stesso ma conveniente se abbinato ai “preziosi liquidi associati” nella sua estrazione, la situazione sta cambiando, in particolare per lo shale gas, di cui si sono fatti paladini gli Stati Uniti, e la cui immissione nel mercato ha fatto crollare il prezzo del gas locale a valori impensabili.

Gli investimenti per estrarre petrolio non convenzionale sono imponenti ma con un valore di mercato del petrolio stabile attorno ai 90-100 dollari al barile per più anni hanno un ritorno più che positivo.

In conclusione tra fonti fossili convenzionali e non, abbiamo ai consumi attuali per oltre 200 anni risorse di carbone, gas e petrolio; i progressi delle tecnologie (40 anni fa dicevano che c’era petrolio per soli 40 anni) estenderanno tali durate.

Il problema generale non è quindi quello della scarsità delle risorse (da sfatare) ma il come estrarle e trasformarle in modo compatibile con l’ambiente; e qui c’è molto da fare per ottimizzare le tecnologie e per approcci non ideologici ma con grande trasparenza su metodologie ed “additivi” utilizzabili e una chiara valutazione dei rischi.

 

REFERENZE

(1)WEC-World Energy Council-“Survey of Energy Resources”-22nd ed.2010

(2) WEC-World Energy Council-“Survey of Energy Resources:focus on shale     gas”-2010

(3) WEC-World Energy Council-“Survey of Energy Resources:shale gas-What’s new” -2012

 

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