Tags: Energia, Fonti rinnovabili

SISTEMA ELETTRICO ITALIA

Non Sempre Piccolo Vuol Dire Conveniente e Democratico

di: Alessandro Clerici
Questo articolo già pubblicato dal mensile Nuova Energia si sofferma sulla diffusa convinzione che sia conveniente già ora al sistema paese per il consumatore domestico esercitare i propri diritti di scelta e diventare un cosiddetto prosumer, produttore e consumatore in proprio dell’energia che utilizza, ma anche fornitore al sistema elettrico; un sistema al quale conviene comunque “rimanere attaccato” per riserva/sicurezza di approvvigionamento.


È molto di moda, e certamente interessante, parlare delle "4 D" per il sistema elettrico: decentralizzazione, decarbonizzazione, digitalizzazione, democratizzazione. Questo, in un quadro di sviluppo sempre più rapido delle tecnologie, che prospetta nuovi scenari - impensabili solo pochi anni orsono - e nuove tipologie di business che spesso si basano su forme di incentivazione più o meno evidenti che finiscono per ricadere su altri.

Voglio soffermarmi brevemente sulla prima e sull’ultima "D" e sulla diffusa convinzione che sia conveniente già ora al sistema paese per il consumatore domestico esercitare i propri diritti di scelta e diventare un cosiddetto prosumer, produttore e consumatore in proprio dell’energia che utilizza, ma anche fornitore al sistema elettrico; un sistema al quale conviene comunque “rimanere attaccato” per riserva/sicurezza di approvvigionamento.

Diventare prosumer, fondamentalmente, oggi sarebbe una scelta dettata da vantaggi economici - derivanti dagli incentivi all’investimento, dallo scambio sul posto, dalla riduzione degli oneri di sistema, eccetera - ma anche dalla profonda convinzione di contribuire a risolvere l’emergenza climatica; o per lo meno di rimanere al passo con lo sviluppo tecnologico. Limitando l'attenzione all'Italia vale allora la pena partire da alcuni punti fermi.

In primo luogo, abbiamo sistemi di distribuzione che alimentano fino ai più remoti villaggi, che hanno visto investimenti cospicui anche in anni recenti, spesso proprio per far fronte all’integrazione delle rinnovabili, e con una qualità del servizio che ci pone all’avanguardia per bassa frequenza e durata delle interruzioni. Si ricorda, al riguardo, che il costo capitale per un allacciamento alla rete è indipendente dall’energia che il singolo utente assorbe o immette in rete. Dipende, invece, dalla potenza impegnata; sia pure l'impegno duri un solo secondo.

Con 3 anni di anticipo, poi, l'Italia è stata in grado di raggiungere l’obbiettivo del 20 per cento di quota parte delle rinnovabili. Alla abbuffata - durata dal 2005 al 2011 - come era prevedibile è succeduto il crollo, al calare dei notevoli incentivi. Lo si è visto particolarmente nel caso del fotovoltaico (vedi Tabella 1) con un balzo all'ingiù dai circa 9,5 GW/anno del 2011 a 1,6 GW nel 2013 e 0,37 GW nel 2016.

Tabella 1 - L'evoluzione del fotovoltaico in Italia negli ultimi dieci anni

Tabella 2 - L'evoluzione dell'eolico in Italia negli ultimi dieci anni

Si ricorda, che nel 2016 - dati GSE - pur senza considerare gli oneri addizionali al sistema elettrico, le rinnovabili incentivate ci sono costate 14,1 miliardi di euro per puri incentivi. Tali valori, sempre secondo le stime del GSE, si manterranno elevati per tutto il prossimo decennio con un calo non superiore ai 20 punti percentuali.

Tabella 3 - Lo stato dell'arte delle rinnovabili in Italia

Come ho più volte sottolineato in vari precedenti articoli, non è corretto addebitare alle rinnovabili (e lo stesso vale per l’efficienza energetica e la mobilità sostenibile) i soli costi degli incentivi e degli eventuali oneri addizionali, senza valutare in parallelo i vari benefici (riduzione delle importazioni di materie prime energetiche, creazione di posti lavoro, nuove attività con ritorni anche per l’erario attraverso la tassazione, riduzione dei costi sanitari, eccetera).

Questo implica un approccio serio e razionale, per poter definire un campo di valori per le esternalità positive e negative, così da poter fare scelte al minimo costo-Paese tra le varie alternative a disposizione e tra un adeguato mix di queste ultime. Fatte queste premesse, possiamo tornare al "nostro" prosumer.

Quanti sono oggi i prosumer domestici che hanno un impianto (fondamentalmente fotovoltaico) sviluppato con gli incentivi passati, e in parte con gli attuali? Quanti di loro sono già oggi pronti - magari supportati da ulteriori incentivi - a installare anche un impianto di storage elettrico?

Per rispondere, possiamo partire dai dati recentemente presentati dal Politecnico di Milano. Ad oggi sarebbero in servizio 600.000 impianti domestici. Si tratta solamente del 2 per cento dei circa 30 milioni di clienti domestici. Questi ultimi consumano globalmente il 22 per cento dei TWh consumati in Italia. Con un tasso di aumento su base annua attorno al 10 per cento (sempre secondo le stime del Politecnico) il numero dei prosumer - con o senza storage - potrebbe raddoppiare nel giro di sette anni. Nell’ipotesi che i consumi per cliente non aumentino sensibilmente e di non sostanziali sviluppi delle rinnovabili distribuite (legati ad eventuali nuovi incentivi), partendo da queste ipotesi stiamo parlando dello 0,88 per cento dei consumi  elettrici italiani con orizzonte 2025! (il 4 per cento dell'utenza domestica che assorbe il 22 per cento della domanda complessiva nazionale di energia elettrica).

E qui sorge un'ulteriore considerazione. Per quantificare il massimo potenziale di un possibile futuro mercato anche di lungo periodo quanti dei clienti domestici potrebbero effettivamente diventare prosumer? Considerando che ben oltre i 2/3 della nostra popolazione vive in città o nelle aree periferiche limitrofe, in unità abitative pluri-familiari?

Nel concreto si configura uno scenario che può apparire paradossale. La ignara signora Maria, che abita in una casa popolare di una grande città, contribuisce a pagare gli sgravi fiscali e gli oneri di sistema evitati dell'impianto fotovoltaico del signor Brambilla, installato nella sua lussuosa villa con piscina in Brianza. E in futuro, magari, dovrà farlo anche per l'impianto di storage... Se piccolo non è sempre sinonimo di democratico, non è nemmeno necessariamente conveniente. Un impianto fotovoltaico privato "micro" (pochi kW) costa da 2.000 a 3.500 euro/kW con IVA. La forbice è definita dalla relativa accessibilità e tipologia del tetto. La parte preponderante del costo è ormai imputabile all’installazione, mentre il famoso pannello fotovoltaico ha un valore minimale. Un impianto da varie centinaia di kW costa, invece, circa 1.000 euro/kW, pur garantendo una maggiore efficienza (potendo orientare e inclinare al meglio i pannelli rispetto a falde di tetti esistenti) e considerando il non trascurabile contributo - sempre in termini di efficienza - degli inverter. Impianti di maggiori dimensioni - di svariati MW, come quello recente di Montalto di Castro, con costo dichiarato di 800 euro/kW, inclusi i permessi - permettono un ulteriore taglio dei costi.

Ci sono, dunque, evidenti economie di scala, che valgono anche per gli stoccaggi. Oltre agli integratori di impianti di produzione esistenti - di cui tanto si parla - e alle centrali virtuali sarebbe quindi il caso di prevedere anche realizzatori di un mini impianto (non micro!) in un unico sito, vicino a una stazione di distribuzione, in grado di soddisfare le esigenze di centinaia di clienti, accomunati dalla volontà di “avere/fornire” energia rinnovabile. Tale soggetto realizzatore/integratore di più clienti potrebbe utilizzare gli asset disponibili della rete di distribuzione, effettuare ottimizzazioni di scambio con la rete e tra i vari soci utilizzando la 3° D (digitalizzazione/ICT smart distribution system) con sensibili riduzioni di costo rispetto alla micro generazione. In definitiva, si avrebbe un minor costo per il Paese a pari risultato in termini di riflessi su ambiente ed esternalità positive.

E qui si potrebbe proporre una ulteriore riflessione (o provocazione?). Nel campo della mobilità stiamo assistendo a un radicale cambiamento culturale, con il passaggio dal concetto di proprietà del veicolo a quello di accesso al servizio di trasporto e valutazione del relativo costo. È questo che ha fatto nascere e sviluppare sistemi quali il car sharing o il car pooling. Nel campo dei sistemi elettrici vogliamo invece rafforzare il concetto di proprietà ad ogni costo (di pannelli, inverter, batterie, ...) e di gestione diretta da parte del singolo utente; facendo però ricadere su altre parti il costo della nostra scelta. Stiamo creando "fortunati" che vivono in una villetta monofamiliare e "sfortunati" che vivono in un condominio...

Il discorso vale anche, in proiezione, nell'ipotesi di una forte diffusione delle pompe di calore e di conseguenza del vettore elettrico, con un virtuoso uso combinato di pompa di calore, impianto rinnovabile, batterie. Anche in questo caso si pone il problema di quanti utilizzatori domestici potrebbero concretamente realizzare tale opportunità, data la “logistica” delle singole abitazioni. In tale caso però la scelta del prosumer ridurrebbe gli eventuali costi di rafforzamento della rete di distribuzione per far fronte all’aumentato carico elettrico.

Certo, tra impianti maxi, mini, micro, non deve certo nascere una sterile contrapposizione. Meglio abbandonare a priori le polemiche e premiare un approccio olistico, con una visione più ampia, che abbia come principio ispiratore la competitività del Paese, in un mercato sempre più globale. Ben sapendo che la competitività di un Paese sarà fortemente condizionata dal prezzo dell’energia pagato dai clienti finali. Tale prezzo, naturalmente, a causa dei costi di produzione, trasformazione, distribuzione, di balzelli vari ed incentivi, supera di parecchie volte quella che viene impropriamente chiamata bolletta energetica nazionale. Quest'ultima indica  semplicemente quanto paghiamo per le importazioni di  materie  prime energetiche fossili come petrolio, gas, carbone  ma anche energia elettrica.

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