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DALLA FANTASIA ALLA REALTÀ, DALLA REALTÀ ALLA FANTASCIENZA

Per una storia dell’autoveicolo elettrico nel futuro

di: Francesco Mauro
Viene ripercorsa la storia leggendaria e mitologica del trasporto umano, i sogni e le invenzioni dell’uomo per costruire autoveicoli, i tentativi non portati a termine, le premonizioni avveratesi e quelle futuribili o visionarie della fantascienza e della fantasia, per cercare di valutare le prospettive e la storia futura dell’auto elettrica.


 

Premessa: Il trasporto prima dei motori
Il sogno e la necessità dell’uomo di costruire e utilizzare veicoli per i suoi spostamenti e per trasportare pesi e merci sono molto antichi. I primi veicoli sono stati pedibus calcantibus e quelli a trazione animale.

I bovini, appartenenti a diverse specie (non solo quello che chiamiamo toro/bove/mucca/vacca, ma almeno sei specie di bovini in totale, per lo più asiatiche), e almeno una specie di bufalini, il bufalo d’acqua (attualmente presente anche in Italia), sono stati domesticati dall’uomo in diverse località che vanno dal Corno d’Africa al Medio Oriente, all’Asia del Sudest, tra 5.000 e 10.000 anni fa. I bovini servivano, e servono tuttora, non solo per latte, carne e pellame, ma anche per tirare l’aratro e come bestie da soma e da trasporto umano. I primi reperti di gioghi impiegati su bovini risalgono a 2.000-3.000 anni fa.

Recenti ricerche hanno fissato la domesticazione del cavallo a 6.000-5.000 anni fa nella steppa occidentale eurasiatica, a nord del Caspio e del Mar Nero: un animale molto importante per le prime civiltà, perché al latte, carne, pelle, trasporto (mediante traino o, da 4.500 anni fa, cavalcando) e impiego in agricoltura, permetteva di aggiungere l’uso bellico (con cavalieri montati o, dal 1600 a.C., con carri da guerra) e l’uso sportivo.

Figura 1: Un carro da guerra egiziano dal tempio di Karnak a Luxor (2055 a.C.).

Più o meno dello stesso periodo è la domesticazione degli asini (asino e onagro); più recente quella di dromedario e cammello (nel primo quarto del I millennio a.C. da parte delle tribù nomadi del Medio Oriente).

Insomma, qualche millennio prima di Cristo, l’umanità che abitava la lunga fascia dal Mediterraneo al Medio Oriente era beneficata dalla disponibilità in loco di specie animali di grandi dimensioni da soma e da trasporto tutte domesticabili, che si aggiungevano al cane, capra, pecora e maiale. Non erano così fortunati gli Australiani (nessuno dei mammiferi citati si trovava nel loro territorio, occupato dai marsupiali, ed il cane di quel continente, peraltro arrivato al seguito dell’uomo, era rinselvatichito e rimasto selvatico: il dingo), gli Americani (il bisonte si dimostrò non domesticabile, mentre cavallo e mucche furono trasportati per la prima volta nelle Americhe dagli spagnoli, a parte il fallito tentativo dei vichinghi di introdurre la mucca in Groenlandia), i Polinesiani (per ovvie ragioni di difficoltà di imbarco). In questa assenza di specie adatte ad essere usate dall’uomo per il trasporto risiede probabilmente la ragione della mancato impiego della ruota da parte dei nativi americani, sostituita spesso con slitte da erba a trazione umana. 

Esperienze localizzate si ebbero da parte delle popolazioni circum-polari eurasiatiche con la renna; delle popolazioni di climi particolarmente freddi con il bue muschiato nell’Artide (ove già era diffuso il cane da slitta) e lo yak in Tibet e Asia Centrale; delle popolazioni andine con due delle quattro specie di camelidi sudamericani, il llama e l’alpaca, che sono domesticate (mentre le altre due, la vigogna e il guanaco, non lo sono).

Il succo della questione è che, ovunque, nella sua ricerca di veicolo, l’uomo cercò sempre di utilizzare la modalità migliore disponibile, ancorchè non dotata di motore costruito, ma con funzionamento biologico. Anche così, i primi due elementi della mobilità erano già presenti: il mezzo di trasporto (un mammifero di grande taglia) ed il tipo di trazione (biologica). Ma nelle grandi città dell’antichità – Alessandria, Atene, Roma - era presente anche il terzo elemento che caratterizza la mobilità: il traffico, e quindi la congestione ed il fenomeno collegato, l’inquinamento. Nel caso di Roma, possediamo scritti di Orazio, Ovidio, Giovenale, Marziale e Seneca, che descrivono a vivi colori la confusione e l’inquinamento atmosferico, acustico e idrico dell’Urbe, in verità dovuto essenzialmente all’uso della legna da bruciare, dell’olio per illuminare, ed agli escrementi umani e animali. Ma il traffico faceva la sua parte: non a caso, la Lex Iulia Municipalis di Cesare regolamentava rigorosamente (44 a.C.) la circolazione e istituiva il primo caso conosciuto di zona a traffico limitato e divieto di transito per carri a trazione animale, lettighe e per gli stessi pedoni:

“14. A partire dal prossimo primo giorno di gennaio, nessuno guiderà un carro nelle strade di Roma o del suburbio, ove vi siano abitazioni continue, dopo il sorgere del sole o prima della decima ora del giorno, eccetto per quei mezzi che provvedono al trasporto di materiali e di beni importati per la costruzione dei templi degli dei immortali, o per lavori pubblici, o per rimuovere detriti di demolizioni. Per questi scopi, saranno necessari permessi che indichino le ragioni sulla base della presente legge.
15. Questa legge non si applica alle vergini vestali, al re dei sacrifici, ed ai sacerdoti flamini che si muovano in città per ragioni religiose; per processioni trionfali o altri eventi collegati ai trionfi; per le necessità dei giochi pubblici in Roma o entro un miglio da Roma; e per le processioni dei giochi del Circo Massimo.
16. Questa legge non impedisce ai carri trainati da bovi o da asini, entrati in città durante le notte, dall’uscire di città vuoti o trasportanti escrementi e dall’uscire dalla città e dintorni anche nel periodo fra il sorgere del sole e la decima ora del giorno.”.

Così la prima regolamentazione del traffico. Per arrivare alla seconda – i due sensi di marcia o il senso unico alternato – bisognerà attendere il primo Giubileo nel 1300, indetto da Bonifacio VIII: il papa, preoccupato dalla straboccante folla dei pellegrini sul Ponte Sant’Angelo in direzione di e di ritorno da San Pietro in Vaticano – la scena è descritta da Dante (Commedia, Inferno, Canto XVIII):

come i Roman per l’esercito molto,
l’anno del giubileo, su per lo ponte
hanno a passar la gente modo colto,
che da l’un lato tutti hanno la fronte
verso ‘l castello e vanno a Santo Pietro,
da l’altra sponda vanno verso ‘l monte...

– emise l’ordinanza di regolamentazione.

Già in quei tempi, almeno con la fantasia, si cercava di immaginare qualche mezzo di trasporto diverso. Luciano di Samosata, nel II secolo AD, scrivendo in greco le Ἀληθη διηγήματα, letteralmente Storie vere, racconta di un viaggio sulla Luna compiuto utilizzando una nave spinta da un uragano. Lo stesso Luciano, in un altro lavoro, Icaromenippus, ritorna sul viaggio lunare, ma secondo il più popolare metodo di Dedalo basato sull’impiego umano di ali artificiali costruite con piume di uccello.

L’idea di un motore era ancora lontana, sicuramente quella di un motore elettrico. Anche se – sembra – che una sorgente di elettricità già esistesse: le cosiddette “pile di Babilonia”, datate nel periodo Partico (fra il 250 a.C. e il 224 AD), ossia delle celle di terracotta contenenti rame e ferro in soluzione acidica elettrolitica, con una differenza di potenziale elettrochimico. Tutto sembra indicare che vi fosse allora una certa disponibilità di corrente elettrica: l’ipotesi però non riguarda veicoli, ma l’impiego come cella galvanica per placcare in oro oggetti in argento. Di motore elettrico non se ne parlò né allora né per molti secoli, fino alla Rivoluzione Industriale. L’evoluzione dei veicoli terrestri – quelli marittimi era tutta un’altra storia, che converrà ricostruire in apposita sede; quelli aerei erano ancora di là da venire, salvo i disegni dei progetti di Leonardo – si limitò per un lungo periodo a migliorare le carrozze, incrociare e allevare nuove razze di cavalli (arabi), lavorare al miglioramento delle attrezzature per cavalcare (staffe, speroni, armature per cavalli da guerra e da torneo, diversi tipi di sella, diverse scuole per cavalcare e per i giochi equestri).

Dalla mitologia alla letteratura del movimento
Numerosi episodi mitologici risalenti all’epoca pre-ellenica, minoica o pelasgica, spesso sistematizzati nella Teogonia di Esiodo (circa 700 a.C.) descrivono viaggi fantastici, talvolta collegati a percorsi reali di comunicazione, e di conseguenza descrivono anche come fossero disponibili i relativi mezzi di trasporto. I primi mezzi leggendari sono tutti aerei: antichissimo è il già citato mito di Icaro che, ottenute dal padre – il famoso “architetto” Dedalo autore del Labirinto a Creta – un paio di ali funzionanti costituite da piume di un grande uccello attaccate al corpo con la cera, si avvicina troppo a Febo – il dio del sole – e va incontro ad una tragica fine per lo scioglimento della cera.

Ben due miti, anch’essi antichissimi, forse pre-indo-europei, sistematizzati nell’Iliade l’uno e dallo Pseudo-Apollodoro l’altro, descrivono eroi semidei con a disposizione cavalli alati per i loro spostamenti: Bellerofonte cavalca Pegaso per uccidere la Chimera, e Perseo utilizza lo stesso Pegaso, dopo l’uccisione della gorgone Medusa, per correre a salvare Andromeda, offerta in sacrificio ad un “drago”, ovviamente  “cattivo” (ma in altre versioni, il drago è un semplice mostro, e Perseo usa, invece di Pegaso, dei calzari alati, altro esempio di mobilità mitologica, propugnata da Hermes/Mercurio).

Figura 2: a sinistra, Hermes con i calzari alati, figura rossa di stile Attico, attribuita a Tithonus (500-450 a.C.), oggi al Metropolitan Museum di New York. A destra: San Giorgio e il drago di fronte alla “mala grotta”, di Paolo Uccello (1456), oggi alla National Gallery di Londra.

Quasi lo stesso quadro si ritrova nel mito proto-cristiano di san Giorgio e il drago feroce in diverse località dell’Asia Minore e della Palestina e nel molto meno noto mito alto-medievale di san Giorgio e il drago di Malagrotta vicino a Roma. Il drago viene combattuto in diversi paesi da figure monastiche e cavalieri combattenti, talvolta direttamente aiutate da san Michele Arcangelo con la spada fiammeggiante (vedi Castel Samt’Angelo) in presa diretta: il mezzo di trasporto è il cavallo. Chiaramente collegato è il mito arabo di Sinbad il marinaio, decritto nelle Mille Notte e Una, in cui il mezzo di trasporto aereo nel secondo viaggio è più congruamente il grande uccello Roc. Vi è da registrare la figure del drago d’Occidente, definitivamente cattivo e tardivamente collegato al serpente alato, simbolo del diavolo, schiacciato dalla Madonna, mentre invece è buono, o comunque beneaugurante (vedi le processioni del capodanno) in Cina e nel resto dell’Estremo Oriente, e probabilmente nei culti dei gruppi animisti e sciamanici ancestrali a queste popolazioni.

Più vicini alla realtà sono i resoconti letterari dei viaggi di Ulisse (e degli altri eroi greci) prima e dopo la guerra di Troia, ed i viaggi di Enea in fuga da Troia per raggiungere il Lazio e fondare uno stato latino-troiano da cui sarebbe nata Roma: è il ciclo di storie che si afferma con le Iliade e Odissea omeriche (circa IX secolo a.C.) e termina di fatto con l’Eneide (29-19 a.C.), di fatto il capolavoro di Virgilio che canta il destino e la magnificenza della stirpe di Enea divenuta la gens Iulia di Cesare e di Augusto imperatore:

describunt radio et surgentia sidera dicent:
tu regere imperio populos, Romane, memento
(hae tibi erunt artes) pacique imponere morem,
parcere subiectis et debellare superbos.

In questi cicli letterari, il mezzo di trasporto è diventato quella navale su percorsi marittimi lunghi, che molti ricercatori e commentatori hanno cercato di ricostruire. E’ interessante descrivere brevemente questi probabili percorsi – veri inni alla mobilità.

Nel caso di Ulisse/Odisseo, le tappe del ritorno a casa (in greco νόστος, da cui “nostalgia”) sono dodici, numero degli insiemi perfetti:

  • Dopo la partenza da Troia, Ulisse fa tappa a Ismaro, nella terra dei Ciconi, nel Mar Egeo, per fare bottino.
  • Seconda tappa nella terra libica dei Lotofagi, ospitali ma insidiosi: offrono infatti ai compagni di Odisseo il loto, un frutto che fa dimenticare il ritorno, costringendo l'eroe a forzarli per farli salire sulle navi.
  • La terza tappa è nella terra dei Ciclopi, in Sicilia ad Aci Castello (nei pressi di Catania): sei compagni vengono infatti divorati dal Ciclope e solo grazie alla sua astuzia Odisseo riesce a evitare l'insidia.
  • Giunge quindi nell'isola di Eolo, dio dei venti, nelle Isole Eolie, da cui viene ospitalmente accolto ricevendo in dono l'otre dei venti, che risospingeranno la nave al largo.
  • Quinta tappa presso i Lestrigoni, in Sardegna, mostruosi quasi quanto i Ciclopi: anche qui Odisseo perde compagni e molte navi, ma riesce a salvarsi.
  • Giunge poi nell'isola di Circe (il Circeo), una maga seducente che trasforma i compagni di Odisseo in porci, ma l’eroe riesce a sottrarsi all’insidia.
  • Dopo l'avventura di Circe, Odisseo, su indicazione della stessa maga si accinge ad una nuova prova, la catabasi nel regno dei morti (ingresso ai Campi Flegrei).
  • Rimessosi in rotta Ulisse dovrà vedersela ancora con le pericolose sirene (a Capri),
  •  i mostri Scilla e Cariddi (Stretto di Messina) e con la disubbidienza dei propri compagni.
  • Per questo Odisseo racconta di essere stato per nove giorni in balia di terribili tempeste scatenate da Zeus, da cui riuscì a scampare grazie all'arrivo sull'isola di Ogigia (Malta) dove incontra Calipso.
  • Odisseo giunge quindi nella terra dei Feaci (Corfù) a cui racconta lo stratagemma del cavallo di Troia.
  • L'eroe è dunque riaccompagnato dai Feaci a Itaca dove riconquisterà moglie, casa e regno.

Dante Alighieri (vedi sotto) immagina l'ultimo viaggio di Ulisse, l'ultima sfida oltre le Colonne d'Ercole (Stretto di Gibilterra). L'impresa si conclude con il naufragio e la morte dell'eroe greco con tutti i suoi compagni.

Nelle peregrinazioni di Enea, da Troia al Tevere, molte furono le tappe:

  • Dapprima in Tracia, dove Enea parlò con l'ombra di Polidoro.
  • Enea andò quindi a Delo a consultare l'oracolo.
  • Pensando che l'oracolo alludesse a Creta, da cui proveniva uno dei più antichi re di Troia, si recò quindi in quell'isola; ma i Penati gli apparvero in sogno avvertendolo che la terra che doveva cercare era l'Enotria o Italia.
  • Si accinse quindi ad attraversare il mare Ionio; ma la dea Giunone spinse le navi sulle isole Strofadi, abitate dalle Arpie.
  • Enea si recò allora in Epiro da Eleno, uno dei figli di Priamo che, come sua sorella Cassandra, aveva il dono della profezia.
  • Enea si diresse quindi verso la Sicilia, la circumnavigò per evitare Scilla e Cariddi e si fermò ad Erice.
  • Una violenta tempesta fece smarrire la rotta alle navi e le sospinse sulla costa dell'Africa, ove si svolse la sua storia d’amore con Didone di Cartagine.
  • L'eroe troiano e i suoi compagni arrivarono finalmente in Italia, a Capo Miseno e Cuma, dove Enea dovette fermarsi per interrogare la Sibilla, che lo accompagnò nell' Averno perché egli ottenesse dal padre notizie sui suoi discendenti e sulle vicende che ad essi sarebbero state legate.
  • Il viaggio riprese; vi fu un'ultima sosta per rendere onoranze funebri alla nutrice Caieta (Gaeta).
  • Finché le navi approdarono sulle rive del Tevere.

Come sopra accennato, la storia di Ulisse termina con il mitico viaggio nell’Atlantico, alla ricerca di un nuovo mondo – storia ripresa da Dante nella Commedia (Inferno, Canto XXVI), a simboleggiare la curiosità, la ricerca della conoscenza, la volontà di cambiamento, il gusto dell’esplorazione:

Fatti non foste a viver come bruti
ma per seguire virtude e canoscenza ...
e volta nostra poppa nel mattino,
dei remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.

Rimanendo in ambito marittimo, vi sono da ricordare altri resoconti, sempre di viaggi per nave, che sembrano mitologia o fantascienza – o più esattamente, fantasy – ma che invece sono stati reali:

  • la storia di re Salomone (996-926 a.C.) e il tragitto marittimo lungo il Mar Rosso fino a Saba e oltre fino alle famose miniere, verosimilmente nel Corno d’Africa o ancora più a sud;
  • il periplo dell’Africa da parte di navigatori fenici (616 a.C.) per conto del faraone Necho II, e forse altre analoghe spedizioni fenicio-puniche;
  • la circumnavigazione della Britannia (83 d.C.) condotta da una squadra di navi da guerra romane per ordine di Agricola.

Fra la caduta dell’Impero Romano e la colonizzazione europea delle Americhe, in un periodo erroneamente descritto come oscuro, ma in effetti per certi aspetti poco noto, si svolge la gestazione delle marinerie transoceaniche e intercontinentali, con l’evoluzione conseguente dei mezzi navali e della conoscenza delle mappe e dei venti. Partecipano alla saga: pescatori baschi e galiziani, monaci irlandesi, predatori vichinghi e normanni, navigatori e commercianti delle repubbliche italiane, esploratori e conquistatori portoghesi, spagnoli, olandesi, inglesi, francesi, svedesi, russi, statunitensi, belgi, italiani, ecc. nell’Atlantico e poi negli altri oceani, dove peraltro sono avvenute le migrazioni polinesiane e Dorset, e sono cresciute le marinerie dravida,  araba, persiana, malese-indonesiana-malgascia, cinese, turco-barbaresca e, modernamente, giapponese. E’ una storia affascinante e complessa – con elementi leggendari affascinanti, come la ricerca del Prete Gianni da parte soprattutto dei portoghesi in vista di possibili alleanze contro le forze islamiche – a cui converrà dedicare un terzo articolo.

Con l’inizio dell’età moderna, si ritorna allo stile letterario-favolistico, con personaggi diversi, di nuovo operanti nell’aria e non più sul mare, spesso figure  simboliche o filosofeggianti, ma le più diverse.  Nel XVII secolo, opera il letterato e libero pensatore Cyrano de Bergerac, a sua volta oggetto di letteratura, noto tra il pubblico per il suo naso pronunciato e per i conseguenti problemi amorosi, che scrive e pubblica postumi due veri e propri romanzi di fantascienza, nel 1657 L’Autre Monde: Les Etats et Empires de la Lune, e nel 1662 Les Etats et Empires du Soleil, in cui per gli spostamenti extraterrestri vengono usati dei razzi con propulsione a fuochi artificiali; la sua descrizione romanzata su basi scientifiche verrà ripresa da grandi scrittori tra cui Swift, Voltaire, Corneille, Molière e Poe.

Nelle fiabe di molti paesi è presente la storia degli stivali magici, spesso detti delle sette leghe (per un solo passo), che si adattano al piede del portatore e permettono di percorrere lunghi tratti in breve tempo, precursori di un supporto artificiale al movimento umano. Tra le fiabe più note vi sono quelle raccolte da Charles Parrault (1683) – e da molti altri, con notevoli variazioni, tra cui Giambattista Basile – compresi Pollicino, in cui gli stivali vengono usati sia dall’orco che da Pollicino che glieli sottrae, e Le bella addormentata nel bosco, in cui gli stivali vengono utilizzati da un nano. La storia degli stivali delle sette leghe viene spesso associata a quella del gatto con gli stivali, raccolta da Giovanni Francesco Straparola nel XV-XVI secolo, ma di tratta di un errore dato che quest’ultimo calza gli stivali essenzialmente per darsi un tono nel perorare presso il re il padroncino marchese di Carabas.

Nel 1725, il grande scrittore e moralista irlandese Jonathan Swift completa il suo capolavoro (pubblicato nel 1726, rivisto dall’autore nel 1735), Travels into Several Remote Nations of the World, in Four Parts. By Lemuel Gulliver, First a Surgeon, and then a Captain of Several Ships, meglio noto nelle tante lingue in cui è stato tradotto come I Viaggi di Gulliver; nella versione integrale (e non in quella ridotta ad uso dei ragazzi che massacra il testo di satira originale), nel terzo viaggio (meno noto del primo a Lilliput e del secondo a Brobdingnag), Gulliver visita tra l’altro l’isola volante di Laputa, ove vive una nazione di musicisti e matematici, ma anche di cultori del bombardamento aereo - prima citazione nella storia - sulle città ribelli situate sulla superficie terrestre. Vale la pena di ricordare che, nel quarto viaggio, Gulliver incontra, insieme ai saggi e perfetti (e un po’ noiosi) equini Hoyhnhnms, i molto più sozzi bruti umanoidi Yahoos, oggi vendicati in quanto assunti a gloria moderna per il nome del noto fornitore di internet a scala mondiale, in origine un motore di ricerca ed una classificazione di siti web, tuttora la “home page” più visitata del web.

Un famoso viaggiatore è il famoso Barone di Munchhausen, ben noto per i suoi spostamenti in equilibrio sopra una palla di cannone e più in generale famoso fanfarone e creatore di fanfaluche, che, come peraltro molti altri, visita accidentalmente la Luna in quanto portatovi dalla sua nave durante una tempesta; o almeno così racconta nella sue memorie raccolte da un anonimo e pubblicate nel 1781 (prima edizione in inglese nel 1785, edizione rivista da Rudolph Erich Raspe nel 1895).

Se si vuole, è In un certo senso un racconto di fantascienza, che comporta mobilità umana inusuale anche se non veicolare, anche Alices’s Adventures in Womderland (Alice nel Paese delle Meraviglie), prima edizione originale nel 1865, il capolavoro del genere fantastico non-senso di Lewis Carrel (pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson), grande letterato ma anche intellettuale morboso, che avrebbe avuto una grande influenza sulla letteratura fantastica.

Risale anche al XV secolo, e possibilmente a date precedenti, il culto cattolico della Santa Casa di Loreto, la “casa della Madonna” a Nazareth, trasportata (teletrasportata) nella credenza religiosa dagli angeli nel 1292 a Tersato in Illiria per sfuggire alla profanazione del controllo saraceno, e tre anni dopo trasportata, sempre dagli angeli, vicino a Recanati, dove poi sarebbe sorta la Basilica di Loreto. Nonostante il carattere estremamente “popolare” del prodigio che si vuole coltivare, questo culto è ben radicato e riconosciuto dal magistero della Chiesa, come indicato dall’erezione di Loreto in prelatura apostolica e dalla sua popolarità come sede maggiore di pellegrinaggio (insieme a Padova, Assisi, Pompei e San Giovanni Rotondo). Il particolare legame con la mobilità è indicato dal patronato della Beata Vergine Lauretana per l’Aeronautica Militare (festa del 10 dicembre).

La fine del periodo dell’avvio della Rivoluzione Industriale, la fine dell’Ottocento è caratterizzata della produzione fantascientifica paradigmatica, “scientifica” e previsionale di Jules Verne (1828-1905). E’ del 1863 la versione finale della prima pubblicazione in francese, Cinq Semaine en Ballon (Cinque settimane in pallone), dedicata non a caso all’uso di un mezzo di trasporto aereo datato. Da allora Verne pubblica uno o due libri all’anno. Ci piace citare:

  • De la Terre à la Lune (Dalla Terra alla Luna), 1865, in cui l’astronave è costituita letteralmente da un proiettile sparato da un gigantesco cannone;
  • Vingt Mille Lieues sous les Mers (Ventimila Leghe sotto i Mari), 1867, in cui il mezzo di trasporto è rappresentato da un gigantesco sottomarino moderno, il Nautilus, ripreso in vari racconti successivi;
  • Le Tour du Monde en Quatre-vingts Jours (Il Giro del Mondo in Ottanga Giorni), 1872, un’autentica rassegna dei mezzi di trasporto moderni più disparati;
  • Hector Servadec (Attraverso il Mondo Solare), 1877, in cui il viaggio extraterrestre avviene addirittura utilizzando una cometa che attraversa il sistema solare.

Queste storie, con le tante altre su palloni, dirigibili, navi, sottomarini, segnano il passaggio alla mobilità contemporanea.

Figura 3: Il dirigibile “Norge” del gen. Umberto Nobile che, sotto bandiera norvegese, volò sopra il Polo Nord nel 1926; il suo gemello, “Italia”, di ritorno dal Polo sotto bandiera italiana, si schiantò sul ghiaccio della banchisa nel 1928.

 

Le modalità di trasporto poco utilizzate o dimenticate
La nascita dei diversi tipi di motore – a vapore, a scoppio, elettrico, per veicoli sia su gomma che su rotaia – è stata descritta altrove. Il balzo evolutivo fu notevole: dal veicolo all’autoveicolo. Quel che qui ci interessa è ricordare quei mezzi di trasporto a motore elettrico o comunque mossi da impianti elettrici, considerati per così dire “minori”, tuttora in uso o abbandonati, ma soprattutto che siano candidati a un rinnovato uso nel futuro.

Per prima cosa, vanno citate le modalità che costituiscono la famiglia dei mezzi funzionanti a fune. Il sistema più noto è la funicolare (cable car, in inglese) costituita da un mezzo "a guida vincolata", usata in genere come servizio pubblico. Il sistema si basa sull’utilizzo di una fune come organo di trazione e con il movimento che si esercita su una o più vie di corsa costituite da classici binari oppure da speciali guide, metalliche o di altri materiali, su cui possono scorrere anche ruote gommate. Questi impianti sono stati in genere realizzati allo scopo di superare percorsi misti caratterizzati da sensibili dislivelli alternati a tratti pianeggianti.

La funicolare non va confusa con la ferrovia a cremagliera che si basa su un principio di funzionamento molto diverso. La fune della funicolare veniva in origine fatta muovere usando la caduta dell’acqua come forza motrice, per passare poi all’uso di motori elettrici, sfruttando altresì l’energia rilasciata dal vagone in discesa, realizzando così un sistema energetico piuttosto efficiente. Famosi esempi sono la linee di cable car di San Francisco (dal 1877, tuttora in funzione) e la funiculì funiculà napoletana (1880-1944). 

La funicolare del Vesuvio (“funiculì funiculà”), distrutta dall’eruzione del 1944

Nell’immediato ultimo dopoguerra, la funicolare sembrava destinata a scomparire, ma esperienze recenti dedicati al trasporto locale (sistemi ettometrici, people mover; un esempio recente è il “minimetrò” di Perugia) sembrano indicare un rinnovato interesse in termini di efficienza energetica ed assenza di o basso impatto inquinante.

L’altra importante famiglia dei sistemi a cavo è quello che ha come modalità tipica la teleferica, nata all’origine per il sollevamento ed il trasporto di merci, in genere in servizio privato o per aziende agro-forestali o minerarie. In pratica, si tratta di funivie aeree utili a superare dislivelli in zone montuose, corsi d'acqua, zone boscose, alle volte montabili in breve tempo, praticamente  degli impianti smontabili, altre volte infrastrutture fisse.

La movimentazione di persone e materiali entro gabbie, cesti o contenitori simili sospesi a funi è una tecnologia molto antica, ma un suo impiego industriale risale agli inizi del secolo scorso. Venne poi il suo impiego nella guerra di montagna durante il primo conflitto mondiale, del tipo monofune o bifune o trifune, con funzionamento manuale o mediante animali oppure a motore (a vapore, a scoppio, elettrico). Dalle teleferiche sono derivate le funivie, in genere impiegate per il trasporto umano, spesso in zone frequentate da escursionisti, alpinisti, sciatori, con un grande sviluppo specializzato negli ultimi decenni: seggiovie, cabinovie, cestovie, palorci, ecc., con motori elettrici a corrente continua o alternata, monofase o trifase. In precedenza, in paesi in via di sviluppo scarsamente dotati di infrastrutture viarie in territorio accidentato, si era diffuso un impiego misto per il trasporto di minerali, derrate e anche persone su distanze relativamente lunghe (per esempio, nella regione della montagna “cafetera” della Colombia).

Uno dei primi sistemi completamente elettrici per vagoni su ferro è stato quello della cosiddetta “terza rotaia”, dove la corrente elettrica viene appunto fornita da una striscia metallica posta in posizione laterale rispetto al veicolo, impiegando una pattino per il contatto elettrico. Utilizzato in genere nel trasporto pubblico per fornire energia elettrica ad una rete (metropolitana o ferrovia urbana, come a Milano, Berlino, Amburgo, ecc.), possiede talvolta una quarta rotaia centrale per il ritorno negativo di corrente.

Un treno elettrico sperimentale a terza rotaia fu sviluppato dalla ditta tedesca Siemens & Halske e presentato all'Esposizione di Berlino del 1879. I sistemi con terza rotaia iniziarono ad essere utilizzati nei mezzi di trasporto pubblico negli anni 1880, sia tram che ferrovie. Nel 1890, venne aperta la prima metropolitana elettrica del mondo, quella di Londra, che funzionava con il metodo della terza rotaia. Nel 1901, ebbe inizio l'esercizio a corrente continua a terza rotaia sulla linea Milano-Varese. Sistemi di alimentazione a terza rotaia sono stati brevettati da diversi inventori, fra i quali Thomas Alva Edison nel 1882 e Granville Woods nel 1901. La terza rotaia rappresenta un'alternativa a costo minore, con diminuito impatto visivo e con facilità di prelievo, rispetto alle linee aeree, ma vanno verificati i problemi di sicurezza.

Un’altra famiglia di modalità di trasporto elettrico, molto importante per i possibili sviluppi futuri, è quella costituta dalle scale mobili e dai marciapiedi mobili. La scala mobile è un trasportatore-elevatore adatto al trasporto di persone. L'idea fu brevettata per la prima volta dall'americano Nathan Ames (1958), poi da Leamon Sauder (1889), Jesse W. Reno (1892) che produsse il primo modello funzionante. La scala mobile (escalator, in inglese, marchio depositato dalla Otis Co.), basata su un principio simile a quello del nastro trasportatore, aveva dei gradini in legno (gradini di questo tipo sono rimasti in funzione fino agli anni ’80 quando ormai la maggior parte degli impianti usava gradini metallici). Il sistema è costituito da una scala i cui gradini mobili sono trascinati meccanicamente rimanendo tuttavia orizzontali. Come già accennato, questo sistema discende dal marciapiede mobile (1893, detto anche tapis roulant), un dispositivo che permette il trasporto di persone su una superficie piatta, in genere segmentata, a sua volta derivato dal nastro trasportatore. Una definizione precisa del marciapiede mobile è: “installazione azionata da motore, con superficie in movimento senza fine per il trasporto di passeggeri fra due punti allo stesso o a diverso livello”. È usato diffusamente negli aeroporti, stazioni, centri commerciali, edifici aperti al pubblico, fabbriche, esibendo una velocità costante anche se modesta. E’ un ulteriore derivato l’ergometro o una sua versione semplificata (tapis roulant sportivo) che permette di eseguire esercizi di camminata e di corsa (jogging) in ambienti di dimensioni ridotte.

Va ricordato infine un mezzo di trasporto che si è affermato con il motore a scoppio, ma che non ha avuto un successo analogo con il motore elettrico: la moto elettrica nelle due varietà della motocicletta elettrica e dello scooter elettrico, così distinti a seconda di non avere o avere una carrozzeria portante. Di questo tipo di autoveicolo si trova traccia nei brevetti registrati nella decade 1860-1869 ed un autoveicolo di questo tipo viene descritto come disponibile nel 1911. L’idea però non decolla, a parte l’uso recente di biciclette o monopattino con un piccolo motore elettrico di rinforzo; ancor più recentemente, con la disponibilità di celle a combustibile, sono stati sviluppati persino dei modelli da corsa, tra cui il Killacycle – il nome è tutto un programma - che ha stabilito un record di velocità (270 km). Questo mezzo di trasporto potrebbe risultare utile in futuro per operare nei contri urbani sulle piccole distanze.

Le modalità pensate ma non realizzate
La fantascienza è una miniera di sistemi elettrici non realizzati. I principali esempi di modalità “di fantasia”, spesso descritti nei primi lavori di fantascienza, derivano appunto dal marciapiede mobile. Esempi di marciapiedi mobili ad alta velocità vengono descritti da H.G. Wells ( 1897, 1899, When the Sleeper Wakes); e nel famoso film muto Metropolis di Fritz Lang (1927) gli stessi marciapiedi e scale mobili connettono grattacieli fra loro.

Previsioni simili sono contenute nel racconto di Fritz Leiber Sanity (1941). Nel famoso racconto The Roads Must Roll (1940, in italiano Le Strade Devono Correre, 1953) appartenente alla saga in serie Future History, di Robert A. Heinlein , uno dei più popolari autori e per un perido considerato il decano della fantascienza, l’intero sistema di trasporto è basato su marciapiedi-strade mobili ad alta velocità, e il sistema stesso va in crisi a causa di uno sciopero (ambientato nel 1976). Sistemi simili, ma ambientati nell’anno 3000, sono descritti da Isaac Asimov in Caves of Steel (1953, in italiano Abissi d’Acciaio, 1954) e le sue sequele nella serie Robot. Un altro famoso autore di fantascienza, Arthur C. Clarke, si è preso il gusto di prevedere un “marciapiede mobile” in un libro di saggistica sul futuro.

In tutti questi esempi fantascientifici, il trasporto umano si basa su una rete molto folta composta da percorsi che si servono di nastri paralleli che si muovono a velocità diverse, i più veloci posti all’interno del fascio di nastri: su questi nastri vi sono sedie, tavoli, schermi anti-vento, persino negozi modulari. Heinlein fa correre il nastro più veloce a 100 miglia (160 km) all’ora e descrive la prima “strada meccanica” come costruita nel 1960 fra Cleveland e Cincinnati nell’Ohio; il differenziale fra un nastro e l’altro è di 5 miglia all’ora.

I tapis-roulant del film Metropolis (1927).

La fantascienza ha naturalmente inventato l’auto elettrica (chiamato Electric Phaetons, John Jacob Astor IV, 1894), il camion-segway (gyro two-wheeled truck, Alan Nourse, 1958), un kart elettrico (skitter sul pianeta Dosadi, Frank Herbert, 1977), l’auto magnetico-elettrica del film Minority Report (Steven Spielberg, 2000, da una novella di Philip K. Dick, ambientata nel 2054), ecc. In queste previsioni vi è praticamente quasi l’intera gamma dei veicoli elettrici, ma vi è pressoché assente il computer ed ancor più il personal computer, l’inaspettato protagonista della recente rivoluzione digitale. Con la grande eccezione del computer Hal nel film 2001: A Space Odyssey (Stanley Kubrick e Arthur C. Clark, 1968, in italiano 2001: Odissea nello Spazio), eccezione ancor più importante considerando che, ancora negli anni ’70, vi era un diffuso scetticismo sulla diffusione futura del computer a livello personale.

Le tante ipotesi allo studio o in sperimentazione
Le pile al litio, che sono già in uso nell’elettronica di consumo per telefoni cellulari e computer portatili, sono delle vere e proprie super-batterie che rilasciano e assorbono la propria carica in modo 100 volte più velocemente rispetto alle normali pile ricaricabili, e quindi possono rappresentare un progresso notevole nell’immagazzinamento di energia utilizzabile nei veicoli elettrici ibridi. In particolare, l’impiego di nanoparticelle di fosfato di ferro e litio (LiFePO4), con un rivestimento vetroso di 5 nanometri  ove avvengono i processi di riduzione, rende possibile tempi di carica/discarica di 10-20 secondi simili a quelli che si ottengono con super-capacitori.

Anche i capacitori (detti anche condensatori), come le batterie, servono ad accumulare energia elettrica, ma funzionano in modo diverso: mentre una batteria ha due terminali e si basa su una reazione chimica che produce elettroni su un terminale ed assorbe elettroni sull’altro terminale, un capacitore non produce nuovi elettroni, ma semplicemente li immagazzina. Nel capacitore, i terminali sono connessi a due lamine metalliche separate da una sostanza non-conduttrice (dielettrico) da cui dipende la qualità del capacitore stesso. I cosiddetti super-capacitori, adatti per auto ibride, sono particolari condensatori, con terminali e dielettrico di materiali speciali e la presenza di un elettrolita, che hanno la caratteristica di accumulare una quantità di carica elettrica molto alta: rispetto ai capacitori tradizionali, con capacità dell'ordine dei mF (milli-Faraday), i supercondensatori possono arrivare oltre i 5.000 F.

La più elementare infrastrutture necessarie al funzionamento dei veicoli elettrici sono le stazioni di ricarica (o punti di ricarica). Con l’evoluzione della tecnologia, queste stazioni sono diventate non sono punti di localizzazione delle opportune prese di corrente come nelle forniture domestiche, ma anche connessioni che permettono ricariche più veloci ed a voltaggi più alti, in modo da ridurre considerevolmente il tempo di alcune ore che era necessario inizialmente per l’operazione.  Attualmente, queste infrastrutture sono in pieno sviluppo, tali da poter funzionare in continuo e con connessioni ad hoc e, in certi casi, addirittura adattate a posti parcheggio ove è possibile una ricarica senza contatto materiale grazie a piattaforme a carica induttiva. Sono già disponibili stazioni di ricarica con pannelli fotovoltaici nei casi in cui le stesse non siano connesse alla rete elettrica e sono allo studio stazioni mobili di questo tipo. Sono infine in via di sviluppo punti di ricarica frequente/intermittente automatica, in corrispondenza delle fermate per i mezzi pubblici e dei semafori per le auto elettriche private, basati sia su connessioni a contatto mediante sistemi di scorrimento di un’antenna su un reticolo aereo (come nel classico caso delle auto per gli “autoscontro” nei parchi di divertimento), sia con il sistema dell’induzione sopra accennato, l’obiettivo essendo operazioni di ricarica quasi istantanea. Vi sono infine metodi per recuperare energia (ad esempio, il 20% perso per le frenate) e diminuire così il fabbisogno elettrico del veicoli.

Un autoscontro in cui sono ben visibili le antenne di presa aerea della corrente.

Molti di questi sistemi di connessione energetica ricordano alcune delle caratteristiche del filobus, di cui si è parlato altrove (vedi “Una lunga storia che sta per ricominciare”, l’Astrolabio, 27 aprile 2012) . Si apre così la strada a degli approcci diversi dal precedente, che corrispondono per il momento a studi di tipo teorico ancora lontani da test applicativi. E’ questo il caso della auto elettrica-filobus privata, in cui il contatto fra il veicolo e la rete è continuo mediante aste che scorrono su un filo aereo (o anche sul pavimento): ovviamente questo varrebbe solo per alcuni percorsi lunghi predeterminati, mentre l’auto funzionerebbe senza contatto in altre tratte in quanto veicolo ibrido (elettrico-elettrico nel senso filovia-batteria oppure elettrico-gas). L’interesse di questo approccio sta nella possibilità che il contatto continuo permetta la guida semi-automatica, automatica, a controllo remoto e senza pilota. Questa realizzazione viene spesso descritta come funzionante sulla base di un contatto (filo, striscia, rotaia, binario) che fornisca elettricità e controllo del percorso, oppur, nelle versioni più moderne, senza contatto ma con “traccia” che fornisce energia con il sistema induttivo e il controllo della guida mediante un sistema tipo wi-fi. Tornando alla fantascienza, questo sistema dell’”auto su rotaia” per percorsi selezionati viene spesso visto come integrato ad una rete di marciapiedi mobili per i percorsi minori ed utilizzato per un servizio di taxi senza pilota, come in David H. Keller, The Living Machine, 1935, ed in Philip K. Dick, The Three Stigmata of Palmer Eldritch, 1965 (in italiano: Le Tre Stimmate di Palmer Eldritch, 1968) e, naturalmente, la disponibilità di servizi di trasporto pubblico collettivi.

Un caso particolare già operativo è poi quello del motorino elettrico di supporto allo sforzo umano (soprattutto in salita) nella bicicletta a pedale.

La storia del futuro del veicolo elettrico
La fantascienza ha affrontato il problema del futuro della mobilità con la massima apertura mentale, esplorando molteplici soluzioni. Alcune delle possibilità di trasporto immaginate o previste si sono già rivelate reali nell’intervallo di tempo intercorso fra la data di descrizione o pubblicazione e l’oggi. Le soluzioni previste riguardano sia mezzi a propulsione elettrica o mezzi azionati mediante altri sistemi ma in cui l’elettricità gioca comunque un ruolo importante, spesso in campo informatico.

Una copertina di Urania, disegnata da Kurt Caesar, con un mezzo del futuro.

Un’idea di una certa anzianità ma tuttora in fase di realizzazione è quella della sospensione magnetica (maglev), detta anche levitazione magnetica, che è un metodo per mantenere un oggetto in posizione sospesa senza punti di appoggio mediante campi magnetici, operanti in modo tale che la pressione magnetica controbilanci gli effetti della accelerazione gravitazionale o qualsiasi altro tipo di accelerazione. Per ottenere però una sospensione magnetica stabile è necessario, oltre al ferromagnetismo statico, l’impiego di servomeccanismi, l’uso di materiali diamagnetici, della superconduzione, o di sistemi che permettano il controllo delle correnti parassite. Il metodo della sospensione elettrodinamica produce sia l’effetto di levitazione che la propulsione. Benchè teoricamente applicabile per ogni tipo di veicoli, la sospensione magnetica è stata usata per realizzare treni superveloci tipo TAV, con il mezzo che talvolta procede lungo una monorotaia, come nel caso di varie prove a partire dal 1971 e del primo prototipo in Germania nel 1979. Oggi sono funzionanti: in Giappone l’HSST Linimo ed in Cina lo Shangai Transrapid System; inoltre, un treno maglev con superconduzione sperimentale, l’MLXO1 giapponese, detiene il record i velocità per ogni tipo di treno (581 km/h nel 2003). Ovviamente, il treno magnetico era stato predetto dalla fantascienza (A Journey in Other Worlds, John Jacob Astor IV, 1894).

Anche l’idea del trasporto “pneumatico” su lunga distanza è piuttosto vecchia e ha origine nella cosiddetta “posta pneumatica”, anche nota come sistema di tubi pneumatici o tubi di Lamson, che è un meccanismo di recapito di oggetti (tipicamente contenenti messaggi o altro materiale flessibile e di piccola taglia), in cui alcuni contenitori cilindrici vengono propulsi attraverso una rete di tubi tramite l'aria compressa oppure il vuoto generato da pompe. Finora questo sistema, oggi spesso in disuso, è stato applicato nel trasporto di oggetti di piccole dimensioni, ma niente vieta che possa essere impiegato per carichi di maggior dimensioni, e per il trasporto umano in capsule. Esempi si ritrovano nella fantascienza: The Day of an American Journalist in 2889 (Michel & Jules Verne, 1890), Double Star (Robert A. Heinlein, 1956, in italiano: Stella Doppia, 1957), ma anche in un modello sperimentale per trasporto effettivamente testato in un tubo sopraelevato da Alfred Ely Beach (1867).

Si entra nella fantascienza estrema con la teleportazione (ossia la de/ri-materializzazione anche di un essere vivente per mezzo di un apposito trasportatore che permetta lo spostamento tra punti diversi di un pianeta, tra pianeti o anche tra galassie; la descrizione più eclatante è quella contenuta fin dagli albori nella classica serie televisiva Star Trek, creata da Gene Roddenberry nel 1966. 

Vi è poi l’ancor più spettacolare “time warping” (distorsione della dimensione tempo per ottenere una velocità superiore a quella della luce), descritto nella stessa Star Trek e in numerosi racconti di fantascienza tra cui: Starship Troopers (Robert A. Heinlein, 1959, in italiano: Fanteria dello Spazio 1962), Battlestar Galactica (Glen A. Larson, 1978, in italiano: Galactica, 1983), Flash Crowd, Larry Niven 1972 ). Larry Niven ha anche prodotto un saggio su questa ipotetica modalità: Exercise in Speculation: The Theory and Practice of Teleportation, pubblicato all’interno della collezione All the Myriad Ways (1971).

Una delle prime immagini di “time warping” della serie Star Trek.

Sconfinano nella fantasia una serie di fenomeni che permettono il movimento di persone e cose mediante forze psichiche. Si tratta dei fenomeni noti come levitazione (fluttuazione del corpo al di sopra del piano d’appoggio) e aportazione (spostamento di oggetti mediante azione psichica), descritti in molti racconti. In un famoso lavoro di fantascienza, Sentinels from Space (Eric Frank Russell, 1954, in italiano: Sentinelle del Cielo, 1967), sono elencate dodici possibili mutazioni della specie umana; di queste, ben quattro riguardano il movimento: levitazione, aportazione, movimento supersonico, telecinesi.

Esiste poi un’altra forma di spostamento frequentemente citata: la bilocazione (presenza simultanea, anche corporea, in due posti diversi); il fenomeno viene attribuito nella tradizione cattolica a diversi santi (tra cui Antonio da Padova, Alfonso de’ Liguori, Padre Pio di Pietrelcina), ma non è sconosciuto nelle credenze di altre religioni: sciamanica, ebraica, indù, islamica, occultistica, buddhista, ecc.

Ancor più estrema, in un certo senso, è la teoria riguardante l’esistenza degli extraterrestri dei tempi antichi o degli antichi astronauti, o teoria del paleocontatto. Essa rappresenta l'insieme di quelle idee, sviluppate a partire dalla metà del secolo scorso e in genere non accettate dal milieu ufficiale scientifico-accademico, che ipotizzano il contatto di civiltà aliene con le antiche civiltà umane quali civiltà precolombiane.

Le teorie sul contatto, che presuppongono chiaramente la capacità di viaggiare nello spazio da parte dei visitatori, sono divenute popolari con la pubblicazione dei libri di Erich von Däniken e Peter Kolosimo e in particolare dei bestseller di Kolosimo – quest’ultimo autore di Non è terrestre (1969) e Astronavi sulla preistoria (1972), sulla base di precedenti argomenti elaborati da Charles Fort sull'apparente incoerenza cronologica di alcuni manufatti.

Gli “astronauti con il casco” dei graffiti rupestri preistorici della Val Camonica.

Esistono diverse idee ed ipotesi sul "paleocontatto":

- Il filone biotecnologico: L'uomo sarebbe il risultato di creazione guidata o esperimenti genetici condotti da extraterrestri sugli ominidi al fine di farli evolvere in tempi rapidi: adattamento evolutivo e neo creazionismo dunque sarebbero veri entrambi. Il principale argomento a sostegno di questa idea è la rapida evoluzione in termini di tempo di Homo sapiens.

 - Il filone religioso: L'uomo avrebbe avuto contatti con extraterrestri sin dalle ere più antiche. Questi esseri sarebbero le divinità delle società antiche come raffigurati in diversi dipinti ed opere d'arte nell'antichità, oltre che citati in testi sacri.

 - Il filone tecnologico: L’uomo avrebbe beneficiato in passato di una tecnologia antica frutto di questi contatti. 

Il tutto è talora collegato al filone spazio-politico: l’idea che il pianeta Terra e l’umanità siano dei “sorvegliati speciali” da parte di alieni, in genere benevolenti, che talvolta vivono fra di noi senza farsi riconoscere, in attesa di un’ulteriore evoluzione umana e dell’opportunità di svelarsi e magari di ammettere l’umanità in una comunità interstellare o galattica. Esiste ovviamente anche l’idea contrapposta: gli alieni malvagi e conquistatori. Tutti i filoni comportano la disponibilità di mezzi di trasporto (assai) più veloci della velocità della luce o capaci di time warping.

Il “Millennium Falcon”, la mitica astronave corsara guidata da Han Solo (intepretato da Harrison Ford) nel IV episodio (in realtà, il primo uscito per il pubblico) di “Star Wars” (1977); nel film, la nave può comunicare elettronicamente con il droide R2-D2 (ma il wi-fi non è ancora stato inventato). (www.viewgoods.com/toys-games/star-war-ship.html)

Uno sguardo verso il futuro
Questo excursus dalle fantasie del passato alla fantascienza del futuro, per quel che riguarda i veicoli con particolare riguardo agli autoveicoli elettrici, sembra indicare la verosimiglianza di un futuro variegato in cui diversi veicoli, modalità e sistemi siano disponibili in maniera sempre più integrata. Per parafrasare un noto modo di dire, si potrebbe immaginare/verificare un futuro dei trasporti caratterizzato da cento fiori, ovvero da cento modalità (con al centro il veicolo elettrico) a disposizione delle cento città in Italia e diverse migliaia o decine di migliaia nel mondo.

Le previsioni si inquadrano in una visione del XXI secolo abbastanza diversa da quella del secolo precedente: vi è preoccupazione per il cambiamento climatico e per il possibile concorso antropico alle alterazioni del clima, vi è preoccupazione per il fatto che le risorse di combustibili fossili siano limitate (anche se non in pericolo di esaurimento in tempi brevi), e vi è ancora l’esigenza di diminuire le emissioni dovute ai sistemi di propulsione approssimando gradualmente una situazione di assenza di emissioni. In questo quadro, si intravede abbastanza chiaramente un ruolo del veicolo elettrico ed in particolare dell’auto elettrica.

Prendendo come esempio la Germania, il governo federale di quel paese prevede approssimativamente un milione di autoveicoli elettrici sulle strade per l’anno 2020. Questo comporta non solo la disponibilità dei veicoli stessi, ma ricerca, sviluppo di servizi, progetti di mobilità, iniziative per l’efficienza energetica, realizzazione di infrastrutture, addestramento di personale, in modo da creare una situazione adeguata di elettro-mobilità su un piano di “normalità quotidiana”. Una rivoluzione della mobilità non potrà certo essere solo tecnologica, ma organizzativa e in un certo senso “filosofica”. La situazione dovrebbe venir affrontata in modo analogo nel nostro paese.

L’auto elettrica sperimentale Chrysler ENVI carrozzata da Pininfarina.

D’altro canto, non sembra che, a livello politico e di opinione pubblica, questi problemi di scenario, nell’aspettativa di una società super-efficiente ed a basso consumo ed inquinamento, vengano approfonditi adeguatamente tenendo conto dell’importanza centrale della mobilità, lasciando spesso in certi casi il bandolo della matassa nelle mani dei tecnici e dell’industria. La lista dei problemi da affrontare è indicativa:

- evoluzione della proprietà dell’automobile da esclusivamente personale a multiproprietaria ed anche comunitaria;

- risoluzioni riguardanti la pianificazione urbana, il sistema stradale e la pianificazione del traffico;

- definizione del mix appropriato di sorgenti energetiche da impiegare per i mezzi di trasporto;

- integrazione a tutti i livelli (energia, trasporti, servizi) per garantire una mobilità efficiente, flessibile, confortevole;

-  modifica graduale dei comportamenti individuali e collettivi in risposta all’evoluzione urbana e tecnologica.

L’evoluzione di questi settori potrebbe verosimilmente superare il pur vasto immaginario della fantascienza. Se si pensa a quella che è stata la (scarsamente prevista) rivoluzione digitale, si può forse avere una qualche idea di quali possano essere gli aspetti inaspettati di una (seconda) rivoluzione della mobilità.

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