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VERSO LA DECIMA CONFERENZA PER L’EFFICIENZA ENERGETICA

Sostenibilità, Efficienza Energetica e Valore Condiviso: da Obbligo ad Opportunità

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di: Claudio Palmieri*
L’autore, energy manager del Gruppo Hera, ripercorre le tappe dell’impegno del Gruppo per l’efficienza energetica come valore condiviso e come strumento di sostenibilità. Questo percorso pluriennale garantisce un punto di vista informato e privilegiato sugli ostacoli che, ancora, frenano un compiuto sviluppo dell’efficienza energetica e non aiutano filiere e percorsi che sarebbero capaci di garantire considerevoli e molteplici vantaggi per l’Italia e per i paesi industrializzati.


Chi ha paura del cambiamento climatico? Ce l’ha, sicuramente, Greta Thunberg, una quindicenne che qualche settimana fa – ritratta in una foto che fa letteralmente il giro del mondo – si siede in protesta davanti al parlamento svedese, accusando i politici del suo Paese di non fare nulla sul rischio climatico. Greta, d’altronde, non è la sola ad avere paura. A Londra, ad esempio, ha sede un’associazione, Clientearth, che sta mettendo sull’avviso 14 grandi fondi pensione britannici, affinché considerino il rischio climatico nel proprio portafoglio titoli e diano informazioni periodiche sull’impatto che potrebbe avere sulle pensioni future.

Insomma: le forme di questa paura sono tante e investono questioni di largo respiro, sempre più irriducibili alle logiche meramente conservative del vecchio ambientalismo, questioni – per essere chiari – che devono essere comprese ed elaborate in seno a una strategia unitaria e globale. Al centro di questa strategia, in particolare, trova o deve trovare posto la questione dell’efficienza energetica: non ci sono altre vie, infatti, per seguire l’agenda di COP21, che per il 2050 ci chiede di ridurre dell’85% le emissioni climalteranti.

Per fortuna, anche se il frangente è indubbiamente delicato, non siamo all’anno zero. Già dalla metà degli anni 90, infatti, non è più possibile occuparsi (seriamente) di energia senza occuparsi (anche) di cambiamento climatico. Il primo importante turning point, in questo senso, è costituito dal protocollo di Kyoto, che vede la luce alla fine del ‘97: esso ha il merito incontestabile di porre al centro dell’agenda pubblica la questione di una crescita economica e industriale che sia non soltanto solida e duratura ma anche sostenibile dal punto di vista ambientale. E proprio in quel documento, non a caso, troviamo le premesse di quella politica di de-carbonizzazione che a partire dagli anni 2000 orienta l’azione dell’Europa in materia di efficienza energetica.

A cavallo fra i due millenni, l’Italia non sta a guardare e comprende subito la necessità di costruire condizioni favorevoli al cambiamento: il 2004, in questo senso, è per il nostro Paese un anno fondamentale, perché escono i primi decreti attuativi che danno il via al meccanismo dei Certificati Bianchi. Proprio in quegli anni, in effetti, la sfida comincia a diventare anche e soprattutto culturale, dunque più profonda e progressivamente più impegnativa. Va così scavandosi un fossato fra i molti che continuano a vivere l’efficientamento energetico come un onere sostanzialmente antieconomico e i pochi che, a macchia di leopardo, iniziano ad alzare lo sguardo e a gettare il cuore oltre l’ostacolo, intuendo nuove opportunità di business e immaginando nuovi modelli di sviluppo, da costruire con pazienza, condivisione, tenacia. Al di fuori, soprattutto, dei vecchi schemi. Senza alcuna esitazione, Hera si ritrova immediatamente in questo secondo gruppo, ottiene la prima approvazione in Italia di un progetto di energy saving e comincia a giocare un ruolo da battistrada, aprendo sentieri inesplorati ed esercitando una positiva funzione di contagio. Si creano quindi le condizioni per lo sviluppo e la specializzazione delle ESCO, realtà che affermano con forza lo statuto e le ragioni di professionalità prima un po’ ai margini (o addirittura inesistenti).

La parola chiave, a questo punto, diventa “partnership”: nel corso degli anni, infatti, Hera intraprende progetti di efficientamento energetico con stabilimenti industriali presenti su tutto il territorio nazionale, confrontandosi con i più svariati settori produttivi e acquisendo competenze avanzate su un ampio ventaglio di tecnologie. Aiutare le imprese a conseguire Certificati Bianchi, del resto, è una delle tante declinazioni nelle quali si articola quel fondamentale ruolo di enabler che, tipicamente, appartiene al mandato di una multiutility di queste dimensioni, un mandato che – nella fattispecie – si alimenta di un orientamento al territorio assolutamente peculiare, capace – anche attraverso la ricerca di continue sinergie – di incrementare anno dopo anno le quote di ricchezza trasferita a comunità locali, fornitori e, appunto, aziende terze.

Questo percorso pluriennale, nel quale Hera continua tutt’oggi a impegnarsi e a porsi nuovi traguardi, ci garantisce un punto di vista informato e privilegiato sulle motivazioni che, ancora, frenano un compiuto sviluppo dell’efficienza energetica e non aiutano filiere e percorsi che sarebbero capaci di garantire considerevoli e molteplici vantaggi per l’Italia e per i paesi industrializzati.

 

Sulle barriere di ostacolo all’efficienza energetica nell’industria

Concediamoci allora una piccola provocazione: in ambito industriale, per investire in efficienza energetica, occorre essere un po’ visionari, perché la via di più facile imbocco, quasi per inerzia, conduce altrove. Nell’allocazione di risorse interne, infatti, gli investimenti tipicamente prioritari sono quelli dedicati a sviluppo dei business, incremento di qualità o produttività e compliance normativa. In questo quadro, l’efficienza energetica non scompare dai radar ma risulta spesso una voce non strategica, su cui investire solo quando le redditività si profilano consistenti e, soprattutto, veloci, con tempi di ritorno inferiori ai 2/3 anni.

Occorre bypassare, a ben vedere, il combinato disposto dato da barriere “percepite” – grossomodo legate a una tendenziale sfiducia nelle competenze dei professionisti esterni e negli incentivi disponibili – e da ostacoli più oggettivi, che vanno dalla scarsa incisività dell’efficientamento energetico sui costi operativi dell’impresa alle vere e proprie interferenze che questi interventi possono arrecare al processo produttivo.

A fronte di un tale scenario ostativo, il gap da colmare non riguarda solo il tema delle competenze, che pure occorrono. Per vincere davvero le resistenze che frenano i decision maker, infatti, il fronte più decisivo è quello degli incentivi economici, che rispetto alle competenze possono anzi fare da traino. Senza l’effetto catalizzatore dell’incentivo, d’altronde, la complessità di una sfida come quella dell’efficienza energetica può risultare insormontabile e le iniziative poste in essere rischiano di non raggiungere una dimensione di penetrazione adeguata agli obiettivi nazionali.

Da questo punto di vista i Certificati Bianchi, rappresentano una leva importante, per diverse ragioni. Ampiamente applicabili e molto flessibili, essi consentono infatti di ridurre i tempi di ritorno degli investimenti, favoriscono la convergenza delle competenze necessarie, e attirano indispensabili risorse economiche aggiuntive, che danno più forza agli investimenti stessi e attenuano i motivi di “fatica” verso l’obiettivo finale.

Ma l’incentivo in quanto tale, ovviamente, non basta. Ecco perché, cercando di sfruttare ogni margine di azione all’interno del meccanismo dei Certificati Bianchi, occorre evitare approcci standardizzati e costruire, con ogni azienda partner, percorsi specifici, finalizzati a riconoscere e superare, caso per caso, tutte le barriere reali e percepite. La strategia di Hera, in questo senso, si ispira a quattro elementi chiave:

 

Spianare la strada all’efficienza energetica

L’impegno delle imprese sul fronte dell’efficienza energetica è fondamentale per le nostre comunità, e lo è sotto tanti punti di vista: sicurezza degli approvvigionamenti, minor dipendenza dall’estero, minor esposizione a variabili geopolitiche sovranazionali, e via dicendo. Come garantire, però, il perdurare di benefici così rilevanti in termini sociali? Se l’onere di questa risposta resta in capo alle sole realtà industriali, se cioè il pubblico se ne lava le mani, la partita – in ragione delle resistenze cui s’è accennato - rischia davvero di essere persa. Il contributo fondamentale delle imprese al conseguimento e al mantenimento dell’efficienza energetica a livello nazionale, quindi, deve trovare una sponda in un’azione pubblica strutturata e credibile, capace di rendere costanti e appetibili interventi che in caso contrario diverrebbero del tutto episodici e, come tali, pressoché inutili. Non solo; l’incentivo crea e non cessa di alimentare quel necessario substrato di competenze a cui dare fondo per individuare sempre nuovi interventi di efficienza energetica e per promuovere l’Uso Razionale dell’Energia, che rappresenta l’unica vera garanzia affinché i risultati raggiunti siano mantenuti nel tempo.

Una corretta politica di incentivi, d’altra parte, deve passare dal pieno riconoscimento delle caratteristiche peculiari degli interventi di efficientamento energetico. La loro natura, in particolare, non si risolve né coincide con l’installazione di determinate apparecchiature, che sarebbe presidiabile – come già per il settore delle rinnovabili – con incentivi volti alla mera acquisizione delle dotazioni necessarie, incentivi che nel corso del tempo vengono gradualmente ridotti o addirittura eliminati.

A parte alcuni componenti ausiliari ricorrenti come pompe e caldaie, infatti, l’efficientamento energetico ha natura fondamentalmente configurazionale: esso, cioè, si basa su soluzioni articolate e non standardizzabili che mettono al centro i comportamenti (come noto indisponibili a scaffale) e prevedono l’abbinamento creativo di un insieme di tecnologie che, in se stesse, possono anche non essere necessariamente innovative. A questa tipologia di interventi è dunque precluso “l’effetto scala” tipico della produzione industriale, che potrebbe sopperire al venir meno dell’incentivo.

Il successo dei Certificati Bianchi, da questo punto di vista, risiede nell’adeguatezza e nella lungimiranza della loro formula: tecnologicamente neutrali, essi sono stabili nel tempo, prevedono una rigorosa misura dei risultati e determinano un costo per unità di energia risparmiata inferiore a qualunque altra forma incentivante sperimentata. L’auspicio, quindi, è che i correttivi applicati con il recente DM 10/05/2018, certamente ancora migliorabile, siano efficaci e garantiscano il rilancio del meccanismo, anche in considerazione del fatto che non si vedono alternative a questo schema per il conseguimento degli obiettivi nazionali al 2020.

Sullo sfondo, l’immagine di Greta Thunberg resta un utile promemoria. A lei, e all’umanità che si riconosce nelle sue legittime preoccupazioni, dobbiamo infatti riconoscere un diritto che non si risolva in quello di parola e che si prolunghi, in qualche modo, in una sorta di “diritto al mondo”, da garantirsi con l’impegno diffuso di tutti gli attori locali e globali e, soprattutto, attraverso un’articolata modifica dei comportamenti, che nelle sfide dell’efficienza energetica si gioca una parte importante del proprio successo.

*Energy Manager Gruppo Hera.

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