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Cassandra Abita Qui

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di: Leonello Serva
I disastri naturali che minacciano l’Italia sono molteplici. Una corretta politica di prevenzione richiede anche di operare scelte fra gli interventi possibili per attenuare le conseguenze degli eventi calamitosi. Innanzitutto però occorre essere consapevoli dei rischi che si corrono.


Confesso che mi sento un po’ a disagio a parlare di questi problemi: potrei sembrare un uccello di cattivo augurio o, in parole più eleganti, una Cassandra. Ma non parlarne non risolve il problema. Anzi, mi sembra che la minaccia diventi più grande se viene ignorata e se nessuno si occupa di arginarne gli effetti. Spero quindi che qualcuno presti attenzione a questi argomenti scomodi, in particolare fra i nostri politici.

In un mio precedente articolo avevo scritto che “L’Italia è un paese a rischio per gli effetti di diversi eventi naturali. Nell’ordine, tra quelli statisticamente più rilevanti, vi sono:

- il rischio geologico-idraulico (che in verità, oltre a riguardare eventi naturali, è spesso aumentato o causato dall’azione dell’uomo), a carattere quasi costante nel tempo;

- il rischio sismico, ossia quello causato da terremoti e tsunami, che può tramutarsi in catastrofico;

- il rischio vulcanico, dovuto ai vari tipi di eruzioni ed altri fenomeni vulcanici, che può diventare apocalittico.”

Le dizioni costante nel tempo, catastrofico e apocalittico sono indispensabili per la descrizione corretta dei fenomeni.

Le conseguenze del rischio geologico-idraulico presentano caratteristiche più o meno invariate nel tempo; in altre parole, è molto difficile che vi siano in futuro frane ed alluvioni significativamente più estese di quelle già viste negli ultimi 50 anni. Gli effetti varieranno in funzione del grado di antropizzazione delle aree colpite, ma non saranno mai catastrofici come nel caso di eventi sismici o vulcanici.

Il rischio sismico, invece, può essere catastrofico, ossia dovuto ad un terremoto di un’intensità molto maggiore rispetto a quelli di cui gli italiani di oggi hanno memoria diretta. Ad esempio, è possibile che si verifichi un terremoto di magnitudo 7 – significativamente molto più forte di quello di magnitudo 6,5 avvenuto il 30 ottobre -  nel Beneventano oppure a Catania o sullo Stretto di Messina. In casi simili, non sarebbero coinvolte poche migliaia di persone, come nei terremoti verificatisi negli ultimi 80 anni, ma molte centinaia di migliaia. In casi simili, gli interventi di soccorso diverrebbero ingenti e complessi. Gli scenari di ricostruzione risulterebbero insostenibili economicamente rispetto a quelli affrontati in Abruzzo o in Emilia.

Questi scenari di rischio sono reali. Tre terremoti di magnitudo vicina a 7 si sono verificati in Italia, ai primi del novecento: quello della Calabria tirrenica (1905), quello di Messina/Reggio Calabria (1908) e quello di Avezzano (1915).

Apocalittico, infine, potrebbe essere il rischio vulcanico se si “svegliasse” veramente il Vesuvio o, peggio ancora, i Campi Flegrei, interessando milioni di persone, con scenari inimmaginabili. Per questo è importante che interventi di mitigazione delle conseguenze di un simile evento vengano attuati per tempo.

Nel caso di eventi catastrofici o apocalittici, potrebbero verificarsi crisi sociali gravi con ripercussioni politiche a livello nazionale ed europeo.

Cosa fare a fronte di questi potenziali scenari? Si tratta di un problema enorme, che la politica non può ignorare. Occorrono profondi cambiamenti nella cultura di governo, in riferimento alla prevenzione, alla mitigazione del danno e all’emergenza. Occorre una valutazione attendibile dei costi secondo i vari scenari, informarne la pubblica opinione; stabilire delle priorità, definire le risorse; allocare al meglio i fondi pubblici. In altre parole, stabilire su cosa concentrare l’intervento pubblico e privato. Questo, forse, è l’unico metodo che possa consentire, a fronte di un probabile terremoto, di mettere in sicurezza un patrimonio culturale irripetibile (due nomi a caso in zone a rischio: Pompei e Paestum).

 

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