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Il Tirreno ed i suoi Vulcani Sottomarini

di: di Gianluca Iezzi, Guido Ventura, Mattia Vallefuoco, Carlo Caso, Silvio Mollo, Francesco Vetere, Andrea Cavallo, Harald Behrens, Diego Paltrinieri e Patrizio Signanini

 

Il mar Tirreno è delimitato ad ovest dalle coste orientali di Corsica e Sardegna, ad est dalla penisola italiana, e a sud dalla costa settentrionale siciliana. La forma triangolare del Tirreno è il risultato di processi geodinamici complessi ed in particolare della distensione e frammentazione della crosta che ha interessato, con tassi crescenti da nord verso sud, tutta l’area compresa tra la Corsica e la Sardegna ela catena Appenninica. Ladistensione progressiva della crosta terrestre riduce la sua altitudine media e porta alla formazione di bacini che vengono progressivamente riempiti dai sedimenti; forti tassi di distensione possono addirittura determinare la frammentazione della crosta e la creazione di nuova (crosta oceanica) tramite l’eruzione continua di lave provenienti dalle rocce fuse del mantello terrestre. La forte distensione del Tirreno ha prodotto (a) bacini con profondità di circa 3-4 km, (b) una estesa copertura di sedimenti marini pelagici (di mare aperto), (c) la formazione di nuova crosta oceanica (Fig. 1), e (d) un elevato flusso di calore.

La storia geologica di questo mare inizia nel Miocene, circa 10-15 milioni di anni fa; la sua nascita ed evoluzione sono legati al complesso movimento che interessa da molte decine di milioni di anni la placca euro-asiatica e quella africana (Malinverno e Ryan, 1986; Doglioni et al., 2004); il movimento di queste due grosse placche ha determinato la formazione delle Alpi, degli Appennini e del bacino Tirrenico stesso, assieme agli altri bacini marini del Mediterraneo (per es. il bacino Balearico) e le catene montuose adiacenti. Secondo la maggior parte dei ricercatori, la formazione del Tirreno è connessa alla subduzione delle (micro) placche ioniche ed adriatiche che continuano a sprofondare verso nord-ovest ed ovest, rispettivamente, al di sotto della catena Appenninica e del Tirreno (Fig. 1). Tale assetto geologico evidenzia che il Tirreno è un cosiddetto bacino di retroarco; l’arco vulcanico testimone del processo di subduzione è quello delle Eolie, mentre la subduzione della placca adriatica non sarebbe più attiva, benché una convergenza sul fronte adriatico sia tuttora presente (Fig. 1). In aggiunta, diversi modelli geodinamici evidenziano che nel Tirreno esistono anche aree di intensa estensione non legate direttamente alla subduzione ma alla risalita del mantello terrestre e dei suoi fusi (Faccenna et al., 2004; Nicolosi et al., 2006; Cuffaro et al., 2011). 

Fig. 1. Rappresentazione schematica della geografia, geologia e geodinamica del mar Tirreno e delle aree circostanti (modificata da Iezzi et al., 2014). La linea nera marcata con i triangoli indica l’attuale posizione delle zone in convergenza tettonica (catena degli Appennini) e subduzione (arco calabro e isole Eolie); la direzione dei triangoli indica la placca che si accavalla. La distribuzione del vulcanismo sub-aereo e sottomarino degli ultimi milioni di anni è riportata in rosso. In generale, il periodo di attività vulcanica ringiovanisce muovendo da nord-ovest verso sud-est.

In sintesi, il Tirreno si è strutturato dapprima come bacino di retro-arco, dove l’arco è la catena Appenninicache ruota nella zona calabro-ionica verso una direzione est-ovest sulla Sicilia e prosegue verso la catena magrebina (Fig. 1). Successivamente, l’intensa attività di distensione ha prodotto forti assottigliamenti crostali tipici dei contesti geologici di oceanizzazione, soprattutto nella parte meridionale (al di sotto del 41° parallelo); queste zone più assottigliate del Tirreno sono marcate da fondali di rocce a maggior densità con composizione simile ai basalti dei fondali oceanici (MORB: mid-ocean ridge basalt); nel Tirreno la maggior parte delle rocce vulcaniche analizzate fino ad oggi ricadono nella tipologia degli archi insulari (IAB: island arc basalt) e secondariamente nel campo delle isole oceaniche (OIB: oceanic island basalt) (Trua et al., 2004; Panza et al., 2007).

Questa complessa storia geologica del Tirreno e delle zone circostanti ha come riflesso una intensa e variegata attività magmatica (Peccerillo, 2005), la cui parte meno accessibile ed investigabile è rappresentata proprio dai vulcani sottomarini. L’attività magmatica tirrenica e circumtirrenica si evidenzia dalla presenza di vulcani emersi lungo la costa occidentale italiana o delle isole vulcaniche prospicienti la costa settentrionale della Sicilia (Fig. 1). A questi vulcani ben individuabili e conosciuti da molti secoli si aggiungono i rilievi sottomarini (seamount); molti di questi rilievi sottomarini sono anch’essi dei vulcani; ovviamente per considerare definitivamente un seamount un vulcano bisogna avere a disposizione campioni di rocce che ne indichino l’origine vulcanica, ovvero rocce che risultano dalla solidificazione di magmi, oppure avere misure geofisiche e/o osservazioni dirette di attività vulcano-tettonica o idrotermale.

Le diverse strutture vulcaniche delle aree che circondano il Tirreno hanno età che ringiovaniscono da nord-ovest verso sud-est, seguendo l’evoluzione temporale imposta dal regime geodinamico. Infatti la Sardegna, la Corsica e la Toscana sono gli areali geografici in cui si rinvengono le rocce magmatiche più antiche, mentre scendendo verso il sud Italia l’attività vulcanica sub-aerea è prevalentemente iniziata negli ultimi uno, massimo due, milioni di anni e risulta tutt’ora attiva all’ Etna e Stromboli. Vulcani attivi attualmente in quiescenza sono i Campi Flegrei, Ischia, Vesuvio, alcuni dei vulcani eoliani; i vulcani non piu’ attivi,  praticamente estinti sono quelli del distretto tosco-laziale, Ustica, Vulture e Roccamonfina.

La crescente possibilità di investigare i fondali marini ha permesso negli ultimi decenni di scoprire che anche nelle aree coperte dalle acque tirreniche vi è stata e continua ad esistere una intensa attività magmatica che ringiovanisce da nord-ovest verso sud-est. L’origine vulcanica dei seamount tirrenici è stata dapprima suggerita dall’analisi batimetrica del fondale del Tirreno,  iniziata molti negli anni70’ (Morelli, 1970); le forme individuate nel fondale tirrenico sono state poi progressivamente più dettagliate in funzione della crescente accuratezza delle tecniche geofisiche che oggi permettono di cartografare in dettaglio il fondale del Tirreno (Marani e Gamberi, 2004; Marani, 2005), come quello di qualsiasi altro mare, con una risoluzione elevata (metri)  (Milano et al., 2012; Ventura et al., 2013). Nella Fig. 2 viene riportato il rilievo del fondale tirrenico meridionale dove sono evidenziate la posizione, l’elevazione e la forma delle principali  strutture vulcaniche recenti più studiate ed importanti.

In aggiunta alle caratteristiche fisiografiche e geomorfologiche, parte del fondale tirrenico è stato investigato tramite: i) posizionamento di strumenti geofisici che permettono di registrare in continuo l’attività sismica (D’Alessandro et al., 2009 e 2012), ii) rilievi geofisici magnetici, di gravità e di sismica a riflessione a mare che permettono di determinare la geologia della crosta e del mantello tirrenico (Cocchi et al., 2009; Caratori-Tontini et al., 2010), iii) composizione dei gas emessi dai fondali tirrenici e dai suoi seamount per definire il tipo di attività idrotermale e vulcanica (Lupton et al., 2011) e iv) campionamenti di sedimenti (marini o vulcanici) o rocce fratturate tramite dragaggi (Selli et al., 1977; Trua et al., 2002). 

Fig. 2 Batimetria del fondale tirrenico meridionale rappresentato con linee di livello o isoipse ogni 500 m di profondità d’acqua; l’ubicazione delle principali strutture vulcaniche sottomarine recenti  è evidenziata con i triangoli rossi.

I campioni ottenuti tramite dragaggi non permettono tuttavia di ottenere la stratigrafia dei depositi tirrenici, ovvero di studiare la naturale disposizione verticale dei sedimenti e delle rocce; proprio per ovviare a ciò i depositi soffici sottostanti pochi metri il fondale tirrenico sono stati campionati tramite infissione per gravità di campionatori che permettono il recupero di colonne di sedimenti dette “carote” (Paterne et al., 1988; Di Roberto et al., 2008; Iezzi et al., 2014), mentre le rocce più dure giacenti anche a diverse centinaia di metri sotto il fondale sono state campionate con perforazioni che usano tecniche simili a quelle petrolifere (in realtà è l’estrazione petrolifera che ha beneficiato degli sviluppi tecnologici delle ricerche oceanografiche e di geologia marina); queste perforazioni sono state effettuate partendo da profondità variabili da poche decine di metri fino a profondità di 2000-3000 msotto il livello del mare (s.l.m.) (Kastens et al., 1989) (nel seguente link sono riportate molti dati concernenti le perforazioni più importanti effettuate nel Tirreno: http://www-odp.tamu.edu/publications/citations/cite107.html). L’ubicazione delle principali carote e delle perforazioni più importanti del mar Tirreno sono riportate nella Fig. 3; la stratigrafia delle carote marine nei sedimenti fornisce informazioni molto utili anche per determinare l’attività vulcanica delle strutture sub-aeree tramite l’analisi delle ceneri o tefra delle eruzioni più voluminose trasportate dai venti, ricadute in mare e poi sedimentate nel fondale del Tirreno (Giaccio et al., 2008) o fornire utilissimi dati di paleocenografia e paleoclimatologia (Ton-That et al., 2001).

Fig. 3. Ubicazione delle principali carote e perforazioni stratigrafiche effettuate nel fondale tirrenico (modificato da Iezzi et al., 2014).

Come è facile intuire, il reperimento di campioni di rocce e di dati geofisici e/o geochimici effettuati sulle e nelle acque tirreniche o dal suo fondale è alquanto limitato; tutti gli studi che permettono di desumere le caratteristiche geologiche sottostanti la superficie marina sono infatti molto più dispendiosi in termini economici e tecnici rispetto ai rilievi sub-aerei. Tuttavia, la geologia marina rappresenta uno degli ambiti disciplinari e tecnologici di più grande sviluppo nelle Scienze della Terra. Questo perche’ circa tre quarti della superficie terrestre è coperta dal mare. Basta infatti pensare quanto sia limitato il campionamento di rocce sottomarine tirreniche rispetto a quelle recuperate e/o recuperabili geologiche nelle aree sub-aeree circostanti. Il numero di campioni di roccia tirreniche raccolti nel Tirreno e fino ad ora analizzato è infatti relativamente limitato, ma ha comunque permesso di delineare un quadro generale della  geologia e della storia evolutiva di questo mare e delle strutture vulcaniche presenti nelle sue acque; il recupero di ulteriori campioni di sedimenti e rocce permetterà in futuro di ancora effettuare nuove scoperte e di rivedere o ridefinire precedenti conclusioni modelli geologici. In particolar modo, le rocce magmatiche dragate, carotate o perforate in questi ultimi decenni dal fondale tirrenico hanno permesso di definire il tipo di attività eruttiva e l’età delle varie strutture vulcaniche sottomarine.

L’esempio migliore della recente evoluzione nella comprensione scientifica dei processi vulcanici sottomarini tirrenici è fornito dal vulcano Marsili, il più grande del Mediterraneo e d’Europa con forma sigmoidale, allungato per circa70 kmin direzione nord-sud, con una larghezza massima di30 kmed una altezza di circa3 kmdal fondale dell’omonimo bacino (Fig. 4); la cresta di questa enorme struttura vulcanica è posizionata a poco più di500 msotto il livello del mare (Ventura et al., 2013). Benché il Marsili sia la struttura vulcanica relativamente più investigata e meglio conosciuta fra tutti i vulcani sottomarini del Tirreno e dell’intero Mediterraneo, proprio negli ultimissimi anni varie ricerche hanno permesso di riconsiderare molti aspetti concernenti la sua natura e soprattutto il suo attuale stato (Caratori Tontini et al., 2010; Lupton et al., 2011; D’Alessandro et al., 2012; Ventura et al., 2013; Iezzi et al., 2014).

Questo vulcano, nato circa 1 milione di anni fa, era ritenuto aver terminato la sua attività effusiva  circa 100.000 anni fa. L’analisi di svariati parametri geologici derivati dall’uso di metodiche complementari ha evidenziato invece che tale vulcano è tutt’ora da considerarsi attivo dato che ha una attività sismica tipica di aree vulcaniche ed idrotermali (D’Alessandro et al., 2012); nelle acque al di sopra del Marsili si è registrata inoltre l’emissione di gas legati ad un magmatismo di tipo mantellico (Lupton et al., 2011) e, soprattutto, si sono individuati due depositi vulcanici (datati utilizzando la tecnica del 14C sui gusci di organismi fossili contenuti nei sedimenti intercalati) che risultano emessi circa 3000 e 5000 anni fa da coni vulcanici posizionati a circa 850 m di profondità sulla parte sommitale del Marsili come riportato in Fig. 4 (Iezzi et al., 2014). L’ area sommitale del Marsili è ricca di coni vulcanici perfettamente conservati, indizi che testimoniano una loro formazione recente come già individuato in uno studio concernente la geomorfologia e morfometria quantitativa (inclinazione dei pendii e loro orientazione) del vulcano (Ventura et al., 2013).

Fig. 4. Immagine tridimensionale del vulcano Marsili in cui viene evidenziata l’area sommitale da dove sono stati emessi circa 3000 e 5000 anni fa due depositi vulcanici. (modificato da Iezzi et al., 2014).

I due depositi vulcanici (tefra) campionati in una carota di lunghezza di circa 95 cm hanno caratteristiche tessiturali (forma e dimensione dei grani di cenere e delle bolle contenute in esse) che indicano una attività esplosiva di bassa energia, i cui effetti con molta probabilità sono rimasti confinati al solo ambiente marino. È comunque la prima volta che viene documentata nel Marsili e nell’intero Mediterraneo un’attività vulcanica esplosiva a profondità d’acqua superiore ai 500 metri  (Iezzi et al., 2014). Infatti la totalità delle attività magmatiche fino ad ora studiate nel Tirreno è rappresentata da rocce vulcaniche effusive, ovvero quelle solidificatesi tramite il raffreddamento di lave a contatto con acqua. Sicuramente il vulcanismo effusivo è dominante nel Marsili e negli altri vulcani sottomarini tirrenici, ma non si può escludere che l’attività vulcanica esplosiva sia stata o potrebbe essere tuttora un elemento minoritario ma significativo e da tenere in considerazione. La composizione chimica di queste ceneri emesse dal Marsili fra 3000 e 5000 anni fa definisce meglio la linea evolutiva di questo enorme vulcano e suggeriscono un significativo legame tra il Marsili e il vulcanismo eoliano,. Nuove campagne oceanografiche finalizzate all’ acquisizione di nuovi dati geofisici e geochimici (gas emessi dal vulcano) e al recupero di altre rocce del Marsili da siti selezionati serviranno per definire con precisione il suo stato di attività odierno, i possibili rischi, ma anche le sue potenzialita’ per l’utilizzo di risorse minerarie (Dekov e Savelli, 2004) o geotermiche (Caso et al., 2010; Armani e Paltrinieri, 2013). Proprio in questi ultimi due lavori scientifici si evidenziano le possibilità legate (i) allo sfruttamento dell’attivita’ idrotermale di questo vulcano, caratterizzato dalla presenza di fluidi ad alta temperatura, (ii) agli investimenti ed esplorazioni effettuate a fini geotermici sottomarini (la geotermia sottomarina è un campo di ricerca di frontiera a livello mondiale), legati a permessi di ricerca del Ministero dello Sviluppo Economico. Tutto questo mette in evidenza il legame virtuoso tra possibili sviluppi di attività industriali green-oriented e ricerca di base. Tale legame ha permesso infatti di effettuare molte delle più recenti ricerche scoperte sul Marsili.

Lo stato delle conoscenze sugli altri seamount e strutture vulcaniche del Tirreno e’ di gran lunga meno avanzato di quello del Marsili. Sono infatti disponibili pochi campioni dei loro sedimenti e rocce, la loro geomorfologia è, inoltre,  meno dettagliata e le misure geofisiche e geochimiche, utili per desumerne il loro stato attuale di attivita’, sono ancora limitate. Conseguentemente, la conoscenza delle loro caratteristiche ed età di formazione derivano principalmente dai rilievi batimetrici a grande scala del Tirreno (Marani e Gamberi, 2004; Marani, 2005) e dalle stratigrafie di perforazioni (Fig. 3) del fondale circostante queste strutture (Kastens et al., 1989), più che da rocce prelevate direttamente da questi seamount e vulcani (Trua et al., 2004). Le carte batimetriche che evidenziano i tratti principali del fondale del Tirreno e delle relative strutture geologiche e vulcaniche sono visionabili nel sito ISPRA della Cartografia Geologica Italiana al link: http://www.isprambiente.gov.it/en/publications/technical-periodicals/descriptive-memories-of-the-geological-map-of/from-seafloor-to-deep-mantle-architecture-of-the. I vulcani sottomarini identificati ad oggi nel mar Tirreno sono Magnaghi, Vavilov, Marsili, Palinuro, Glabro, Alcione, Lametini, Glauco, Aceste, Anchise, Albatros, Sisifo, Enarete, Eolo e Prometeo (Figure 1 e 2) a cui vanno aggiunti quelli presenti nel canale di Sicilia (http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/vulcani_sottomarini.wp) (Trua et al., 2004).

Il Magnaghi ed il Vavilov sono due altri seamount di origine vulcanica, con forma ed orientamento simili al Marsili, ma di estensione minore benché le loro lunghezze sono di qualche decina di km; rispetto al Marsili, il Magnaghi ed il Vavilov sono posizionati più ad ovest e leggermente più a nord (Fig. 1) e la loro formazione è iniziata qualche milione di anni fa. Oggi sono ritenuti entrambi inattivi (Trua et al., 2004). Il Vavilov possiede un tratto geomorfologico distintivo rispetto a tutte le altre strutture vulcaniche sottomarine del Tirreno; il suo lato occidentale è estremamente ripido; ciò sarebbe il risultato di un enorme ed unico collasso di un volume di rocce di circa 50 km3 (Caratori-Tontini et al., 2010). Secondo alcuni autori un simile elemento fisiografico potrebbe determinare un repentino spostamento di grosse masse d’acqua e portare alla genesi di onde anomale (Caratori-Tontini et al., 2010). Come per il Marsili, le poche rocce raccolte sul Magnaghi e sul Valvilov sono effusive con composizioni assimilabili principalmente ad IAB e in minor misura ad OIB.

I vulcani sottomarini Palinuro, Glabro, Alcione e Lametini (formato da due coni gemelli) sono invece posizionati ad est del Marsili e prospicienti la costa calabra (Figure 1 e 2); questo gruppo di vulcani sommersi rappresenta la parte nord-est dell’arco Eoliano a mare (Marani e Gamberi, 2004). Il Palinuro ha una forma sigmoidale che si estende prevalentemente verso est-ovest, risultante dalla coalescenza di diversi apparati vulcanici singoli, per una lunghezza di molte decine di km (più di50 km) ed una profondità minima di circa80 metrisotto il livello marino (Milano et al., 2012); Glabro, Alcione e Lametini hanno forme più propriamente di vulcani conici (Fig. 1) (Marani e Gamberi, 2004). Pochi campioni di rocce sono stati prelevati direttamente dal Palinuro e mostrano composizioni assimilabili a quelle IAB e simili alle rocce vulcaniche della parte emersa delle Eolie, con età di alcune centinaia di migliaia di anni (Colantoni et al. 1981; Trua et al., 2004); i nuovi dati batimetrici di alta risoluzione suggeriscono che parte di questa struttura potrebbe essere attiva o quantomeno quiescente (Milano et al., 2012).

Un altro gruppo di vulcani sottomarini è rappresentato dai rilievi sommersi ad occidente delle isole Eolie, i cui principali sono denominati Eolo, Enarete e Sisifo (Figure 1 e 2); questi seamount hanno morfologie complesse e lievemente allungate in direzione  nord-ovest sud-est (Marani e Gamberi, 2004). I pochi campioni di roccia dragati da queste strutture vulcaniche suggeriscono che l’attività di questo gruppo di vulcani è compresa tra mezzo ed 1 milione di anni, con attività magmatica molto simile a quella emersa delle isole Eolie, quindi con affinità tipiche dei sistemi di subduzione (Trua et al., 2004). Prometeo è invece un esteso campo lavico di recente scoperta (Trua et al., 2004) posizionato sulla parte est dell’isola di Ustica; la composizione di queste rocce è alcalina (ricche in sodio) e simile a quelle affioranti ad Ustica. Gli altri seamount Glauco, Aceste, Anchise ed Albatros citati precedentemente sono tutt’ora, con molta probabilità assieme ad altri ancora da individuare, conosciuti solo dalla loro morfologia e dalle rocce dragate o perforate nei loro dintorni (Trua et al., 2004).

La geologia del Tirreno, malgrado gli sforzi scientifici, tecnologici ed economici fino ad ora effettuati è chiaramente limitata dai (relativamente pochi) dati raccolti; molte altre ricerche e dati sono necessari per vincolare meglio l’affascinante puzzle geologico e vulcanico del mar Tirreno, per definire i possibili scenari di hazard potenzialmente legati ad eruzioni vulcaniche sottomarine e instabilità gravitative degli edifici sommersi, nonché per vagliare le possibili georisorse in un quadro di sviluppo scientifico, tecnologico ed ambientale unitario.

 

Nota sugli autori

G. Iezzi: Dipartimento di Ingegneria & Geologia, Università G. d'Annunzio, Chieti, Italy; Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Roma, Italy.

G. Ventura:Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Roma, Italy.

M. Vallefuoco: Istituto Ambiente Marino Costiero IAMC, CNR, Napoli, Italy.

C. Caso:Dipartimento di Ingegneria & Geologia, Università G. d'Annunzio, Chieti, Italy;Schlumberger Information Solutions, Madrid, Spain.

S. Mollo:Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Roma, Italy.

F. Vetere: Dipartimento di Ingegneria & Geologia, Università G. d'Annunzio, Chieti, Italy; Institut für Mineralogie, Leibniz Universität, Hannover, Germany.

A. Cavallo: Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Roma, Italy.

H. Behrens: Institut für Mineralogie, Leibniz Universität, Hannover, Germany.

D. Paltrinieri:Eurobuilding, Servigliano (AP), Italy.

P. Signanini: Dipartimento di Ingegneria & Geologia, Università G. d'Annunzio, Chieti, Italy.

 

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NOTA
Articolo presentato il 24 giugno 2014, accettato dopo review il 2 luglio 2014. 

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