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IL TIFONE HAIYAN

Vittime senza difese

Scritto il .

di: F. M.
Anche per la tragedia delle Filippine si ricerca la causa nel cambiamento climatico. Ma sarebbe ora che si dedicassero più risorse e attenzione alle azioni di mitigazione. Sono queste carenze a causare i peggiori stermini.


 

Le immagini degli effetti del tifone nelle Filippine sono terribili, ma la reazione delle autorità sembra discutibile. È come se si volesse tentare di cancellare le inadempienze e le responsabilità nella gestione dell’emergenza. Nei canali televisivi, nella stampa (con l’eccezione significativa del “New Scientist”), nel web, si sono visti diplomatici, funzionari ed esperti governativi attribuire la colpa al cambiamento climatico in quanto causa di un fenomeno eccezionale, e richiedere a gran voce interventi contro l’effetto serra.

Questa spiegazione è assolutamente non provata e non regge. I dati noti e pubblicati dai servizi meteo indicano che in media, in un anno, 19 tifoni entrano nella zona delle Filippine e, di questi, 6-9 toccano la terraferma e passano in aree abitate. Finora, il tifone registrato con maggior numero di morti (a seconda delle valutazioni da 5.101 a 8.000 decessi) è stato Thelma/Urig nel 1991, il tifone che ha causato più danni Bopha/Pablo nel 2012, ma quello che ha scaricato la maggior quantità d’acqua è stato il tifone del 14-18 luglio del lontano 1911, che scaricò in una certa zona (Baguyo City) 221 centimetri di pioggia. Da allora, in certe parti delle Filippine, il tifone viene chiamato baguyo.

La stagione più attiva registrata è stata nel 1958 con 36 tifoni. Le regioni più colpite sono in genere la parte settentrionale di Luzon (la grande isola del nord) e la parte est dell’arcipelago della Visayas (arcipelago della fascia centrale).  Peraltro, tifoni e cicloni tropicali con maggiori precipitazioni sono noti in Cina (Carla, 1967), Cuba (Flora, 1963), Reunion (senza nome, 1958; Denise, 1966; Hyacinthe, 1980), Bengala occidentale (senza nome, 1968), Giamaica (senza nome, 1908), Taiwan (Morakot, 2009).


Tre tifoni collegati in contemporanea (il più grande denominato Saomai) nel Pacifico ad est delle Filippine nel 2006. 

Il tifone Haiyan/Jolanda di questi giorni è stato senza dubbio devastante ma non sembra essere stato eccezionale o particolarmente diverso dagli altri descritti. La devastazione può essere fatta risalire a cause ben precise:

- passaggio del tifone sulla regione-arcipelago della Visayas provenendo da oriente, cioè dal Pacifico, e quindi attraversando proprio delle aree note per il verificarsi di effetti particolarmente forti;

- la particolare vulnerabilità delle città in riva al mare, in realtà agglomerati di baracche o case di compensato – il sottoscritto conosce personalmente le isole di Leyte e di Cebu e può testimoniare sul livello di precarietà edilizia e di sovraffollamento tipico dei luoghi;

- la mancata valutazione da parte delle autorità degli effetti di quello che è stato erroneamente chiamato tsunami, in realtà una combinazione di forte vento verso terra, correnti marine e marea;

- la difficoltà del governo di garantire l’evacuazione da certe zone, la distribuzione di cibo e di aiuti, l’ordine pubblico.

Il fenomeno quindi potrebbe essere considerato “normale” per questa regione, come i frequenti e distruttivi terremoti e tsunami. Oltre a quelli citati sopra, altri tifoni più antichi, di cui si sa poco ma sicuramente devastanti, si ricordano in zona: Angela nel 1867, quello dell’ottobre 1897, l’altro del 10 ottobre 1617. In pratica questi fenomeni sono stati registrati fin dai tempi di Magellano, del “galeone annuale” spagnolo, degli altri navigatori europei. La vera anomalia è stata rappresentata dalla crescita della popolazione urbana e dall’insufficiente gestione e dalla carenza nelle azioni di mitigazione.


 Il grande tifone di Hong Kong del 1937: così forte da spostare un transatlantico.

Quanto al cambiamento climatico, ammesso che in zona lo si avverta, è assai dubbio che possa avere un legame causale dimostrabile con questo tifone. Sarebbe opportuno dedicare risorse ad una diversa gestione della qualità della vita di queste popolazioni e ad appropriate azioni di mitigazione e gestione dell’emergenza.

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