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L’ANTI-EVOLUZIONISMO IN ITALIA

Alza la testa, scimmia...

di: Francesco Mauro
Il dibattito sulla teoria dell’evoluzione in un quadro sempre più aggrovigliato in cui interagiscono tutte le possibili fedi e ideologie, e anche quelle impossibili…


 

Lo scontro sulla teoria dell’evoluzione biologica è arrivato (ritornato) in Italia.
Per molti decenni era stato sopito. Negli anni intorno alla Seconda guerra mondiale, biologi italiani avevano diffuso la teoria dell’evoluzione, primo fra tutti Giuseppe Montalenti, ordinario di genetica a Napoli e poi a Roma. Erano scienziati di fede democratica, si erano tenuti lontani dal razzismo “scientifico” e avevano duramente condannato la “biologia produttiva” di Ivan Validimirovich Michurin e Trofim Denisovich Lysenko, di vago sapore lamarkiano, che era degenerata in persecuzione staliniana degli adepti della “cricca weismanista-morganista-mendeliana (ossia gli studiosi della genetica moderna basata sui cromosomi e le leggi di Mendel).

La Chiesa Romana era stata prudente: aveva solo reagito con fastidio alla circolazione dei libri di Aleksandr Ivanovic Oparin sull’origine chimica della vita. La Chiesa però tollerava di fatto, diversamente dai tempi di Galileo, la teoria dell’evoluzione, allora dibattuta essenzialmente in termini antropologici e paleontologici. In fin dei conti, era evoluzionista uno dei più noti e riconosciuti antropologi viventi, il gesuita Pierre Teilhard de Chardin, ed una posizione moderata in proposito era stata suggerita a Pio XII da Vittorio Marcozzi, un altro noto gesuita antropologo.

Gli esperti cattolici si “limitavano” a richiedere una “eccezione”, un intervento diretto per la specie umana, e si “accontentavano” di ipotizzare un impulso teleologico di origine divina per l’evoluzione degli esseri viventi. Nel far questo, la Chiesa Romana di fatto rinunciava alla lettura letterale obbligatoria della creazione come descritta in termini temporali dalla Bibbia.

La cosa era andata diversamente nei paesi protestanti, soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Inghilterra e Scandinavia, dove l’intangibilità della descrizione biblica era fortemente radicata. Per cui il creazionismo era molto diffuso: c’era stato nel 1925 il famoso “processo delle scimmie” in cui un professore liceale di scienze, John Thomas Scopes, era stato condannato per aver parlato in classe dell’evoluzione, violando una legge del Tennessee che ne proibiva l’insegnamento. Con la scoperta della struttura e del ruolo del DNA (Watson, Crick e Wilkins, 1953), l’atteggiamento soprattutto dei protestanti evangelici in quei paesi è diventato paradossale, contraddittorio e schizofrenico: anti-evoluzionisti e creazionisti in antropologia, zoologia e botanica, ma di fatto evoluzionisti (magari ignari o glissando) per le basi biologiche delle malattie infettive, immunologiche ed altre con meccanismi molecolari.

Negli ultimi decenni, il quadro si è complicato: la questione della liceità dell’aborto, l’aborto selettivo, il trapianto d’organi, le tecniche di riproduzione assistita, la fecondazione in vitro, la questione della liceità dell’eutanasia, l’uso delle biotecnologie e in particolare dell’ingegneria genetica, la ricerca embrionale, la sperimentazione sull’uomo, l’eugenetica, la questione della razza, e così via. Il tutto si è affastellato, aggrovigliato, confuso in una matassa di definizioni, schieramenti, spesso contraddittori: protestanti (progressisti o evangelici), cattolici (molto variegati), ebrei (riformati o ortodossi), fedeli di altre religioni compresa la “new age”; buonisti, ecologisti, coltivatori organici, terzomondisti, alternativi, adepti delle nuove religioni; marxisti, neo-positivisti, darwinisti sociali, spiritualisti, scientisti o anti-scientisti. Talvolta la posizione su una tematica ne influenza un’altra, spesso ci si schiera per contrapposte ideologie.

Il dibattito sull’evoluzionismo si è nuovamente inasprito man mano che si affermava un certo fondamentalismo protestante e con la penetrazione delle sette evangeliche nelle già “cattolicissime” vastità del Brasile e dell’America Latina. Oggi, le posizioni sono almeno tre: creazionismo, evoluzionismo e, in mezzo, i fautori del “disegno intelligente”, una sorta di creazionismo moderato e modernizzato. Il minimo che viene richiesto è una specie di “equal opportunity” per le tre “teorie”. Lo schierarsi su questo fronte come sull’aborto è diventato un elemento della propaganda elettorale. Il fatto che uno dei candidati repubblicani alla presidenza USA si schieri pro-Bibbia lo conferma, con in più la sorpresa che si tratti di un cattolico (Santorum).

Come accennato all’inizio, l’Italia sembrava una volta tanto più saggia, con il suo scetticismo e disinteresse diffuso che faceva da contraltare all’ideologismo, con diverse scelte personali. Ma recentemente, la situazione si è complicata e radicalizzata, mescolandosi alla questione del laicismo: sull’evoluzione, sono comparsi difensori illustri - e in verità non cercati - come il matematico Piergiorgio Odifreddi e l’astrofisica Margherita Hack, che hanno assorbito la difesa della teoria dell’evoluzione all’interno di un vasto quadro neo-positivista e dichiaratamente ateista. In effetti, la loro reazione fa parte di una più vasta reazione del mondo scientifico a un diffuso anti-scientismo, dovuto non solo al cattolicesimo, ma anche alle tradizioni prevalentemente umanistiche della cultura italiana (vedi l’antico dibattito sulle “due culture”).

Dall’altra parte, ci sono ben tre schieramenti distinti: quello cattolico ultras (compreso un “devoluzionista genetista pentito”, Giuseppe Sermonti), rafforzato recentemente dagli “atei devoti” nati fra gli anti-abortisti ed i fautori di una egemonia culturale della Chiesa; quello spiritualista neo-paganeggiante di una certa destra estrema; ed una posizione anti-scientista e anti-innovazione, di fatto anche anti-evoluzionista e anti-biotecnologica, cresciuta essenzialmente in una sinistra una volta pro-tecnologia e realista ed oggi afflitta da pulsioni ambientaliste, esoteriche, irrazionaliste. Questi schieramenti, tutti a loro modo radicalizzati, sono stati esplicitamente o implicitamente notati di recente da Angiolo Bandinelli su “Il Foglio” (1 marzo 2012).

Forse è arrivato il momento di smetterla con gli ideologismi, che fanno di tutta l'erba un fascio, cercando invece di entrare nel merito. L’evoluzione (non la “teoria” dell’evoluzione) è un fenomeno che va discusso, verificato, descritto e comprovato in ambito scientifico, per il suo significato conoscitivo e e per le sue implicazioni applicative. E’ un problema di scienza, conoscenza e coscienza. Non è una bandiera o uno slogan elettorale, non è un problema di teologia, e neanche di ideologia, può servire a capire la politica, ma non può avere un valore decisionale (salvo che come componente di una cultura) e di sicuro ad essa, alla politica politicante, non deve rispondere. Capire l’evoluzione dei viventi e dell’uomo ci può far capire molte cose, ma non ci dice niente in favore dell’esistenza di un essere supremo, né della sua assenza, come non ci dice niente sulla superiorità di una religione su un’altra o su nessuna religione, oppure di un governo su un altro, almeno nello specifico. Forse sarebbe ora di rivisitare i dati e ridiscutere dell’evoluzione, quella reale che ha portato all’emergere di questo Homo sapiens sapiens. Forse, solo dopo averla studiata, discussa e capita fuori dagli “ismi”, se ne potrebbe trarre qualche suggerimento utile alla nostra società.

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