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STORIE DELL’ACCADEMIA SOVIETICA

Bilancio in rosso

di: Francesco Mauro
Quando ho letto il titolo dell’articolo di Nuccio Ordine sul supplemento “La Lettura” del “Corriere della Sera” di domenica 2 marzo, , per prima cosa sono stato sommerso da un’ondata di ricordi, che più sotto cercherò brevemente di descrivere. Poi ho visto la seconda linea dello stesso titolo, , ho subito pensato: “se considerano l’accademia un luogo di libertà, cosa saranno mai gli altri enti di ricerca di quel paese?”.



Ricordi della guerra fredda
Per noi, giovani ricercatori del dopoguerra del boom, l’Accademia d’oltre cortina rientrava in un quadro interessante: nel 1957 l’Unione Sovietica aveva lanciato il primo satellite artificiale, lo Sputnik I del Prof. Sedov: il paese guida del socialismo reale era apparentemente in testa alla corsa della scienza e della tecnologia. In realtà, come i fatti avrebbero dimostrato, il ritardo americano era recuperabile e il modello occidentale di ricerca e sviluppo si sarebbe poi imposto. Ma intanto c’era la guerra fredda e lo scontro era duro e si combatteva su tutti i fronti.

Noi, studenti dei licei della capitale, che stavamo per entrare all’università, eravamo una delle tante piccole poste dello scontro delle propagande e delle egemonie culturali. Certo, eravamo dei privilegiati, fra di noi c’erano: rampolli dell’alta borghesia (azionista e laica) oppure – a Roma – dell’aristocrazia papalina e del “generone” romano; ragazzi della media e piccola  borghesia (figli di funzionari, professionisti, impiegati, commercianti, nel mio liceo anche una componente ebraica ed una presenza giuliano-dalmata), in genere antifascista ma con una presenza neofascista visibile in alcuni quartieri; c’erano anche, per la prima volta nel liceo classico, ragazzi provenienti da quella bizzarra “classe operaia” che a Roma era rappresentata da tramvieri, ferrovieri e altri lavoratori dei servizi, allora comunisti.

La scuola era buona, al classico ci insegnavano bene a scrivere in italiano, si studiava la storia, si riceveva una buona educazione. Ma, agli ultimi anni, eravamo stretti fra l’impostazione crociana (in realtà, gentiliana) della scuola, che disprezzava le scienze; la sottile e seducente apologetica dei gesuiti, che erano capaci addirittura di presentarsi come evoluzionisti (Teilhard de Chardin); e la propaganda che voleva essere scientista – diremmo oggi – dei pro-sovietici comunisti italiani. E qui compare per la prima volta la nostra Accademia. Perché le lodi dell’URSS in ambiente scolastico si basavano su tre punti: il sistema accademico, lo Sputnik e le meraviglie della biologia sovietica.

 

Lysenko e Vavilov
Quest’ultimo punto è interessante da ricordare. Venivano usati alcuni libri di scienziati sovietici tradotti, pubblicati e diffusi tra i simpatizzanti comunisti e tra gli studenti comunque interessati alle tematiche scientifiche: L’origine della vita di Aleksandr I. Oparin, Miciurin grande trasformatore della natura di A.N. Bacarev, Nuove vie alla biologia di Trofim Denisovic Lysenko e qualche altro.

Far girare questi libri fu un errore da parte degli agit-prop studenteschi, come era stato un errore chiamare fascisti i combattenti dell’insurrezione antirussa dell’Ungheria nel 1956: tutti sapevano che tra gli esuli c’era Ferenc Puskas, uno dei calciatori più forti di tutti i tempi, che aveva un grado di ufficiale, giocava nella Honved (la squadra di calcio dell’esercito popolare ungherese) e ben difficilmente avrebbe potuto essere un fascista. Un altro errore fu quello di coinvolgere alcuni microbiologi italiani nel movimento di accusa di un presunto impiego di microorganismi patogeni da parte degli Stati Uniti nella guerra di Corea (1950-1953).  Fu presto evidente da che parte stava la verità: la rivolta ungherese era di fatto anti-sovietica, i ragazzi che avevamo visto arrivare in fuga da Budapest ed essere ospitati nelle nostre palestre erano giovani patrioti o più semplicemente stanchi del regime e della presenza militare sovietica. Quanto alla Corea, cinesi e nord-coreani si guardarono bene dal presentare uno straccio di prova.

L’errore commesso con i libri fu più grave. Oparin (1884-1980) era un onesto biochimico russo, che aveva formulato una teoria sull’origine “spontanea” della vita sulla Terra basata sull’assunto che nel brodo primordiale le piccole molecole carboniose potessero subire una graduale evoluzione chimica a formare molecole più complesse. Era un teoria, possibile certo, dal vago sapore antireligioso, che Oparin non era in grado di dimostrare per mancanza di strumentazione e difficoltà sperimentali.

Gli altri due libri furono letteralmente controproducenti. Ivan Vladimirovic Miciurin (1855-1935) aveva sostenuto l’influenza ambientale sui caratteri ereditari delle piante. Genetista vegetale e botanico, Miciurin aveva dato un buon contributo all’ibridizzazione di piante, ma aveva commesso l’errore di assumere che il genotipo potesse essere cambiato per influenza ambientale esterna. Le idee di Miciurin erano chiaramente lamarckiste in quanto postulavano l’ereditabilità dei caratteri acquisiti contrapponendosi alle leggi dell’eredità genetica disegnate da Darwin, basate sulla selezione naturale dei caratteri comparsi per mutazione. Per ragioni ideologiche e in verità un po’ misteriose, i teorici del marxismo, la burocrazia sovietica e Lenin in persona ritenevano il neolamarckismo più consono al materialismo storico (trascurando il fatto che Engels era stato darwinista).

La disputa divenne più accesa con la scesa in campo di Lysenko (1898-1976), un giovane agronomo appoggiato dal regime, che aveva promesso a Stalin la produzione per “vernalizzazione” di grano adatto alle difficili condizioni climatiche del paese. Lysenko, con autoritarismo ideologico, attaccò gli scienziati che difendevano la genetica classica, definita una “pseudoscienza borghese” ed in particolare il più noto fra questi, Nikolai Ivanovic Vavilov (1887-1843), scopritore dei “centri del Vavilov” di origine geografica delle specie vegetali domesticate.

Con ferocia staliniana, a seguito delle manovre di Lysenko, Vavilov era stato espulso dalla Accademia pansovietica Lenin di Scienze Agrarie, che pure aveva fondato e di cui era stato direttore (1929-1935), e che aveva reso indipendente e più libera della grande Accademia Sovietica delle Scienze, ma che l’intitolazione a Lenin non era bastata a proteggere. Vavilov venne anche espulso entro il 1940 dalla Società pansovietica di Geografia, dall’Istituto di Genetica del’Accademia della Scienze e dell’Istituto pansovietico di Coltivazione delle piante – tutte entità in cui aveva avuto funzioni apicali. In tal modo, Vavilov veniva non solo privato dei titoli, ma allontanato dai suoi laboratori e dalla sua preziosissima banca semi ed erbaio che conteneva la collezione delle piante coltivate e dei loro antenati selvaggi raccolti intorno al mondo. Nel 1939, eletto dalla comunità scientifica presidente del VII Congresso Internazionale di Genetica, gli fu impedito dalle autorità sovietiche di parteciparvi.

Attaccato dalla Ekonomicheskaya zhizn (Vita economica), progressivamente emarginato, fu arrestato nel 1940, accusato di “spionaggio a favore della Gran Bretagna e di boicottaggio dell’agricoltura sovietica” – l’accusa era possibile dato che con il patto Molotov-Ribbentrop nel 1939-1941 l’URSS si era alleata con la Germania nazista e quindi la Gran Bretagna poteva essere considerata nemica. Venne processato nel 1941 e quindi condannato a morte; ma l’esecuzione fu rimandata, forse per evitare contraccolpi negli ambienti scientifici. Recluso nel carcere di Saratov, la pena gli venne commutata in 20 anni di reclusione, e morì in prigione nel 1943. Dopo la morte di Stalin, Vavilov venne riabilitato dalla corte suprema sovietica nel 1955: l’URSS pagò l’eliminazione di Vavilov e di molti genetisti ed agronomi “darwinian-mendeliani” – l’unico esempio di controversia scientifica moderna risolta anche con i plotoni di esecuzione - con il peggioramento delle carestie che imperversavano nelle repubbliche, soprattutto in Ucraina. Lysenko rimase al suo posto.

N.I. Vavilov.

Tutto questo venne fuori verso la fine degli anni ’50. La posizione di Lysenko e dei teorici marxisti-leninisti era insostenibile. Negli anni 30’ Thomas Hunt Morgan (1866-1945) aveva spiegato il ruolo dei cromosomi nella genetica e nel 1955 era stato pubblicato il lavoro di Watson e Crick sul DNA. Nel 1960 la cattedra di genetica della Università La Sapienza di Roma sarebbe stata data a Giuseppe Montalenti (1904-1990), forse il più grande genetista italiano, con credenziali impeccabili di progressista, uno dei capiscuola del neodarwinismo a livello internazionale, i cui allievi erano in ottimi rapporti di collaborazione con i grandi laboratori di ricerca americani utilizzando sia i metodi della genetica classica che quelli della nascente biologia molecolare. Così si girava la boa: venivano superati sia gli accademici legati a conoscenze datate (uno di loro aveva attaccato la mia tesi di laurea perché parlavo del DNA che lui riteneva un “artefatto degli americani”) e magari compromessi con le leggi razziali fasciste, e venivano smascherati gli pseudo-scienziati stalinisti. I giovani professori e ricercatori, anche se di sinistra, erano darwinian-mendeliani anche loro, e quindi si adeguarono, le salmerie di partito lentamente seguirono.

 

L’Accademia Sovietica delle Scienze.
L’Accademia era stata appena sfiorata da questo episodi, come si conviene ad una istituzione prestigiosa e dalla vita lunga. Infatti, era stata fondata nel 1724 a San Pietroburgo da Pietro il Grande sotto il nome di Accademia delle Scienze di San Pietroburgo (Петербургская Академия наук). Nel disegnare l’accademia, lo czar aveva avuto consiglieri illustri come Gottfried von Leibnitz (1646-1716), matematico e filosofo. L’istituzione aveva cambiato nome più volte: Accademia Imperiale di Scienze ed Arti (1747), Accademia Imperiale delle Scienze (1803), Accademia delle Scienze Imperiale di San Pietroburgo (1836). Questo sforzo centralizzato in un vasto impero aveva avuto successo, i migliori esperti stranieri collaboravano, ed erano state organizzate e condotte esplorazioni geografiche, naturalistiche ed etnografiche nello sconfinato territorio russo, siberiano, dell’Asia centrale, del Nord America. Furono considerate fondamentali la II spedizione di Vitus Bering (1681-1741) nel Kamchakta (1733-1743), la spedizione multipla per il transito di Venere (1769) e le spedizioni di Peter Simon Pallas (1741-1811) in Siberia (1768-1794). 

Un vulcano della penisola del Kamchakta.

Come tutte le organizzazioni czariste, l’Accademia dovette affrontare la transizione ad un nuovo regime a seguito della presa del potere da parte bolscevica. Nel 1917, Sergey Fedorovich Oldenburg, uno dei leader del Partito dei Cadetti (un partito liberalsocialista con base nella borghesia dei professionisti), prese l’iniziativa di trattare direttamente con Lenin il futuro dell’Accademia e raggiunse un accordo in base al quale l’istituzione si sarebbe impegnata nei problemi della costruzione di un nuovo stato, ed il regime sovietico avrebbe garantito supporto politico e finanziario alla accademia stessa.

Vladimir Lenin.

Agli inizi del 1918 venne stabilito che l’Accademia avrebbe fatto riferimento al Dipartimento per la Mobilitazione delle Risorse Scientifiche che dipendeva dal Commissariato del Popolo per l’Educazione (che aveva sostituito il Ministero dell’Educazione del Governo Provvisorio). Nel 1925, il Governo sovietico riconobbe l’Accademia Russa delle Scienze, così chiamata dopo la caduta dello czar, come la “più alta istituzione scientifica dell’Unione”e le dette il nuovo nome di “Accademia delle Scienze dell’URSS” (Академия наук CCCP, in cui “nauk” in russo significa sia scienza che conoscenza).

Comunque, il Politburo non si fidava dell’Accademia, che appariva “troppo “indipendente, e decise di controllare più strettamente la situazione: nell’estate del 1929, una commissione governativa speciale, guidata da Yuri Petrovich Figatner, fu incaricata di ispezionare l’intera istituzione e di eliminarne i “contro-rivoluzionari”, rendendo l’organizzazione consona ai criteri stalinisti. Della commissione faceva parte anche Oldenburg che però dopo poco venne buttato fuori per aver cercato di “creare ostacoli alla ricostruzione dell’Accademia”. Alla fine del 1929, vennero licenziati in tronco 128 dipendenti su 960, e vennero cancellati 520 soci accademici su 830. Nel 1930, 100 persone (soprattutto ricercatori e umanisti, compresi molti storici) vennero incriminati nel corso del “Processo degli accademici”: vennero re-introdotti nel processo anche accademici già imprigionati o esiliati. Nel 1930, il Comitato congiunto per l’amministrazione politica dello stato condannò 29 persone e, l’anno dopo, avviò un’ulteriore ondata di repressione in diversi enti: l’Accademia delle scienze, il Museo Russo, l’Archivio Centrale dello Stato, ecc. Vennero condannati a pene detentive 10 dipendenti di questi enti, vennero fucilati due che lavoravano  nell’Accademia (A.A. Kovanko e Y.A. Verzhbitsky), condannate a varie pene altre 12 persone, vennero attivate commissioni specifiche per la riorganizzazione, dopo “valutazione socialista”,  delle strutture come il Museo di Antropologia ed Etnografia. Nel 1934, il quartier generale dell’Accademia e diversi istituti accademici vennero spostati da Leningrado (ex San Pietroburgo) a Mosca.

Palazzo moscovita dell’Accademia delle Scienze dell’URSS. 

Nell’immediato dopoguerra, l’Accademia era articolata in 8 divisioni:

Scienze fisico-matematiche,
Scienze chimiche,
Scienze geologico-geografiche,
Scienze biologiche,
Tecnologia,
Storia e filosofia
Economia e legge
Letteratura e lingue.

Vi erano inoltre tre comitati:

Coordinamento del lavoro scientifico delle accademie delle repubbliche,
Propaganda tecnico-scientifica,
Lavoro editoriale e pubblicazioni,

e due commissioni:

Letteratura scientifica popolare,
Musei e archivi;

un laboratorio per la fotografia e cinematografia. A livello delle repubbliche, vi erano 7 dipartimento esterni:

Azerbaijan,
Kazakhstan,
Kirghizistan
Tajikistan,
Turkmenistan,
Urali,
Siberia occidentale.

e 8 accademie indipendenti:

Ucraina,
Bielorussia,
Armenia,
Georgia,
Lituania,
Uzbekistan,
Lettonia,
Estonia.

Tutte accademie vennero organizzate con l’aiuto dell’accademia centrale. La repubblica russa però non ha avuto una accademia propria; e quella ucraina in effetti era nata prima dell’occupazione bolscevica del suo territorio.

Ma, tornando alla fine degli anni ’50, la dolorosa storia dell’Accademia delle Scienze dell’URSS non era affatto nota, a differenza dell’episodio riguardante Lysenko e Vavilov, forse a causa della diversa rilevanza da un punto di vista umano.

 

Dall’America con fantasia
Un breve cenno merita l’influenza americana, che non si basava soltanto sulla valorizzazione delle iniziative governative: dal Piano Marshall per la ricostruzione europea (1947) alle prime organizzazioni europee (1950-1961), mentre la morte di Stalin (1953) ed il XX Congresso del PCUS introducevano grandi cambiamenti anche nella controparte.

Ma gli effetti culturali, per noi matricole universitarie nei corsi di laurea scientifici, erano da ricercarsi anche altrove. Se i russi erano in testa per i satelliti, gli americani supplivano con la fantasia, anzi con la fantascienza, un genere letterario da loro inventato o reinventato. E’difficile valutare quale sia stato l’effetto sulla gioventù dei paesi industrializzati dei vari filoni della fantascienza: la fantascienza scientifica (e.g. Isaac Asimov, 1920-1992, scrittore e scienziato, divulgatore e insegnante, la sua prima serie, quella dei robot, pubblicata a partire dal 1954), la fantascienza militare e sociale di Robert A. Heinlein (1907-1988, i primi due romanzi significativi Fanteria dello Spazio, 1959, e Straniero in terra straniera, 1961), la fantascienza spaziale dell’inglese Arthur C. Clarke (1917-2005, chairman della British Interplanetary Society nel 1946-1947 e 1951-1953, pacifista, primo lavoro significativo La sentinella, 1948). Questa era la triade principale, il cuore standard della fantascienza. Per molti di noi, l’iniziazione alla fantascienza era avvenuta qualche anno prima, con Jules Verne (1828-1905), ingiustamente considerato un autore per ragazzi, autore, oltre che di storie di sommergibili e palloni, di Hector Servadec, un vero e proprio romanzo interplanetario. Nel 1952 poi, era uscito in Italia il mitico n. 1 de I Romanzi di Urania (Mondadori), Le sabbie di Marte di Clarke, che tutti avevamo letto religiosamente, magari di nascosto. Con una scuola che considerava le materie scientifiche problematiche di secondo ordine, la fantascienza giocò certamente un ruolo nel reclutamento per le facoltà scientifiche.

Dalla fantascienza passammo a libri di autori importanti, che di fantascienza avevano solo un certo sapore; scrittori che su alcuni di noi avrebbero avuto un grande effetto: Ray Bradbury, un poeta e scrittore politico (1920-2012, Cronache marziane, 1950, e Fahrenheit 451, 1951); Kurt Vonnegut jr., fantasia e satira politico-sociale (1922-2007, Mother night, 1961; il più famoso Slaughterhouse n. 5 è del 1969); Philip K. Dick, il maestro dei racconti ucronici (1920-1982, La svastica sul sole, titolo originale The man in the high castle, 1962). C’erano poi due autori estremamente importanti, che nella nostra ingenuità giovanile e nel desiderio di tenerci lontani da chiese, populismi e militanze, associavamo alla fantascienza: l’Aldous Huxkey (1894-1963) del Mondo nuovo (in inglese Brave new world) , il realtà un intellettuale moderno ed un innovatore in molti settori culturali; e George Orwell (1903-1950) autore de La fattoria degli animali (1945) e di 1984 (1948), romanziere e giornalista, ma anche opinionista politico e culturale dichiarato. Entrambi britannici, rappresentavano un progressismo antitotalitario che rispondeva a molte esigenze. Orwell in particolare, con il suo libro Omaggio alla Catalogna (1938), ci aveva introdotto, molto di più dell’agiografia ortodossa, alla guerra civile di Spagna ed anche alla criminale volontà egemonica dello stalinismo; per questo, Orwell era stato attaccato dalla sinistra comunista e dal socialismo frontista e dipinto come un fascista.

La posizione ”anti” che alcuni di noi seguivano allora non era certamente apolitica, ma era variegata radunando i “non”: non-comunisti (e non-frontisti), non-democristiani, non-fascisti. Fra di noi c’era di tutto: anarchici, socialdemocratici, azionisti non inquadrati, liberaldemocratici. Alcuni di noi praticavano l’entrismo: i trotskisti nel PCI, i cattolici non-democristiani nell’Intesa. I neofascisti a Roma erano forti. Altri di noi vennero eletti al parlamentino universitario (UNURI), membri sciolti di una sorta di partitino scientista americano. C’eravamo a Porta San Paolo nel 1960 ma non contavamo niente di fronte alla FIGC.

 

Current Contents e la letteratura scientifica
Mentre ci dilettavamo di fantascienze e politica, avvenne un fatto importante che avrebbe avuto effetto sulle nostre carriere e sulla questione dell’Accademia delle Scienze. Nel 1960, Eugene Garfield (nato nel 1925), il padre della bibliometrica e della scientometrica, aveva fondato (1961) l’Institute for Scientific Information (ISI). Vennero sviluppati e offerti sul mercato diversi prodotti innovativi, a cominciare da Current Contents (dal 1961), una raccolta - inizialmente giocoforza cartacea - degli indici dei numeri di riviste scientifiche selezionate accompagnati dalla lista degli autori in modo che fosse possibile scrivere loro per richiedere un estratto di un determinato articolo. La condizione per essere riportati in Currrent Contents era di essere un “journal” (rivista scientifica) contenente articoli scientifici revisionati e approvati da due o più “pari”, ossia revisori dello stesso campo di ricerca degli autori, operanti sotto copertura di anonimato ma guidati da un curatore editoriale noto, con poteri di accettazione per pubblicazione, revisione critica, respingimento, riposizionamento, oppure moratoria di un certo lavoro. Già questo criterio, ancora oggi non del tutto compreso o applicato in alcuni paesi tra cui l’Italia, ha contribuito moltissimo al miglioramento delle pubblicazioni scientifiche e alla utilizzazione delle stesse. Il servizio offerto da ISI fu perfezionato dall’introduzione del Science Citation Index, basato sul numero di volte che un lavoro viene citato da altri lavori. Ad oggi, le pubblicazioni monitorate sono 14.000 riviste classificate secondo un Impact Factor. L’intero sistema, ovviamente computerizzato e online, è stato acquistato nel 1992 dalla Thomson Corporation).

Current Contents ha svolto una ruolo particolare nel rendere accessibile a tutti i ricercatori le pubblicazioni sovietiche o le loro traduzioni in inglese a cura di governi occidentali. Nel nostro caso, diventammo frequentatori di una rivista scientifica generale, Priroda (Natura), sul tipo dell’americana Science o della britannica Nature ma più mirata alle scienze naturali secondo un’impostazione classica; di una rivista altamente specializzata, Radiobiologiya, pubblicata proprio dalla suddetta Accademia delle Scienze, interessante perché riportava i progressi sovietici in settore che aveva addentellati in campo nucleare militare, industriale e spaziale, con un processo di “declassificazione” che in occidente era avvenuto subito alla fine della guerra; e infine, a completamento di un interesse crescente, i famosi Doklady Akademii Nauk SSSR (Rendiconti dell’Accademia delle Scienze dell’URSS) che spaziavano sui vari campi in cui l’istituzione si divideva. Naturalmente, queste riviste erano da tempo note, ma reperibili con difficoltà e soprattutto con lunghi ritardi e talvolta vuoti nella collezione. Diveniva ora del tutto possibile rimanere aggiornati su certi filoni sperimentali in cui pareva che i sovietici fosse particolarmente avanzati: ad esempio, nel caso mio, l’impiego del lievito come organismo sperimentale per studiare gli effetti cellulari delle radiazioni ionizzanti.

 

Il progresso scientifico sovietico
Fu proprio la lettura metodica di queste pubblicazioni che fece emergere, per noi pochi lettori specialistici, una serie di insufficienze che mano mano si rincorrevano dai lavori pubblicati all’impostazione del lavoro sperimentale, alle tecnologie disponibili, all’organizzazione istituzionale. I ricercatori sovietici apparivano, con le dovute eccezioni, personali ma anche di specializzazione (per esempio, i biofisici), ben preparati sul piano culturale di base, ma “rallentati” da diverse carenze: prima fra tutte la mancanza di materiale sperimentale “moderno”, come le cellule di mammifero coltivate in vitro (Puck, Marcus e Ceciura, 1955), o di metodi per valutare lo stato proliferativo di una popolazione cellulare (Howard e Pelc, 1951).

Questa carenza non era secondaria, ma riguardava l’intero “livello” o approccio della biologia cellulare ed a cascata della nuova biologia molecolare, riducendo le indagini sperimentali ai meccanismi biochimici classici ed agli studi in vivo: questi ultimi, indubbiamente interessanti anche per la presenza sovietica nello spazio, erano inesorabilmente datati, carenti sul piano quantitativo per la natura stessa degli “end-point”, tipici per la difficile ripetibilità degli esperimenti. Insomma, il contatto tramite le pubblicazioni, se soddisfece la curiosità, si dimostrò abbastanza inutile per la collaborazione scientifica, aggravata sul piano pratico dal ruolo dell’inglese come lingua della comunità scientifica e su quello strumentale dai problemi di tipo politico, economico e militare.

Risultò poi evidente, con il passare degli anni, il danno o, se non altro, il freno dovuto all’organizzazione dell’Accademia, un’organizzazione rigida, strettamente e doppiamente gerarchica (per la presenza di un apice direttivo e di una funzione commissariale per la sicurezza ed il controllo politico), inefficiente a causa della struttura a pettine, poco mobile, non meritocratica e impostata inoltre su una suddivisione disciplinare datata e cristallizzata. Era insomma una specie di “super CNR” in peggio, in cui neanche la cooptazione esisteva perché appartenente al potere politico. Erano dei difetti che noi italiani conoscevamo ma con dimensioni nettamente minori, perché i “baroni” italiani erano comunque di livello scientifico adeguato e perché facevamo parte del circuito scientifico occidentale. Molti di noi andavano infatti per un certo tempo negli Stati Uniti o in Gran Bretagna a specializzarsi - nessuno tra i biologi si sognava di andare allo scopo in Unione Sovietica – e qualcuno all’estero ci rimaneva; mentre i nostri colleghi sovietici rimanevano chiusi nella cortina.

La disponibilità dello strumento dei Doklady, sia detto a merito dell’Accademia, permise in ogni caso il mantenimento del contatto scientifico, ma nel campo biologico, dove la ricerca aveva subito un’accelerazione simile a quella della fisica nel periodo tra le due guerre mondiali, la ricerca sovietica rimase sempre agganciata con difficoltà, non riuscendo ad affrontare adeguatamente la sfida delle basi biologiche e molecolari della medicina. Una qualsiasi analisi delle pubblicazioni, dei brevetti, dei premi Nobel, sta lì a dimostrarlo.

Per questo, la lamentazione dei professori russi, di cui all’inizio di questo  articolo, ci ha sorpreso. L’Accademia sovietica fu trasformata in Accademia russa nel 1991 a seguito del disfacimento dello stato sovietico. Anche se dichiarata un’organizzazione civile, dotata di autogoverno (?) e non-commerciale, era arrivata ad essere pur sempre un mastodonte di oltre 500 istituti (un ”super-pettine”) e 55.000 ricercatori dipendenti guidati dalla casta degli accademici.

 

La conoscenza dei dissidenti
Che la situazione in Unione Sovietica da questo punto di vista non cambiasse me ne sono accorto nel periodo tra Chernobyl (1986) e il disfacimento ufficiale dell’URSS (1991) e oltre (1994), quando per ragioni di lavoro andai spesso in Ucraina, Belarus, Russia, Estonia e persino nel Nagorno-Karabakh. Il lavoro per Chernobyl fu interessante: ottenere delle dosimetrie dell’ambiente e degli esposti, portare in loco nuovi metodi di biodosimetria, collaborare alla gestione dell’emergenza.

La situazione era strana: avevamo almeno tre “cappelli” in testa: una missione scientifico-umanitaria richiestaci dalla Santa Sede e dal Patriarcato ortodosso di Mosca che avevano attivato come operatori sul campo l’Ordine di Malta e il Circolo di San Pietro; una missione di assistenza dell’ENEA e della DISP nell’ambito di accordi bilaterali e multilaterali; la richiesta di alcuni intellettuali e personalità che sostenevano il gruppo di dissidenti che operava intorno ai Sacharov.

Andrej Dmitrovich Sacharov (1921-1989),  astrofisico e fisico nucleare, uno dei padri del programma termonucleare sovietico (1948-1953), come membro dell’Accademia delle Scienze contestò (dal 1957) la continuazione del programma nucleare per uso bellico ma si vide costretto nel 1970 a fondare il Comitato per i diritti civili contro la repressione portata avanti dal regime; premio Nobel per la pace (1975), contrario all’intervento in Afghanistan (dal 1978) venne arrestato e confinato  a Niznji Novgorod (1980); dopo Chernobyl, tramite la moglie Elena Bonner (1923-2011, una dissidente anche in proprio), aveva chiesto a diversi presidenti di enti nucleari, tra cui Umberto Colombo, di inviare i loro esperti per partecipare a seminari di aggiornamento ed anche per testimoniare solidarietà agli scienziati dissidenti. Era un momento delicato, poco prima che Gorbaciov riabilitasse Sacharov (1986) e per noi, che portavamo scritti e messaggi da e per l’occidente, c’era ancora qualche pericolo da parte del regime. 

I segni dei combattimenti a Mosca nel 1993.

Per i visitatori di quel periodo, fu un’esperienza politico-esistenziale importante anche per la varietà degli interlocutori come dei gruppi di origine. Alcuni di noi erano a Mosca nel 1993 quando ci fu la crisi costituzionale: venimmo evacuati, poche ore prima dell’inizio del pesante cannoneggiamento della Casa Bianca Russa da parte dei militari alleati di Yeltsin, grazie all’iniziativa del Patriarcato, che ci mise sull’ultimo treno disponibile; peccato che la destinazione fosse Minsk in Belarus, dove comandavano gli oltranzisti, ma non ci successe nulla. Nel 1999 sarebbe cominciata l’era Putin.

 

Conclusione
Nel 2013 Putin ha “improvvisamente” sciolto l’Accademia, che non gli aveva dato disturbo ma forse richiedeva troppo impegno per un controllo adeguato, per sostituirla con una Agenzia per le Istituzioni Scientifiche. Probabilmente rappresenterà un’ulteriore involuzione della scienza russa ma, a mio parere, sarà difficile rimpiangere l’Accademia delle Scienze.

 

Ringraziamenti
Vorrei ricordare alla memoria due persone, già citate nel testo, che in certi momenti ho avuto la sorte di avere come insegnanti oltre che come direttore o presidente: Giuseppe Montalenti e Umberto Colombo. Ad essi vorrei aggiungere il mio tutore, presso il National Institutes of Health degli USA, Mortimer M. Elkind.

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