Tags: Mobilità e Trasporti

TRASPORTO FERROVIARIO

Condizioni Avverse

di: Federica Martellini *
Le «avverse condizioni meteo» sono diventate nel tempo una locuzione standard del linguaggio ferroviario: «ci scusiamo per il disagio, per il ritardo, per la cancellazione... dovuti ad avverse condizioni meteo». In queste ultime settimane di neve, gelo e piogge di marzo risuonavano come un mantra nelle stazioni di mezza Italia. E la stazione di Roma Termini, come sappiamo, è stata il tempio principale di questo culto. Eppure chi viaggia quotidianamente sa che le condizioni avverse non sono tanto quelle create da episodiche e stagionali bufere o dal caldo torrido. Avverse, in generale, sono di norma le condizioni di viaggio per chi sceglie il treno.


Prendere il biglietto del treno, per non dire dell'abbonamento, è sempre più spesso come prendere il biglietto della lotteria. La sorpresa è all'ordine del giorno. I ritardi innanzitutto, con i costi sociali che questi comportano. Ore di lavoro perse, appuntamenti mancati, lezioni o esami saltati, maggiore tempo speso sui mezzi di trasporto pubblici o, peggio, in automobile, che in alcuni casi diventa l'unica alternativa possibile, e quindi: emissioni di CO2, pedaggi, carburante, parcheggi, congestione delle città...

Nel mese di febbraio i pendolari della Roma-Firenze si sono presi la briga di prendere in esame i tre maggiori ritardi registrati da un solo treno, l'IC 581, nell'arco di soli nove giorni (180 minuti il 14 febbraio, 55 minuti il 20 febbraio e 130 minuti il 22 febbraio). Sulla base dell'utenza media abituale del treno, che è di circa 700 viaggiatori, hanno stimato che siano andate perdute 2.600 ore di lavoro nei settori più vari: scuola, banche, università, istituzioni, enti, associazioni, pubbliche amministrazioni etc. Il costo medio di un'ora di lavoro in Italia era nel 2017 di 27 euro. Sono quindi andati bruciati 70.200 euro, in termini di soli costi del lavoro, per un solo treno, in poco più di una settimana.

Poi è arrivata la neve. E si è vista in diretta su tutti i telegiornali la disfatta dell'intero sistema. Non è questa la sede per entrare nel merito dei problemi tecnici e delle carenze di gestione che hanno determinato una settimana di caos sui binari. Sono questioni che meriterebbero, ed é da augurarsi che avranno, un giusto approfondimento, come richiesto anche dal Ministero Infrastrutture e Trasporti al gruppo delle Ferrovie dello Stato. Basta dire qui che i vari “piani neve” attivati, spesso con scarsa tempestività, dalle Divisioni del trasporto regionale e dalla Divisione passeggeri a lunga percorrenza di Trenitalia sono parsi agli utenti più una resa al maltempo che dei veri piani di gestione.

Il punto su cui vale la pena piuttosto soffermarsi è la sequela di disservizi che si sono manifestati sul fronte della comunicazione e dell’assistenza ai clienti. Per quattro giorni reperire informazioni attendibili sulla circolazione dei treni è stato un lavoro estenuante anche per i viaggiatori più rodati: ogni sera ad attendere, come un bollettino di guerra, la pubblicazione, fra le 19.00 e le 20.00, del programma delle cancellazioni, per capire se sarebbe stato possibile andare a lavoro il giorno seguente. Passaparola forsennati e deliranti fra pendolari stanchi ed esasperati. Slalom fra pagine web non raggiungibili e informazioni, talvolta discordanti e contraddittorie, riportate sui canali istituzionali di Trenitalia e RFI. Personale delle biglietterie all’oscuro di ogni informazione utile, lasciato a fronteggiare viaggiatori disorientati senza essere stato in nessun modo messo nelle condizioni di essere d’aiuto. Questo il quadro desolante dell’assistenza ai clienti.

A Perugia, addirittura, la notte fra il 1° e il 2 marzo i passeggeri dell'ultimo treno, arrivato in stazione con ore di ritardo, nel cuore della notte, si sono ritrovati prigionieri in stazione, dietro i cancelli chiusi. Anche in questo caso un problema di comunicazione: la vigilanza è esterna e nessuno, nella confusione generale, aveva pensato di avvisare la società che se ne occupa che c'erano ancora treni in arrivo.

Ma qui usciamo già dalla presunta "emergenza" e torniamo alla quotidianità, perché se c'è una cosa a cui forse è servita la straordinarietà della neve di febbraio è stato forse a palesare e far emergere nodi e problemi che sono da tempo all'ordine del giorno.  Ad esempio che vi sono ormai decine di stazioni non più presidiate dalla figura del capostazione, né da altro personale ferroviario. È un dirigente operativo centrale a controllare, da remoto, chilometri di linea e le stazioni di notte in molti casi, come a Perugia, vengono chiuse e riaperte al mattino da personale esterno. Che in tante stazioni di provincia non ci sono più nemmeno sportelli di biglietteria (in tutta l'Umbria, ad esempio, il piano industriale  del gruppo FS prevede che ne debbano restare attivi solo cinque) e che, pure laddove il personale di biglietteria è presente, non è messo nelle condizioni di fornire informazioni agli utenti e questo genera naturalmente gravi lacune e incomprensioni. Che vi sono tratti di linea in Italia, ed è il caso della Roma-Firenze e in particolar modo del tratto tra Orte e Settebagni, sovraccarichi di treni e di tracce, che al minimo contrattempo entrano in conflitto. La Roma-Firenze è stata il primo tratto dell'alta velocità in Italia, e per molto tempo l'unico. Proprio per questo non è una linea dedicata ai treni AV, ma al contrario è utilizzata da tutti i convogli, anche regionali e intercity, e in questo senso è una infrastruttura strategica per il collegamento di vasti territori di provincia con le aree urbane di Roma e Firenze. A quando un utilizzo più razionale ed efficiente?

C'è un grande debito del sistema ferroviario italiano nei confronti dei viaggiatori, e dei pendolari in particolare. E non è un debito che può essere risarcito con un rimborso o uno sconto sul prossimo abbonamento. È un debito più profondo, di fiducia e di credibilità, che scoraggia la mobilità pendolare e mortifica così la vitalità demografica e sociale, la vitalità tout court, di interi territori. Gli investimenti recenti e annunciati del gruppo FS nel trasporto su gomma, d'altro canto, non appaiono certo come una adeguata né auspicabile alternativa.

Fino alla fine degli anni Novanta l'orario ufficiale delle Ferrovie dello Stato veniva stampato. Era un blocco di oltre 1000 pagine di carta sottilissima, che usciva in due edizioni all'anno ed era venduto nelle edicole. Sfogliare oggi uno di questi blocchi è trovarsi di fronte a un bel documento: allora i treni portavano, oltre al numero, nomi come Miramare, Vesuvio, Il Perugino, Petrarca, Gottardo, Tintoretto, Remus. E servivano le città. Non ci passavano, le servivano. Lo si capisce dalla frequenza con cui si fermavano nelle province, dagli orari calibrati a misura di diversi tipi di passeggeri, calibrati per molti passeggeri. Gli intercity facevano davvero il lavoro implicito nel nome che portano: collegavano le piccole città le une con le altre, univano storie e mondi, erano un incentivo alla mobilità delle persone, una possibilità per studiare, lavorare, viaggiare per un paese pieno di posti bellissimi, come i nomi dei treni che vi portavano.

Erano tempi, in molti lo ricordiamo per esperienza diretta, in cui Trenitalia veniva nei comuni a discutere con gli utenti il cambio dell'orario, le tracce, le alternative, i problemi.  A ragionare insieme sulle soluzioni. Non si tratta di nostalgia.

L'alta velocità ha portato benefici che tutti apprezziamo. Ma non deve servire da alibi per azzerare le buone pratiche. Anzi, dovrebbe consentire un loro miglioramento per  cominciare a sanare quel debito.

*Federica Martellini è laureata in Lettere all'Università degli Studi Roma Tre. È stata consulente storica presso la Procura della Repubblica di Roma nell'ambito di un procedimento penale relativo a cittadini italiani desaparecidos in America Latina negli anni Settanta (l'inchiesta italiana sul Sistema condor). È autrice del saggio "Las memoriosas", in Violenze di genere. Storie e memorie nell'America Latina di fine Novecento, a cura di Maria Rosaria Stabili (Edizioni Nuova Cultura, 2009). Dal 2005 lavora per l'Università Roma Tre, presso l'Ufficio orientamento, occupandosi delle attività editoriali. Dal 2008 al 2017 ha seguito e curato le attività editoriali e redazionali del periodico istituzionale dell'Ateneo.

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