Tags: Società

Esercito del Lavoro di Cittadinanza

di: Beniamino Bonardi
Pubblichiamo la proposta di Corpo civile volontario che Beniamino Bonardi ha elaborato per il movimento politico de La Marianna e che ci è parsa originale perché, rispetto alle proposte di reddito garantito, la logica è ribaltata: l’obiettivo prioritario è la tutela e la manutenzione dell’ambiente, del patrimonio artistico e la manutenzione ordinaria delle scuole, nell’interesse della collettività. L’Esercito del lavoro opererebbe al servizio di enti pubblici, dipenderebbe dalla Presidenza del Consiglio e farebbe parte del Dipartimento della Protezione Civile. Aperto a tutti coloro che hanno compiuto 18 anni e non stanno lavorando. Durata del servizio: 12 mesi. Paga di 577 euro al mese, più vitto e alloggio. Riconoscimento del servizio svolto al fine dei concorsi pubblici e convenzioni con Università per crediti formativi. Finanziato con un Fondo di 3,5 miliardi di euro l’anno, derivanti da un aumento del 2,5 – 2,6 per cento della tassazione sul comparto dei giochi e delle scommesse.


Sin da quando fu approvata la legge sull'obiezione di coscienza nel 1972, lo Stato non ha mai avuto nulla da chiedere a chi fa il servizio civile, né quando era obbligatorio, né quando è diventato volontario, dal 2004, al pari della ferma militare. Lo Stato non sa che farsene di queste disponibilità e il servizio civile è diventato sempre più un’opportunità per associazioni ed enti di vario tipo di potersi avvalere di personale pagato dallo Stato, per realizzare i propri progetti. Questa situazione è stata sancita anche dal punto di vista formale con l’ultima riforma del Servizio Civile (legge 106/2016), che è stata fatta attraverso un articolo inserito nella legge di riforma delle associazione del Terzo settore.

Parallelamente, per chi lo fa, il Servizio civile è diventato una forma di accesso al lavoro, attraverso un assegno sociale.

Ogni tanto emerge la proposta di rendere il Servizio civile obbligatorio con la motivazione di creare un sentimento di comunità e di Patria tra i cittadini, senza però che si dica di cosa lo Stato avrebbe bisogno dal circa mezzo milione di giovani che ogni anno sarebbero chiamati a svolgere il Servizio civile obbligatorio.

Questa proposta ribalta i termini della questione e lo fa collocandosi all’esterno dell’attuale Servizio civile, partendo dall’idea di “Esercito del Lavoro” di Ernesto Rossi e dall’esperienza dei cosiddetti “Angeli del fango”, cioè quell’esercito di giovani e meno giovani di tutte le nazionalità che volontariamente, subito dopo l'alluvione di Firenze del novembre 1966, arrivarono a migliaia in città per salvare le opere d'arte e i libri. “Angeli del fango” vennero di nuovo soprannominati i giovani che intervennero a Genova dopo l’alluvione e lo straripamento del Bisagno del novembre 2011 e poi di nuovo nell’ottobre 2014, così come era già avvenuto nel 1970, e che dopo l’alluvione del 2011 hanno creato una pagina facebook, tuttora attiva. Interventi spontanei di giovani ci sono stati anche dopo il terremoto de L’Aquila dell’aprile 2009, così come in altre città in occasione di alluvioni.

La domanda da porsi è questa: è possibile, e non sarebbe anche utile e conveniente per la collettività, organizzare queste disponibilità a lavorare per l’interesse comune da parte di giovani e adulti, creando un corpo speciale d’intervento che operi stabilmente per prevenire disastri che di naturale hanno spesso ben poco?

Quanto ci guadagnerebbe lo Stato, che in 70 anni, dal 1945 al 2014, ha speso in media 3,5 miliardi di euro l’anno per danni e risarcimenti da frane e alluvioni?

 

Ripartiamo da Ernesto Rossi

Fu proprio verso la metà degli anni ’40 del ‘900 che Ernesto Rossi scrisse “Abolire la miseria”, in cui avanzò l’idea di un Esercito del Lavoro, obbligatorio per tutti i giovani, ragazzi e ragazze, al termine degli studi, della durata di due anni, in cambio solo di vitto e alloggio. Questo lavoro non retribuito, a cui si sarebbe accompagnata anche l’istruzione militare, sarebbe dovuto servire per fornire i beni essenziali per i più poveri, a cui non sarebbe stata fatta una elemosina umiliante ma che avrebbero ricevuto nel momento del bisogno quel che si erano guadagnati durante i due anni di lavoro gratuito al servizio dello Stato. Contemporaneamente, i giovani avrebbero sperimentato i valori della solidarietà e dell’interesse collettivo, lavorando al servizio della comunità per la produzione di beni e servizi.

La proposta di Ernesto Rossi non è mai stata attuata. Alcune delle convinzioni che l'hanno ispirata, però, sono ancora attuali e meritano di essere riprese: in particolare, il principio che se lo Stato dà, allora ha anche il diritto di chiedere; in secondo luogo, che una comunità si crea anche attraverso il lavoro svolto nell’interesse collettivo. Dopo otto anni di crisi economica, con forti ripercussioni sul lavoro e a livello sociale, occorre intervenire,ma bisogna farlo con un’impostazione opposta a quella di proposte come il reddito di cittadinanza, che chiedono a uno Stato senza soldi di tornare ad essere dispensatore di assistenzialismo a cittadini inattivi, come largamente praticato nei decenni di governo della Balena Bianca.

Ernesto Rossi scriveva che la condizione più favorevole all’attuazione della riforma da lui proposta sarebbe stata “una di quelle grandi crisi sociali durante le quali la incertezza dell’ordinamento giuridico e la instabilità del valore della moneta rendono più fluidi tutti i rapporti economici e diminuiscono la resistenza degli interessi costituiti”.

Di fronte alla grave crisi sociale ed economica che stiamo attraversando, la proposta è questa:

Né bonus elargiti quando le urne si avvicinano, né irresponsabili promesse di “reddito di cittadinanza”. Se lo Stato dà, lo stato chieda: lavoro di cittadinanza come misura economica e di tutela dei beni comuni. Giovani e adulti disoccupati siano inquadrabili in un nuovo corpo per sostenere protezione civile, manutenzione del territorio e prevenzione del dissesto idrogeologico, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, manutenzione ordinaria delle scuole.

 

Dove intervenire

Il malandato stato del nostro territorio è conosciuto da decenni ma dal 2014, con l’approvazione del decreto “Sblocca Italia” è riconosciuto per legge come un’emergenza. Infatti, sin dal titolo di parla di “emergenza del dissesto idrogeologico” e poi si prevedono misure urgenti per la sua mitigazione. Tra l’altro, il comma 4 dell’art. 9 stabilisce che i Presidenti delle Regioni “possono richiedere di avvalersi, sulla base di apposite convenzioni per la disciplina dei relativi rapporti, di società in house delle amministrazioni centrali dello Stato dotate di specifica competenza tecnica, attraverso i Ministeri competenti che esercitano il controllo analogo sulle rispettive società ai sensi della disciplina nazionale ed europea”.

Precedentemente, nel maggio 2014, il governo aveva istituito con due distinti decreti due Strutture di missione, che fanno parte del progetto denominato #italiasicura: una per garantire “il necessario coordinamento degli interventi urgenti in materia di dissesto idrogeologico, di difesa e messa in sicurezza del suolo, di sviluppo delle infrastrutture idriche”; l’altra per il “coordinamento e impulso nell’attuazione di interventi di riqualificazione scolastica dei Comuni italiani”.

Le due Strutture di missione furono definite dall’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio come “i paradigmi dell’azione di governo e di un’Italia che deve ripartire”.

 

Metti un Roosevelt nel governo

Alle denunce, alle analisi e ai propositi del governo Renzi, si può non aggiungere nulla.

Viene ricordata la frase di Leo Longanesi, secondo cui “Alle manutenzioni l'Italia preferisce le inaugurazioni”, e poi si fanno affermazioni e si snocciolano dati come questi:

- Ridurre e gestire il rischio non è un costo ma è un investimento chiave per far ripartire il Paese, sbloccare economia e lavoro, innescare bellezza e qualità, esattamente come fu il New Deal lanciato dal Presidente Roosevelt per gli Usa dopo la crisi del 1929, che fece perno proprio sul contrasto a frane e alluvioni e sulle grandi infrastrutture dell’acqua per ammodernare facendo ripartire l'occupazione.

- Lo stato di dissesto si intreccia con una impressionante carenza pianificatoria di superficie, con la quasi scomparsa delle manutenzioni, con abusi del suolo, con la scarsa percezione della dimensione dei pericoli e la scarsa conoscenza dei fenomeni.

- Solo poco più di un terzo dei Comuni mitiga oggi, per tanti motivi e in testa i vincoli del Patto di stabilità, il rischio idraulico. Qualcuno lo peggiora. Nel 42% dei centri abitati non viene svolta regolarmente la manutenzione ordinaria di fossi e corsi d´acqua, canali di drenaggio e scolo.

- Paghiamo costi stellari a nostra insaputa. Lo stress ambientale e il dissesto consumano una fetta sempre più elevata del bilancio dello Stato. Sappiamo che 1 euro speso in prevenzione fa risparmiare fino a 100 euro in riparazione dei danni. Ma siamo tra i primi al mondo per risarcimenti e riparazioni di danni da eventi di dissesto: dal 1945 l'Italia paga in media circa 3.5 miliardi l’anno. Dal 1950 ad oggi abbiamo contato 5.459 vittime in oltre 4.000 tra frane e alluvioni. Il dissesto idrogeologico è una delle ragioni dell'aumento del gap infrastrutturale nel nostro Paese. Non franano solo terreni o case provocando dei lutti, ma anche strade e autostrade, ferrovie, reti idriche ed elettriche. Il deterioramento del territorio costituisce una voce fortemente negativa nel bilancio economico di un Paese, accumula debito futuro. Anche in una visione strettamente ragionieristica è positivo investire in prevenzione.

Proprio perché queste sono affermazioni condivisibili basate su dati drammatici, quel che si sta facendo appare ancora troppo ordinario, Roosevelt è assai lontano, occorre un impegno straordinario, è il momento di mobilitare gli Angeli del fango di ogni età per fermare le frane, i disastri e il declino, e far ripartire il Paese.

 

Numeri, rischi e burocrazia del dissesto idrogeologico

Da articoli pubblicati da L’Astrolabio, la newsletter degli Amici della Terra, emergono alcuni dati forniti dall’Ispra tra il 2015 e il 2016:

- In Italia, oltre sette milioni di persone abitano in aree a rischio di frane e alluvioni. Oltre un milione vive in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata, mentre quasi sei milioni si trovano in zone alluvionabili a pericolosità idraulica media.

- I comuni a rischio frane e/o alluvioni sono 7.145 (l’88,3%): di questi, 1.640 hanno nel loro territorio solo aree ad elevata propensione a fenomeni franosi, 1.607 solo quelle a pericolosità idraulica, mentre in 3.898 coesistono entrambi i fenomeni.

- Considerando i beni culturali architettonici, monumentali e archeologici, quelli potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono 34.651 (18,1% del patrimonio totale), dei quali oltre 10.000 rientrano in aree a pericolosità elevata e molto elevata. Nello scenario di pericolosità media delle alluvioni ricadono circa 29.000 monumenti, mentre oltre 40.000 sono i beni culturali a rischio nello scenario relativo a eventi estremi (meno probabili, ma più intensi). Le regioni con il numero più alto di beni a rischio nello scenario medio, sono Emilia-Romagna, Veneto, Liguria e Toscana. Tra i comuni, spiccano le città d'arte di Venezia, Ferrara, Firenze, Ravenna e Pisa.

- Per quanto riguarda le principali infrastrutture lineari di comunicazione, ci sono 6.180 punti di criticità per fenomeni franosi lungo la rete stradale principale (autostrade, superstrade, strade statali, tangenziali e raccordi), di cui 720 lungo la rete autostradale. Lungo i 16.000 km di rete ferroviaria sono stati individuati 1.862 punti di criticità per frana.

- Negli ultimi 50 anni, dal 1964 al 2013, le frane e le inondazioni hanno causato complessivamente 2.007 morti, 87 dispersi ed almeno 2.578 feriti.

Secondo lo studio sugli investimenti pubblici nel servizio idrico integrato, presentato da #italiasicura nel febbraio 2016, “il quadro che emerge dall’analisi non è confortante. Infatti delle risorse pubbliche stanziate risultano ancora oggi 885 interventi avviati e non ancora conclusi, per un valore totale finanziato di 2,9 miliardi di euro, e anche 888 interventi neanche avviati, per un valore totale finanziato di 3,2 miliardi di euro, la maggior parte dei quali, 2,8 miliardi, destinati al Sud”.

L’analisi dei tempi di attuazione, effettuata da #italiasicura sugli interventi conclusi, mostra come mediamente siano necessari 5 anni e 6 mesi per realizzare un investimento pubblico nel settore idrico, ai quali si aggiungono altri anni, oltre tre, per le lungaggini burocratiche legate all’iter per il finanziamento, da quando si decide di finanziare l’opera a quando inizia la progettazione.

Un diverso modello di efficienza è rappresentato da quello della Provincia di Bolzano, che per curare duemila corsi d’acqua ha scelto il fai-da-te. Anziché impelagarsi in gare e contenziosi con ditte esterne, ha concentrato le competenze in un unico ente con 73 impiegati e 200 operai, che cura dalla progettazione all’esecuzione delle opere. Risultato: 250 progetti e 30 milioni investiti ogni anno, tempo medio di realizzazione 11 mesi, manutenzione efficiente.

Il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto sull’intero territorio nazionale ammonta a complessi 44 miliardi di euro: di cui 27 per il Centro-Nord, 13 per il Mezzogiorno e 4 per il settore del patrimonio costiero. I dati derivano dai Piani di Assetto Idrogeologico (PAI), Piani straordinari e piani decennali redatti dalle Autorità di Bacino, Regioni e Province Autonome, e sono stati forniti alla Camera nel luglio 2009 dall’allora sottosegretario all’Ambiente Roberto Menia, durante le audizioni nell’ambito di un’Indagine conoscitiva sulla difesa del suolo, sulle politiche per la tutela del territorio, la difesa del suolo e il contrasto agli incendi boschivi.

 

I giovani, i bonus e il Servizio civile abbandonato

Gli 80 euro elargiti dal governo Renzi a circa 10 milioni di italiani costano circa 9,6 milioni di euro l’anno.

Il bonus cultura di 500 euro per tutti i neo-diciottenni, senza distinzione di reddito, da spendere in prodotti ed eventi culturali, nel suo primo anno di applicazione riguarda 576.953 nuovi maggiorenni e costerà 288,4 milioni di euro.

Se si calcolano circa 550.000 neo-diciottenni l’anno, i giovani tra i 18 e i 28 anni che potrebbero fare l’attuale Servizio civile volontario sono circa 5,5 milioni. La realtà, però, è tutt’altra. Dal 2001 al 2013, i giovani che hanno fatto il Servizio civile sono stati in totale solo quasi 300.000. Nel 2014 sono stati 15.000, nel 2015 sono stati circa 35.000, nel 2016 si prevede che siano 41.700. Lo stanziamento per i progetti del Servizio civile nel 2016 è stato di 212 milioni di euro, circa il 75% della spesa per il bonus cultura ai neo-diciottenni.

 

Fabbisogno e copertura

Il comparto del gioco rappresenta il 4% del PIL italiano, con un giro d’affari intorno ai 90 miliardi.

Nel 2010 la raccolta dai giochi ammontava a 61,4 miliardi di euro, per poi aumentare a 79,9 miliardi nel 2011 e a 88,6 miliardi nel 2012. A partire dal 2013 si registra una flessione (84,7 miliardi) che ha portato al dato di 84,4 miliardi nel 2014. Nel 2015 la raccolta è aumentata portandosi a 88,2 miliardi.

Le entrate erariali sono passate da 8,7 miliardi del 2010, a 8,6 miliardi nel 2011 e a 8,3 miliardi nel 2012. Nel 2013 ammontavano 8,5 miliardi, nel 2014 si attestavano a 8,3 miliardi. Nel 2015 le entrate fiscali sono risultate pari a 8,8 miliardi.

La legge di stabilità 2016 ha aumentato il prelievo erariale unico (PREU) relativo a newslot (dal 13 al 17,5 per cento; la percentuale destinata alle vincite è ridotta dal 74 al 70 per cento) e videolottery - VLT (dal 5 al 5,5 per cento),

Secondo le previsioni della Ragioneria generale dello Stato riportate nel Bilancio semplificato dello Stato per il Triennio 2016-2018, nei prossimi tre anni il governo prevede di incassare da 'macchinette', scommesse, lotterie e 'gratta e vinci', più di 41 miliardi di euro con una media di 13,7 miliardi di euro all’anno, ben 5 miliardi in più rispetto agli ultimi quattro anni. La Ragioneria prevede 13 miliardi e 649 milioni nel 2016, un ulteriore aumento nel 2017 con entrate per 13 miliardi e 713 milioni e nel 2018 per 13 miliardi e 725 milioni. 

Nei primi cinque mesi del 2016, le entrate tributarie per le varie tipologie di “gioco” hanno raggiunto i 5,88 miliardi con un aumento di 879 milioni, ben il 17,6% in più.

Nei primi sei mesi del 2016, le giocate al Superenalotto hanno raggiunto i 622 milioni di euro, con un incremento del 36,7%.

La proposta è quella di dotare l’Esercito del Lavoro di cittadinanza di un fondo di 3,5 miliardi di euro l’anno, cioè quanto si è speso in media annualmente, negli ultimi 70 anni, per danni e risarcimenti da frane e alluvioni. Tenendo presente quel che ricorda il governo: 1 euro speso in prevenzione fa risparmiare fino a 100 euro in riparazione dei danni.

Sulla base delle stime della Ragioneria dello Stato, confermate dall’andamento dei primi cinque mesi dell’anno, 3,5 miliardi l’anno potrebbero essere reperiti aumentando del 2,5 – 2,6 per cento la tassazione sul comparto dei giochi e delle scommesse.

 

L’Esercito del Lavoro di cittadinanza

L’Esercito del lavoro avrebbe carattere volontario e sarebbe aperto a tutti i cittadini italiani e stranieri regolarmente soggiornanti (come previsto dalla nuova legge sul Servizio civile), che abbiano compiuto i 18 anni, senza lavoro (quindi sì ai pensionati), che risultino idonei alla visita medica.

Secondo i dati di Eurostat, nel 2015 il 31,1% dei giovani italiani tra i 20 e i 24 anni non ha studiato, non si è formato, non ha lavorato. E’ la percentuale più alta a livello europeo e in numeri assoluti significa circa 850.000 giovani.

L’esercito del Lavoro di cittadinanza sarebbe al servizio solo di enti pubblici, dipenderebbe dalla Presidenza del Consiglio, all’interno del Dipartimento della Protezione Civile.

Il servizio nell’Esercito del lavoro ha durata di un anno, come quello militare, a differenza del nuovo Servizio civile, che avrà una durata compresa tra gli otto e i dodici mesi.

I volontari in Ferma militare prefissata di un anno, durante il periodo di ferma possono conseguire il grado di Caporale a partire dal terzo mese di servizio. Ricevono una retribuzione mensile di circa 800 euro e con la promozione a Caporale hanno una maggiorazione di 50 euro mensili.

I volontari del Servizio civile ricevono 433 euro al mese. La metà dei militari.

Per i volontari dell’Esercito del Lavoro, che lavorerebbero sul campo e non in un ufficio, potrebbe essere giustificata una paga pari a due terzi di quella del militare e cioè 577 euro al mese, più vitto e alloggio (come riferimento sui costi di vitto e alloggio si possono prendere i 20 euro giornalieri dati nel 2014 agli enti del Servizio civile all’estero per ogni persona).

Andrebbe fatta una ricognizione delle caserme dismesse, colonie estive dismesse e altri edifici pubblici, disponibili o da sistemare, cosa che potrebbero fare i volontari stessi. Per coloro che hanno una famiglia con figli minorenni, si potrebbe prevedere l’eccezione di pernottare a casa propria, consentendo loro, ove possibile, di svolgere il servizio vicino al luogo di residenza.

I volontari dell’Esercito del lavoro non potrebbero svolgere altre attività lavorative alla dipendenza di soggetti pubblici o privati (insomma, potrebbero fare collaborazioni occasionali o con Partita Iva nel tempo libero). Dovrebbe essere riconosciuta loro la possibilità di interrompere il servizio nel caso trovino un lavoro. In tal caso, non godrebbero dei vantaggi previsti ai fini dell’inserimento nel mercato del lavoro. Nel caso interrompessero il servizio senza altro valido motivo (fattispecie da regolamentare), verrebbero congedati con nota di demerito.

Analogamente a quanto previsto per il Servizio civile, tra i volontari dell’Esercito del Lavoro e lo Stato si instaurerebbe uno specifico rapporto di servizio non assimilabile al rapporto di lavoro, con esclusione di tale prestazione da ogni imposizione tributaria.

Analogamente a ciò che avviene per il Servizio civile, a coloro che svolgono attività nell’Esercito del Lavoro dovrebbero essere riconosciuti crediti formativi da spendere nel corso degli studi e nel campo della formazione professionale. L’autorità di governo preposta dovrebbe avere il compito di promuove presso Università ed Enti accreditati la stipula di apposite convenzioni.
Il periodo di servizio nell’Esercito del Lavoro dovrebbe essere valutato nei pubblici concorsi con le stesse modalità e lo stesso valore del servizio prestato presso gli Enti pubblici.
L’attestato di fine servizio dovrebbe essere utile per l’inserimento nel mondo del lavoro.
I periodi di servizio nell’Esercito del Lavoro dovrebbero essere riscattabili su domanda del volontario e su contribuzione individuale.

I settori di intervento dell’Esercito del Lavoro di cittadinanza potrebbero essere la manutenzione ambientale (ad esempio, dissesto idrogeologico, boschi, foreste, territori collinari, coste marine, fiumi), la sistemazione e cura delle aree protette e dei parchi naturali, i lavori di riassetto urbano e di recupero delle zone degradate, la manutenzione e tutela del patrimonio artistico, la manutenzione ordinaria delle scuole.

Nella fase di avvio, parte rilevante della spesa sarebbe assorbita dalle soluzioni logistiche, strumenti di lavoro, predisposizione della struttura organizzativa e di direzione (il più leggera possibile).

Per avere un termine di riferimento, la paga annua di ogni volontario sarebbe di 6.924 euro. Centomila volontari costerebbero, per la sola paga, 692,4 milioni.

Stampa Email

Commenta e Condividi

 Immaginando

L'Astrolabio

progetto editoriale di
Amici della Terra

l'Astrolabio © 2015
ISSN 2421-2474

Periodico di informazione sull’energia, l’ambiente e le risorse
Testata registrata presso il Tribunale di Roma
Aut. Trib. di Roma del 22/04/1996 n. 189

Direttore Responsabile:
Aurelio Candido

Redazione e Amministrazione:
Via Ippolito Nievo 62 -
00153 Roma - Tel. 06.6868289
06.6875308

Amici della Terra

Seguici