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ORBITE CELESTI

Evitare l’impatto si può. Forse

di: Paolo Saraceno*
Nel precedente articolo “La minaccia che viene dal cielo” si è parlato del rischio asteroidi e abbiamo visto che il problema da affrontare non è rispondere alla domanda “se” un giorno la Terra sarà colpita da un asteroide, perché sappiamo che lo sarà di sicuro, ma sapere “quando”. Ha quindi senso domandarsi se la tecnologia può oggi consentirci di sapere quando un impatto avverrà e se potrà aiutarci ad evitarlo. La risposta ad entrambe le domande è positiva, almeno per gli impatti più catastrofici e il merito va al grande sviluppo delle tecnologie spaziali. Il problema, come vedremo, è quello di conoscere le orbite degli asteroidi e delle comete che possono colpire la Terra, con l’anticipo necessario ad organizzare un intervento.


 

Le tecniche che si stanno studiando per evitare l’impatto possono essere divise in due gruppi: le tecniche “violente”e quelle“non violente”. Le prime prevedono di colpire l’asteroide o la cometa con un proiettile massiccio ad alta velocità, oppure di far esplodere cariche nucleari o chimiche sulla sua superficie, in modo da dare all’oggetto l’impulso necessario a spostarlo su di un'orbita non pericolosa. Le seconde prevedono invece di scendere sull’asteroide o sulla cometa, montare sulla sua superficie dei razzi o delle vele riflettenti (che utilizzano la pressione di radiazione del Sole) e spostare dolcemente l’oggetto su di un’orbita diversa.

Con le tecniche violente si possono imprimere impulsi maggiori di quelli che si possono imprimere con le tecniche non violente, sono quindi le sole che si possono usare se c’è poco tempo. Il problema legato all’uso di queste tecniche è il rischio di rompere l’oggetto in più pezzi non più controllabili che potrebbero ugualmente colpire la Terra (si avrebbe un effetto positivo solo se i frammenti fossero così piccoli da essere dissolti nell’attrito con l’atmosfera).

Il problema delle tecniche non violente è invece quello di richiedere molto tempo per essere realizzate. Occorre infatti pianificare la missione, raggiungere la cometa o l’asteroide, arrivarci quando esso è ancora lontano dalla Terra, perché solo in quel caso il debole impulso che la nostra tecnologia può produrre riesce a dare la deviazione che serve. Al diminuire della distanza cresce infatti la deviazione e quindi l’impulso che si deve dare ad un oggetto per evitare l’impatto. Si stima che, se il  preavviso è di 1-2  anni, l’unica soluzione è di evacuare la zona che sarà colpita. Un preavviso di 3-5 anni è ritenuto il tempo minimo necessario per deviare l’oggetto con le tecniche violente, sperando che esso non si frantumi. Quindici anni è il tempo minimo per raggiungere un asteroide e spingerlo dolcemente su di un’orbita non pericolosa. Nel caso di Apophis,di cui si è parlato nel precedente articolo, che rischia di colpire la Terra nel 2036, se si dovesse  intervenire con le tecniche non violente bisognerebbe farlo prima del 2020,  per le tecniche violente il limite sarebbe invece il 2031.

Figura 1: Una sequenza d’immagini prese da Hubble Space Telescope prima e dopo l’impatto di una massa di rame di 371 kg contro la cometa Tempel 1, lunga 13 km e larga 4, simile all’oggetto che ha causato l’estinzione dei dinosauri. La prima immagine è presa 3 minuti prima dell’impatto, le successive, prese dopo l’impatto, mostrano la nuvola di polvere che avvolge la cometa. Nell’immagine in basso al centro, la nube ha raggiunto una dimensione di 3200 km. Foto HST. © NASA, ESA &P.Feldman and H.Weaver, J. Hopkins University.

La prima delle missioni progettate per sperimentare le tecniche violente, è stata Deep Impact, la sonda spaziale lanciata dalla NASA nel gennaio 2005 che nel luglio dello stesso anno, si è avvicinata alla cometa Tempel1e le ha lanciato contro un proiettile di rame da 371 kg alla velocità di 60.000 km/h (figura 1); la sonda ha poi analizzato la materia espulsa per studiare la composizione della cometa.

Una missione analoga è in preparazione presso l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) chiamata Don Chisciotte. E’ costituita da due satelliti, Sancho e Hidalgo, che si comporteranno come i personaggi dell’omonimo romanzo di Cervantes. Mentre Hidalgo colpirà con forza la cometa, Sancho la osserverà da lontano senza correre rischi, restando per mesi e mesi in orbita attorno alla cometa, e studiarla durante il suo viaggio nel sistema solare.

Un contributo allo studio delle tecniche non violente è stato invece dato dalla missione Hayabusa, realizzata dall’agenzia spaziale giapponese JAXA in collaborazione con la NASA. Il satellite, lanciato nel maggio 2003,è arrivato dopo due anni nelle vicinanze dell’asteroide Itokava, lo ha studiato ed è poi è sceso sulla sua superficie per prenderne  un campione che il 13 giugno  2010 ha portato sulla Terra.

Ancora più impegnativi sono gli obiettivi che si pone la missione Rosetta (1) dell’ESA. Lanciato nel 2004, il satellite sta facendo un lungo viaggio attraverso la fascia degli asteroidi, studiando alcuni degli oggetti che la popolano. Nel 2014 raggiungerà la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, su cui depositerà un “lander” che seguirà  la cometa nel suo viaggio attorno al Sole. Sono tutte missioni di grande tecnologia che,oltre ad ottenere informazioni scientifiche di valore, hanno il pregio di mettere a punto tecniche utili a spostare dalle loro orbite asteroidi o comete che dovessero essere pericolosi.

I tempi impiegati da questi satelliti per raggiungere i loro obiettivi e, soprattutto, la loro velocità fanno capire perché le missioni non violente devono essere progettate con largo anticipo. Il problema da risolvere per la difesa dai NEO è quindi quello di conoscere con grande anticipo le orbite di tutti gli oggetti che possono incrociare l’orbita delle Terra. Un problema facile da affrontare per le comete a breve periodo che sono luminose e ben osservabili, più difficile per gli asteroidi che sono scuri e quasi invisibili, non affrontabile per le comete a lungo periodo che appaiono all’improvviso nel sistema solare, quando è troppo tardi per ogni possibile intervento.

Figura 2: Numero di NEO di cui si conosce l’orbita. In blu il numero totale degli asteroidi, in rosso quelli superiori a un chilometro di diametro da http://neo.jpl.nasa.gov/neo/, © NASA & JPL

Per gli asteroidi, il problema è stato affrontato con campagne osservative, finalizzate alla misura di questi oggetti con la precisione necessaria a stabilire le loro orbite per i prossimi 100 anni, un tempo più che sufficiente ad intervenire se dovesse essere necessario. Sono misure difficili, perché la luminosità di un asteroide di1 km di diametro è inferiore alla 18sima magnitudine: 1 milione di volte più debole del limite dell’occhio umano; per riuscire ad individuarlo si devono usare telescopi di grande diametro e, per distinguerlo dai miliardi di stelle e galassie che popolano il cielo, si devono fotografare le stesse zone di cielo a distanza di un giorno per vedere se qualcuno di quei puntini si è spostato rispetto alla posizione delle stelle, il solo modo che esiste per riconoscere un asteroide da una stella o da una galassia.

La figura 2 rappresenta la situazione aggiornata al 2013. Sull’asse orizzontale è riportato l’anno di riferimento, su quello verticale il numero di asteroidi di cui si erano, a quell’anno, misurati i parametri orbitali con precisione sufficiente a valutare il rischio d’impatto. L’attività di ricerca è cominciata alla fine degli anni ‘90, quando è stato dedicato a questa ricerca un telescopio di grandi dimensioni. Da allora, il numero di oggetti scoperti è cresciuto: nel 1998 se ne conoscevano 400, nel 2009 il numero era salito a 7000, nel 2013 a 9500.

In blu è riportata la totalità dei NEO, in rosso quelli che hanno più di 1 kmdi diametro; l’andamento quasi orizzontale della curva rossa mostra che le orbite degli asteroidi con un diametro superiore a 1 kmsono quasi tutte conosciute:(per nostra fortuna non si prevedono passaggi ravvicinati nei prossimi 50 anni almeno). Per gli oggetti più piccoli la situazione è invece più problematica: si conosce solo il 15% degli oggetti di 300 metridi diametro (come Apophis)e quasi nulla di quelli più piccoli. L’obiettivo che la comunità internazionale si è  posto è quello di riuscire a catalogare il 90% degli oggetti di diametro superiore ai 200 metri entro il 2025, con una spesa di 400 milioni di dollari. Sembra un diametro piccolo, ma abbiamo visto nel precedente articolo che la caduta di un NEO di circa 200/300 metri di diametro in mare può causare un’onda di maremoto maggiore di quella che devastò il Giappone nel 2012, mentre sulla terra devasterebbe città delle dimensioni di Tokio o New York.

Allo stato attuale, è già noto il rischio rappresentato daApophis, l’asteroide di 390 metri di cui si è già parlato. Se dopo i suoi prossimi passaggi vicino a Venere e alla Terra (nel 2029  passerà così vicino alla Terra, da essere visibile ad occhio nudo)(2) il rischio d’impatto dovesse crescere, Apophis sarà il primo oggetto che l’uomo cercherà di spostare dalla sua orbita.

E’ quasi impossibile scoprire gli asteroidi più piccoli (come quello degli Urali e di Tonguska) perché troppo poco luminosi. Sono anch’essi oggetti pericolosi, essendo numerosi hanno un alto rischio d’impatto e, anche se piccoli, possono causare danni enormi. Tra una decina d’anni, con le stazioni orbitanti in funzione, potrebbe essere concepibile un sistema di “difesa rapida” contro questi oggetti. Date le loro piccole dimensioni, la soluzione migliore potrebbe essere quella di colpirli e romperli in piccoli  pezzi che saranno poi disintegrati dall’atmosfera. In questo caso non sarebbe necessario avvistarli con molto anticipo. 

Figura 3: La cintura di Kuipercon il sistema solare al centro. La cintura si estende dall’orbita di Plutone sino ad una distanza di circa 100 AU (100 volte la distanza tra la Terra e il Sole) e contiene i resti del disco protoplanetario  da cui 4 miliardi di anni fa si è formato il sistema solare.  Si stima che nella cintura ci siano più di 35.000 oggetti di diametro superiore ai 100 km (alcuni sono più grandi di Plutone).Le comete che vengono da quella regione come la cometa di Halley (l’orbita ellittica mostrata in figura) hanno tutte periodi inferiori ai 200 anni ed hanno tutte orbite ben note. 

Figura 4. Il nucleo della cometa Halley fotografato nel 1986 dalla sonda Europea Giotto. La cometa proveniente dalla cintura di Kuiper (figura 3), ha un periodo di 76 anni e un nucleo di 15 km, come l’oggetto che ha causato l’estinzione dei dinosauri.

Figura 5. La cometa di Halley osservata dal 240 A.C. Nel 1301è stata osservata da Giotto che l’ha dipinta nella cappella degli Scrovegni a Padova; per questa ragione la missione dell’ESA che ha fotografato il nucleo della cometa (figura 4) ha il suo nome 

Del tutto diverso è il discorso per le comete a lungo periodo che si presentano nella parte interna del sistema solare ad intervalli di milioni di anni e non sono state mai osservate nella nostra epoca. Queste comete vengono da una regione sferica che circonda il sistema solare (la nube di Oort),il cui diametro è molto più grande di quello della cintura di Kuiper (100.000 volte la distanza Terra/sole). Nel 1996, due di queste comete sono apparse all’improvviso nel cielo, a breve distanza l’una dall’altra. La prima è stata la Hyakutake, con un diametro stimato di3 km,  avvistata cinque mesi prima del suo passaggio vicino alla Terra; la seconda la Hale Bopp(figura 5)con un  diametro stimato di40 km(molto più grande dell’oggetto che ha provocato l’estinzione dei dinosauri) avvistata 21 mesi prima del suo passaggio attraverso l’orbita della Terra, quando la vicinanza al sole l’ha fatta apparire in tutto il suo splendore. I tempi di avvistamento di questi oggetti sono chiaramente insufficienti ad organizzare un qualunque tipo d’intervento. Il rischio d’impatto è però bassissimo perché queste comete non si muovono sul piano dell’orbita della Terra (come fanno i NEO e le comete che vengono dalla cintura di Kuiper). Per colpire il nostro pianeta esse devono attraversare la linea dell’orbita della Terra (figura 5) nell’istante in cui la Terra si trova a passare in quel punto; basta che la cometa passi poche ore prima o poche ore dopo, oppure qualche migliaia di km all’interno o all’esterno dell’orbita della Terra, perché l’impatto possa non avvenire. La probabilità di collisione con queste comete è quindi bassissima e questo ha permesso alla vita di sopravvivere sino ad oggi. Le collisioni con queste comete potrebbero essere terribili;alcuni di questi oggetti infatti hanno masse rilevanti e velocità che superano i 100.000 km/ h.

Figura 6. A sinistra la cometa Hale-Bopp come appariva nel 1996 e a destra l’orbita seguita per attraversare il sistema solare, quasi ortogonale al piano su cui orbitano i pianeti. © H. Mikuz& B. Kambic, CrniVrh Observatory.

In conclusione possiamo dire che i progressi fatti dalla tecnologia nell’ultimo secolo dovrebbero averci messo al riparo dagli impatti più pericolosi. Non è stato sempre così, in passato ci sono stati impatti con effetti drammatici sulla biosfera. Nel prossimo articolo racconteremo quello che la scienza è riuscita a ricostruire dell' evento che causò la scomparsa dei grandi dinosauri e la quinta ed ultima estinzione di massa della storia del nostro pianeta.

 

*Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziale (INAF-IAPS)

 

NOTE

(1)   Il nome di Rosetta viene dalla stele di Rosetta, conservata nel British Museum, che ha permesso a Champollion di decifrare la lingua egizia. In analogia la missione di Rosetta, studiando la composizione di una cometa che contiene il materiale da cui il sistema solare è stato costruito, cercherà di decifrarne l’origine.

(2)   La probabilità di essere colpiti varia ad ogni passaggio vicino ad un pianeta per l’impulso che ne riceve. Per Apophis, alla fine del 2005 la probabilità di colpire la terra era 1/5000, oggi 1/3.5 milioni.

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