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IL RISCHIO ASTEROIDI

La minaccia che viene dal cielo

di: Paolo Saraceno
Sono circa 160 i crateri conosciuti, dovuti a meteoriti di grandi dimensioni capaci di scavare crateri con diametri superiori al km. Tenendo conto dell’erosione, che ha distrutto la maggior parte di questi crateri, e degli impatti avvenuti in mare, che non hanno lasciato traccia, si può ipotizzare che il loro numero sia molto più grande. Sono impatti che se dovessero avvenire oggi avrebbero conseguenze molto gravi sulla nostra fragile società.


 

Il 15 febbraio 2013 un asteroide di circa 17 metri di diametro e del peso di oltre 10.000 tonnellate ha colpito la Terra nelle vicinanze della cittadina di Russa di Cheliabinsk, negli Urali (figura 1). Gli scienziati hanno dichiarato che la velocità dell’asteroide fuori dall’atmosfera era di 18 km/s (65.000 km/h), 60 volte superiore a quella del suono, l’energia trasportata è stata valutata in 0.5 megatoni (1 Megatone è l’energia rilasciata dall’esplosione di un milione di tonnellate di tritolo), 30 volte l’energia sprigionata dalla bomba di Hiroshima. L’attrito con l’atmosfera ha trasformato quest’energia in calore disintegrando l’asteroide (solo pochi frammenti metallici sono arrivati a terra); l’onda d’urto ha colpito, con venti fortissimi, la cittadina di Cheliabinsk. Secondo il governatore della regione l’onda d’urto ha danneggiato un migliaio di abitazioni, rotto vetri e tetti, sollevato detriti che hanno ferito più di mille  persone; i danni stimati  supererebbero i 30 milioni di dollari.

Figura 1 La scia di fuoco lasciata in cielo dall’asteroide che ha colpito la regione degli Urali lo scorso febbraio

Un evento di simile portata non si verificava dal 1908, da quando un asteroide di circa 60 metri di diametro colpì la regione disabitata di Tunguska in Siberia sprigionando un energia stimata in 10-15 megatoni (20-30 volte l’energia dell’asteroide caduto sugli Urali). Anche in quel caso l’asteroide si disintegrò  nell’atmosfera (non si sono trovati crateri, né materiali attribuiti all’asteroide) e l’onda d’urto, ben più potente di quella degli Urali, distrusse 2000 km2 di foresta, (10 volte l’area contenuta all’interno nel grande raccordo anulare di Roma).

Figura 2: Il Barringer Crater  in Arizona.
©  MeteorCrater, Northern Arizona, USA

Gli oggetti che rappresentano un rischio per la Terra sono chiamati NEO, acronimo di “Near Earth Objects”; la loro pericolosità è testimoniata dall’estinzione dei dinosauri causata dall’impatto di un asteroide del diametro di 10 km, avvenuta 65 milioni di anni fa nel golfo del Messico vicino Chicxulub nello Yucatan. Quell’evento causò la quinta ed ultima estinzione di massa della storia biologica della Terra, la sola attribuibile all’impatto di un meteorite. Altri crateri noti sono quello di 70 chilometri di diametro che ospita il lago Manicougan in Canada (facilmente reperibile con Google Earth), oppure il  Barringer Crater in Arizona (figura 2), causato, 49.000 anni fa, dall’impatto di un asteroide simile a quello di Tonguska (40-50 metri di diametro) che, avendo un  nucleo di ferro, è riuscito ad attraversare l’atmosfera ed a scavare un cratere di 1.2 chilometri di diametro e una profondità di 160 metri, mostrando così che, asteroidi simili per dimensioni, possono avere effetti diversi se sono fatti di materiali diversi. Sono stati anche osservati impatti sugli altri pianeti del sistema solare; spettacolare è stato quello della cometa Shoamaker Levy 9 su Giove, avvenuto nel luglio del 1994, provocando schizzi alti migliaia di chilometri.

I dati disponibili sui crateri da impatto sono riportati in diversi database, uno dei più completi è quello del Planetary and Space Center Science canadese  (consultabile su: http://www.passc.net/EarthImpactDatabase/Agesort.html) in cui sono raccolte informazioni e foto di 207 crateri dovuti all’impatto di asteroidi. Tenendo conto dell’erosione che ha distrutto molti crateri, e degli impatti avvenuti in mare che non hanno lasciato traccia, si può ipotizzare che il loro numero sia molto più grande. Il numero di crateri contenuti nel catalogo è comunque sufficiente per fare un po’ di statistica.

Dei crateri del catalogo solo 3 hanno un diametro superiore ai 100 chilometri; uno, di circa 170 chilometri, è quello legato all’estinzione dei dinosauri, gli altri due risalgono a 2 miliardi di anni fa quando la vita sulla Terra era ancora allo stato monocellulare; confermando che questi eventi, frequenti nelle prime fasi di vita del sistema solare, sono divenuti oggi così rari da poter essere considerati abbastanza  improbabili.

Dei restanti 204 crateri del data base canadese, 160 hanno diametri superiori a 1 chilometri e 75 superiori ai 10 chilometri. Sono stati prodotti da asteroidi che hanno diametri relativamente piccoli e la probabilità che in futuro uno di essi colpisca di nuovo la Terra è, come vedremo alta (praticamente una certezza). Questo è motivo di grande preoccupazione perché, date le altissime velocità, anche l’impatto di un asteroide di poche centinaia di metri può avere conseguenze drammatiche per la nostra fragile società.

Un esempio è Apophis, oggi considerato il più pericoloso dei NEO noti; si tratta di un asteroide di 390 metri, battezzato con il nome del dio egiziano della morte e della distruzione dai ricercatori del Jet Propulsion Laboratory della NASA. Nel 2036, Apophis, passerà vicino alla Terra, con una probabilità di 1 su 3.5 milioni di cascarci sopra. Se questo dovesse succedere, l’energia rilasciata sarebbe pari a quella di 50.000 bombe di Hiroshima. Una simulazione fatta su una delle possibili traiettorie di caduta mostra che l’asteroide potrebbe distruggere una striscia di terra larga 200 chilometri che va dall’Inghilterra al Medio oriente passando per Francia e Italia; i morti sarebbero milioni, i danni incalcolabili. 

E’ quindi comprensibile che si facciano studi per valutare la probabilità degli impatti, i danni che questi impatti possono provocare e cosa si può fare per prevenirli. Alcuni studi sono commissionati da governi che vogliono capire se è possibile difendersi da questi eventi. I più noti sono il rapporto sul rischio dei NEO presentato dalla NASA al governo USA, nell’agosto 2003, (per chi desidera approfondire l’argomento si suggerisce di visitare il sito: http://neo.jpl.nasa.gov/neo/   e il rapporto della task force sul rischio potenziale dei NEO, presentato nel settembre 2000, al ministro della scienza britannico. Questi rapporti hanno tutti confermato la natura e la gravità del pericolo e suggerito ciò che si deve fare per ridurlo (questi rapporti hanno fornito, come effetto secondario, materiale per film catastrofici come Armaggeddon e Deep impact). Le valutazioni di rischio presentate in questi lavori, sono riportate di seguito mentre le strategie suggerite per cercare di evitarli saranno discusse in un articolo successivo.

In figura 3, sull’asse verticale di sinistra, è riportato il numero stimato dei NEO che possono intercettare l’orbita della Terra;  su quello di destra, l’intervallo stimato tra due possibili impatti; sull’asse orizzontale sono riportate le dimensioni degli asteroidi. Il grafico mostra che NEO di 10-20  metri di diametro (come quello caduto sugli Urali) sono circa 5 milioni e che, mediamente, ne dovrebbe cadere sulla Terra uno ogni 50-100 anni. Gli asteroidi come quello di Tunguska (60-70 metri) dovrebbero essere più di un milione, con una probabilità d’impatto di uno ogni 100-300 anni. Asteroidi simili a quello che ha provocato l’estinzione dei dinosauri (10 – 15 km di diametro) hanno una probabilità di impatto pari a uno ogni 100  milioni di anni. Asteroidi di dimensioni superiori ai 100 chilometri hanno una probabilità d’impatto bassissima, confrontabile con la durata della vita della Terra e potrebbero non avvenire mai.

Figura 3 : Rischio da NEO e danni provocati dall’impatto (Adattata dal “Report of the Task Force on potentially hazardous of NEOs presentato al governo britannico nel settembre 2000) 

Sotto l’asse orizzontale, è riportata in Megatoni l’energia rilasciata nell’impatto. La scala è indicativa perché l’energia rilasciata dipende dal quadrato della velocità e dalla massa dell’asteroide; abbiamo visto che due asteroidi di diametri simili possono avere masse molto diverse se uno è costituito da polvere e ghiaccio e l’altro di ferro (quello di Tonguska è del primo tipo, quello del Barringer Crater del secondo).

Anche le velocità possono essere molto diverse: un asteroide che viene da regioni relativamente vicine alla Terra, come la fascia degli asteroidi (quello degli Urali è di questo tipo) può avere, al momento dell’impatto, una velocità che  varia tra i 5 km/s e i 30 km/sec (18.000- 108.000 km/h). Una cometa, che viene da regioni più lontane come la cintura di Kuiper o la nube di Oort) può superare i 60 km/sec (216.000 km/h). I valori riportati in figura 3, sono quindi da considerarsi dei limiti inferiori, le energie possono essere più grandi di un fattore 10-50.

Sempre in figura 3, sotto la scala in Megatoni, è riportato il numero di bombe, di potenza pari a quella esplosa a Hiroshima, necessarie per produrre lo stesso effetto.

Tabella 1:  Danni provocati dall’impatto di un asteroide sulla Terra (Adattata dal “Report of the Task Force on potentially hazardous of NEOs  presentato al governo Inglese nel settembre 2000).

Sotto la scala orizzontale della figura 3 e in maggior dettaglio in tabella 1 sono riportati i danni che possono essere causati da un asteroide.

Sotto i 50 metri gli effetti sono modesti, l’atmosfera rappresenta una buona protezione (nessuno è morto negli Urali anche se l’energia era 30 volte quella della bomba di Hiroshima). L’asteroide si disintegra in aria, l’onda d’urto causa piccoli danni; se il nucleo è metallico, una parte di esso può raggiungere la Terra.

Sopra i 50 metri cominciano ad essere importanti i danni causati dall’onda d’urto: si producono venti fortissimi superiori a quelli del peggior uragano. I 2000 chilometri quadrati di foresta distrutti a Tunguska, in Siberia, sono un esempio di queste devastazioni. Se quell’asteroide fosse passato sopra una città i morti sarebbero stati  milioni. 

In mare sotto i 200 metri, (2/3 della Terra sono coperti d’acqua, 2/3 degli asteroidi cadono in mare) l’onda d’urto non provoca danni; la massa che raggiunge l’acqua è troppo piccola per causare effetti considerevoli.

In mare sopra i 200 metri, l’impatto provoca maremoti che, con il crescere del diametro, hanno effetti sempre più devastanti: asteroidi con diametri dell’ordine di 1 chilometro possono produrre onde alte 50-100 metri; asteroidi di 10 chilometri di diametro producono onde alte 500-1000 metri.

Queste onde, come anche quelle generate da eruzioni vulcaniche e terremoti, a differenza delle normali onde marine, spostano l’intera colonna d’acqua (che può essere alta migliaia di metri), trasportando così molta energia. Finché sono in mare aperto, queste onde si notano appena e si propagano alla velocità di circa700 km/h (in prima approssimazione, la velocità in km/h di queste onde è 11.5 x radice quadrata della profondità del mare in metri; con profondità di 4000 metri si hanno velocità di 730 km/ora). Quando raggiungono la costa o bassi fondali queste onde rallentano la loro velocità e aumentano la loro altezza di 10-40 volte e si comportano come onde di marea che mantengono la loro altezza per tempi che vanno da 20 minuti alle ore, sommergendo per tutto quel tempo le terre che si trovano ad un  livello più basso.

Sopra 1.5 chilometri gli impatti sia in mare che sulla Terra sollevano abbastanza polveri da influire sul clima e provocare estinzioni. Si stima che, negli impatti a terra, asteroidi di 1.5 chilometri di diametro possano distruggere completamente aree grandi come la Francia, asteroidi di 3 chilometri aree grandi come l’India,  asteroidi di 7 chilometri aree delle dimensioni dell’Europa, dell’Australia o degli Stati Uniti.

Sopra i 10 chilometri gli effetti climatici provocati dall’impatto causano estinzioni di massa (che interesserebbero più del 40% dei generi esistenti) a causa di incendi,  maremoti e, soprattutto, cambiamenti climatici causati dai materiali immessi nell’atmosfera (polveri, vapore d’acqua e ceneri) che avvolgerebbero per più di un anno la terra in un buio e gelido inverno. Si stima che l’onda di maremoto provocata dall’asteroide che ha causato l’estinzione dei dinosauri, sia stata alta più di 500 metri. I materiali trasportati da quell’onda, individuati in Messico e USA negli strati geologici dell’epoca, hanno aiutato a ritrovare il cratere dell’impatto, sepolto sotto i sedimenti marini.

Sopra i 100 chilometri gli effetti potrebbero distruggere ogni forma di vita sulla Terra ma per fortuna simili impatti potrebbero non avvenire mai.

Nei prossimi due articoli racconteremo quello che si cercherà di fare negli anni a venire per evitare gli impatti e i drammatici eventi che portarono all’estinzione dei dinosauri.

 

Adattato da “Il Caso Terra” di Paolo Saraceno, Mursia 2007

 

 

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