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IL MINISTRO CHE VUOLE RIFORMARE LA RICERCA

Quo vadis, Profumo?

di: Francesco Mauro
Sebbene il testo di questo disegno di legge sia stato già modificato più volte in corso d’opera dal governo non cambia il nostro giudizio sulla decisione governativa di procedere, nel quadro della legge di stabilità, alla riforma del settore degli enti di ricerca mediante la creazione di un CNR più grande, centralizzato e burocratizzato. La proposta viene descritta e analizzata criticamente, con particolare attenzione alla sua origine, agli effetti sull’organizzazione della ricerca e delle altre prestazioni a carattere scientifico-tecnico, alla complessità del quadro di contorno ed alle tendenze internazionali.


 

Gli uomini dei partiti non ne parlano, perché certi temi non li interessano; ma la proposta di “legge di stabilità” - la vecchia legge finanziaria – fra le tante cose, all’articolo 11 contiene il preannuncio di un intervento a fondo sul comparto della ricerca. Stupisce che una tematica di così grande rilevanza strategica venga dispersa nel gran calderone della finanziaria, secondo le peggiori tradizioni di tecnica legislativa. 

Pressato dalle critiche, il governo ha apportato modifiche che hanno l’apparenza di un patto tra notabili: la titolarità della proposta passa dal ministro ai presidenti degli enti, che ottengono anche l’impegno a mantenere l’attuale denominazione e la stessa autonomia di budget. In che consista la riforma è un mistero. Di sicuro, quella che all’inizio veniva presentata come una grande riforma si presenta adesso in termini di assoluta insignificanza. 

Comunque la si giri, tutta la vicenda è espressione di una politica d’intervento inadeguata e malsana. La proposta di riforma è stata presentata senza chiarirne in alcun modo le ragioni: nessuna analisi dello stato dell’arte, della situazione organizzativa e del personale, delle caratteristiche dei diversi enti, delle necessità del sistema nazionale in riferimento alla conoscenza scientifica e all’innovazione tecnologica. Manca una visione strategica, con le scelte di fondo e la missione da cui far scaturire una riforma che abbia anche effetti di contenimento della spesa, ma in funzione di programmi da attuare e “milestone” da raggiungere. 

Manca dunque una strategia dichiarata. Oppure c’è ma non si vede. Forse il vero scopo dell’iniziativa è di creare un meccanismo di controllo assoluto di gran parte della ricerca pubblica. Un indiziato c’è: l’ex presidente del CNR ed ex rettore del Politecnico di Torino, Profumo, quello del bastone e della carota. Ricordate? ''Il Paese va allenato. Dobbiamo usare un po' di bastone e un po' di carota e qualche volta dobbiamo utilizzare un po' di più il bastone e un po' meno la carota. In altri momenti bisogna dare più carote, ma mai troppe''. Quali grottesche reminiscenze! (Il tempo del bastone e della carota è il titolo dell’ultimo libro di Mussolini). 

La collocazione della ricerca nella legge di stabilità indica nel risparmio l’obiettivo principale della riforma. Non pare però che l’obiettivo possa essere raggiunto, è anzi probabile che si verifichi un aggravio di spesa. La prima versione che era circolata prevedeva la soppressione di 12 enti, che sarebbero stati assorbiti da un CNR potenziato. Il risparmio sarebbe limitato alla soppressione di 11 consigli di amministrazione, senza toccare organici e bilanci. Sono poi da aggiungere i costi non quantificabili dell’istituzione ex novo di due agenzie nazionali, incaricate rispettivamente del trasferimento tecnologico e del finanziamento. 

La scelta degli enti da sopprimere
Ed ecco la lista degli enti da sopprimere (avvertenza: il CNR è al primo posto, ma è destinato a un forte potenziamento attraverso l’assorbimento degli altri enti):

  1. Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)
  2. Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN),
  3. Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF),
  4. Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV),
  5. Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS),
  6. Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRIM),
  7. Stazione Zoologica Anton Dohrn,
  8. Istituto Italiano di Studi Germanici,
  9. Istituto Nazionale di Alta Matematica (INDAM),
  10. Museo Storico della Fisica,
  11. Centro di Studi e Ricerche Enrico Fermi
  12. Istituto per lo Sviluppo e la Formazione Professionale dei Lavoratori (ISFOL).

Si tratta di un gruppo eterogeneo di enti: oltre al CNR, 6 trattano tematiche fisiche; uno si occupa di sismica e vulcanologia; vi è una gloriosa stazione biologica marina, tradizionale vanto dell’Italia e di Napoli; un ente di studi matematici; un ente a carattere culturale; ed uno per la formazione professionale. I primi 10 enti della lista sono tutti istituti vigilati del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR). L’ISFOL è invece sottoposto alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 

Collegata alla soppressione degli enti, l’articolo 11 propone infatti l’istituzione di un “super-CNR”. Beninteso, da un punto di vista formale, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) viene anch’esso soppresso, anzi è il primo dell’elenco degli enti disciolti; e viene formato un nuovo ente, chiamato Centro Nazionale delle Ricerche (mantenendo così l’acronimo ma assumendo un nome diverso), con un “ruolo di coordinamento e di rappresentanza unitaria in materia di ricerca”. “Coordinamento” e “rappresentanza” potrebbero sembrare compiti non eclatanti, ma il testo non lascia dubbi sull’obiettivo pratico: “al fine di assicurare la piena integrazione e il coordinamento unitario delle attività di ricerca”.

Un’attenta analisi rivela che alcuni enti vigilati dal MIUR o comunque collegati a questo ministero mancano dalla lista: 

  • Il Consorzio per l’Area di Ricerca Scientifica e Tecnologica di Trieste, con l’ultimo budget annuo noto di 55 milioni di Euro, il cui presidente fino al febbraio scorso è stato l’attuale Ministro dell’ambiente Corrado Clini.
  • L’Istituto Italiano di Tecnologia (ITT), fondato a Genova nel 2003 per iniziativa dell’allora ministro Giulio Tremonti a seguito di apposita legge, che sul piano formale non è un ente vigilato ma una fondazione stabilita congiuntamente dal MIUR e dal Ministero dell’economia e finanze. La differenza di missione tra l’ITT ed altri enti non è ancora del tutto chiara; l’ultimo budget annuo noto è di 75 milioni di Euro. Il presidente della fondazione era fino all’anno scorso l’attuale Ministro dell’economia e finanze Vittorio Grilli.
  • L’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) per cui era previsto un percorso di riordino diverso (vedi sotto). 

Nella prima versione della legge, l’esclusione dalla lista degli enti da sopprimere del Consorzio di Trieste e dell’IIT di Genova, entrambi in precedenza diretti da due futuri ministri, apre il campo a speculazioni su possibili conflitti di interesse in questa vicenda. 

Per quel che riguarda gli enti non vigilati dal MIUR, oltre al caso sopra citato dell’ISFOL, la proposta prevede le seguenti soluzioni particolari: 

  • L’istituzione di una Agenzia per il trasferimento tecnologico, con l’incarico di “fornire dati” (?) al MIUR ed operante sulla base del trasferimento delle risorse dell’ENEA (Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviuppo Economico Sostenibile, attualmente vigilata dal Ministero dello sviluppo economico) che verrebbe così soppressa; alla stessa neo-istituita agenzia verrebbero trasferite le attività di ricerca dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, vigilato dal Ministero dell’ambiente).
  • L’istituzione di una Agenzia per il finanziamento della ricerca con il trasferimento ad essa, tra l’altro, delle attività dell’ASI. 

D’altro canto, molti altri enti (esclusi ovviamente quelli già soppressi da precedenti manovre “taglia-enti”) non sono stati inseriti nella lista degli enti da sopprimere: 

  • Centro Italiano per le Ricerca Aerospaziale (CIRA, una SpA consortile fra l’industria aerospaziale e la Regione Campania).
  • Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA, vigilato dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali).
  • Istituto di Medicina Sociale (vigilato dal Ministro della salute e dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali).
  • Istituto di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (vigilato dal Ministro della salute).
  • Istituti Zooprofilattici Sperimentali (rispondono al Ministro della Salute).
  • Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT, nell’ambito del Sistema Statistico Nazionale, vigilato dal Presidente del Consiglio dei Ministri).
  • Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA, vigilato dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali).
  • Istituto Nazionale Agronomico per l’Oltremare (vigilato del Ministro degli affari esteri).
  • Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione (INVALSI, vigilato dal MIUR).
  • 31 enti vigilati dal Ministero per i beni e le attività culturali (MiBAC) in genere con almeno un parziale impegno in attività di ricerca.
  • Altri enti facenti capo ad altri ministeri (difesa, come l’Istituto Geografico Militare, affari esteri, come l’Istituto Diplomatico Mario Toscano, ecc.).
  • Innovohub – Stazioni Sperimentali per l’Industria (azienda speciale della Camera di Commercio di Milano).
  • L’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani (un istituto privatistico con speciale regime giuridico che lo assoggetta al controllo della Corte dei Conti). 

Vi sono poi 121 (numero già fortemente ridotto in anni recenti) enti, fondazioni e istituti culturali, storici, umanistici e scientifici ammessi ad un contributo annuale ordinario dello stato (erogato dal MiBAC) ed una manciata di enti internazionalistici (a carico del Ministero degli affari esteri). 

Da questo quadro schematico risulta chiaro come l’operazione ipotizzata riguardi la soppressione, a favore della costruzione di un super-CNR, di molti istituti del MIUR, ma non tutti, con eccezioni per ragioni non chiare e che pongono se non altro problemi di opportunità; e del passaggio sotto controllo dello stesso MIUR, in forma diversa, dell’ENEA e dell’ISPRA. 

Una riflessione particolare merita la soppressione di fatto dell’ISPRA, che già rappresentava un gravissimo arretramento essendo stato ottenuto grazie ad una retro-trasformazione dell’ANPA (Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente). Questa agenzia ambientale, introdotta in Italia in grande ritardo rispetto agli altri paesi, era stato istituita solo grazie all’azione riformista e all’iniziativa referendaria e legislativa degli Amici della Terra, ed aveva rappresentato il punto di riferimento nazionale per il sistema dei controlli ambientali su base regionale (sistema ANPA/ARPA). Ignoranza e disinteresse hanno permesso la trasformazione da ANPA (agenzia) a ISPRA (istituto superiore). A questo si aggiungerebbe la trasformazione, in realtà la soppressione, oggi proposta. Fra i paesi sviluppati e di fronte ad esempi importanti (Environmental Protection Agency, EPA, degli Stati Uniti, e European Environment Agency. EEA), l’Italia si ritroverebbe ad essere in pratica l’unico paese senza un’agenzia ambientale. 

Anche per l’ENEA potrebbe affacciarsi l’affossamento delle residue capacità dell’ente strumentale, ridotto ad una, presumibilmente marginale, agenzia per il trasferimento, in cui dovrebbe confluire anche l’ISPRA, per ragioni incomprensibili. Infine, all’Agenzia per il finanziamento verrebbe assegnato un compito, macchinosamente legato al Piano Nazionale della Ricerca (PNR), tipicamente burocratico e ministeriale. 

La tendenza internazionale
L’istituzione di un super-ente centralizzato appare nettamente contro-tendenza nell’ambito dei paesi OECD e del mondo industrializzato non soltanto in quanto costruisce un “carrozzone”, ma in forza dell’evoluzione storica del settore. 

I grandi enti monolitici sono datati in Europa a partire dagli anni ’60 e negli Stati Uniti dagli anni a cavallo della II Guerra Mondiale, giustificati dalla messa in cantiere di grandi progetti (nucleare, spazio, lotta al cancro, alle malattie infettive, etc.), dalla concorrenza tra paesi, dalla stessa Guerra Fredda, da un progresso scientifico dirompente (DNA, elettronica, informatica, etc.). Eppure, anche allora si curava che il grande ente non fosse unico, ma esistessero più varianti istituzionali, scuole scientifiche, diversità di approccio. Il caso degli USA è esemplare con i numerosi laboratori nazionali del Department of Energy (DoE), del Department of Defense (DoD), il sistema dei National Institutes of Health (NIH), l’alto numero di “agenzie”; modello ripreso da molti paesi di cultura anglo-sassone. La stessa Francia, modello paradigmatico dell’organizzazione statuale centralista, ha curato di lasciar evolvere un sistema almeno duale di ricerca (senza contare l’università): il CNRS e l’Agence Nationale de la Recherche. 

Il sistema opposto si è sviluppato invece nei paesi dell’Est, a cominciare dall’omnicomprensiva Accademia Sovietica delle Scienze, ove il controllo delle attività di ricerca ed applicazione era l’obiettivo principale, sulla base di un’organizzazione rigida e di una “meritocrazia di stato”, ma che di fatto ha condotto la ricerca e la scienza sovietica in posizione subordinata dopo una prima ondata di successi nello spazio e nel nucleare. 

Il modello dell’Accademica Sovietica delle Scienze è quello che sembra si voglia applicare oggi in Italia. 

Attualmente, nella gran parte dei paesi OECD, la tendenza principale è verso il superamento dei grandi enti di ricerca a favore di enti agili e autonomi, selezionati e selettivi, fortemente sottoposti a giudizi di merito e fra “pari”, miranti alla definizione e all’applicazione delle conoscenze in settori o inter-settori di interesse prioritario. Sarebbe allora più interessante, nel caso italiano, favorire dei processi di confluenza di enti o parti di essi che possano essere impegnate allo stesso settore di ricerca. Ad esempio, favorendo il coordinamento, nel campo delle scienze della terra e delle problematiche del rischio, fra INGV, alcuni istituti del CNR, parti dell’ISPRA e dell’ENEA. 

Nella legge di stabilità, l’obiettivo del contenimento della spesa viene perseguito tramite la cancellazione dei consigli d’amministrazione (con risparmi probabilmente marginali) ed un (ipotetico) risparmio di scala. Esiste però una via alternativa, più “traumatica” ma più concretamente operativa, produttiva e competitiva sul piano scientifico-tecnico come su quello dell’uso delle risorse: la via basata su una scelta preferenziale delle tematiche di interesse sia in quanto innovative, sia in considerazione delle necessità di sviluppo e sociali del paese.

L’origine di una proposta.
Una proposta così concepita sembra a prima vista incomprensibile. Ma essa è stata elaborata sotto la direzione di un ministro che, all’atto del suo ingresso nel ministero, era presidente del CNR e con una esperienza rettorale pregressa. Chiaramente, nella sua visione, un super-CNR è lo strumento adatto a mantenere e rafforzare il controllo burocratico e centralista della situazione della ricerca nazionale e dei suoi margini di finanziamento, con particolare riguardo alla distribuzione dei fondi e del personale e quindi al “potere reale”. Non vengono così affrontate, né sembrano interessare, le difficoltà connesse al taglio di tematiche superate, di scarso interesse e soggette a revisione critica, e magari eccessivamente costose. 

La proposta come presentata svela altre idee datate e preoccupanti. Per “ricerca” si intende chiaramente quella para-universitaria (ma allora perché non farla all’università?); non esiste ricerca applicata, sviluppo e servizio scientifico; il trasferimento è anzi rigorosamente separato e ad altri affidato (ma quando mai!); non esistono enti esperti, enti misuratori, enti scientifici di controllo; l’organizzazione è centralizzata, ma la conoscenza è parcellizzata orizzontalmente (fra discipline) e verticalmente (fra livelli di applicazione). E ancora: non vengono prese in considerazione le scienze dell’uomo, la medicina, l’agricoltura e la veterinaria, l’economia, quasi fossero dei centri di potere accademico separato. E non vengono individuati, considerati e salvaguardati i centri di eccellenza, che pure esistono e possono essere portatori di una tradizione gloriosa. C’è da chiedersi: queste assenze sono un omaggio ai “territori di caccia” riservati dei ministeri, ai “pascoli accademici", ad una visione culturale frammentata, ad un certo disprezzo per le scienze matematiche, fisiche e naturali? O ad un mix di tutto questo? 

L’operazione di “riordino” rivela una certa ignoranza o un disinteresse circa l’esistenza di una varietà di enti scientifico-tecnici lungo tutto l’arco che va dalla ricerca alla consulenza ed al controllo scientifico-tecnico. Anche la separazione che ne deriva è contro-tendenza rispetto all’evoluzione moderna dell’organizzazione delle ricerca, laddove al giorno d’oggi si preferiscono enti che agiscano, per una tematica rilevante, in modo transdisciplinare, a tutti i livelli di applicazione, compreso il trasferimento delle conoscenze e dell’innovazione, compresa la formazione e la “continuing education”, in modo da non separare scienziati da tecnologi e tecnici, ricercatori da esperti.

Nel complesso, quindi, non di dilettanti allo sbaraglio si è trattato ma di una operazione tesa a modificare l’organizzazione della ricerca e del lavoro tecnico-scientifico in Italia per ragioni non chiare, non espresse, non discusse e, nella migliore delle ipotesi, caratterizzata da “un profumo di scarsa opportunità”.

Una prima puntata
La proposta è stata comunque accolta, in questa prima fase, da numerose proteste. Il ministro ed il governo hanno dovuto operare un “passo di lato”: nel testo “finale” della proposta, viene istituita una “consulta” composta “apostolicamente” dai presidenti dei 12 enti per la stesura di una proposta alternativa nell’ambito di una revisione totale dell’organizzazione. Sul piano formale, l’obiettivo è sempre quello di “assicurare una governance unitaria e più efficace … attraverso un piano di razionalizzazione delle sedi finalizzato al contenimento dei costi … (con) la predisposizione di un documento di visione strategica della ricerca”. Il tentativo di coinvolgere altri potentati, i presidenti degli enti, è ovvio. Sul piano sostanziale, è evidente che il governo cercherà di portare avanti la proposta.

Un grande sforzo sarà necessario non solo per vigilare sulle mosse dei vigilanti, ma per alzare il livello del dibattito e avanzare critiche costruttive che vadano nella direzione di una ricostruzione ormai indispensabile del sistema tecnico-scientifico del paese.

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