Tags: Sviluppo sostenibile

NEL 20° ANNIVERSARIO DEL SUMMIT DELLA TERRA

Vent’anni e un flop

di: Francesco Mauro
La recente Conferenza internazionale sullo sviluppo sostenibile, nota come Rio +20, nel ventennale del famoso Summit della Terra tenutosi a Rio de Janeiro, ha avuto esisti deludenti da molti considerati come un vero fallimento. In questo articolo, vengono brevemente analizzati i possibili errori di impostazione e le ragioni organizzative, burocratiche, politiche e scientifico-tecniche che hanno influito su un tale esito, con particolare attenzione alle difficoltà di implementazione delle convenzioni internazionali. Vengono anche esplorati alcuni possibili percorsi per riprendere l’iniziativa sull’ambiente e la sostenibilità.


 

Da Rio a Rio +20
Questa volta il consenso è stato raggiunto ed il giudizio praticamente unanime; anzi, è stato un giudizio già emesso prima della conferenza: Rio +20 - la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, tenutasi anche questa volta a Rio de Janeiro, il 20-22 giugno 2012, nel ventennale della famosa Conferenza di Rio, detta il Summit della Terra - è stata un insuccesso. Si sono trovati tutti d’accordo: funzionari delle Nazioni Unite, membri delle delegazioni governative, ecologisti e rappresentanti dei popoli indigeni, esperti di tutti i tipi: è stato un insuccesso, anzi di più, un fallimento annunciato.

Eppure, la storia era cominciata in modo apparentemente soddisfacente. Dopo una lunga preparazione, dagli inizi degli anni ’70 (la pubblicazione del Rapporto sui Limiti dello Sviluppo da parte del Club di Roma è del 1972), si era arrivati alla prima Conferenza di Rio (UNCED) nel 1992. L’analisi contenuta nel rapporto era stata rafforzata dagli effetti della crisi petrolifera del 1973, e nel ventennio successivo la questione ambientale si era andata aggravando: alcuni incidenti disastrosi e un costante deterioramento dell’ambiente si erano legati a problemi economici, sociali, e di disparità tra nord e sud, tra sviluppo e sottosviluppo, facendo emergere una contraddizione sempre più apparente tra sviluppo e ambiente.

L’impressione che si ebbe a Rio nel 1992 fu che i leader mondiali si fossero accorti di tutto ciò e intendessero veramente porvi rimedio, in modo consensuale, a parte un atteggiamento da “cattivi” degli Stati Uniti. Questi si erano presentati a Rio, per decisione dell’amministrazione repubblicana di George H.W. Bush, con una delegazione capitanata, a differenza di altri paesi, non da un presidente o primo ministro, ma dal direttore dell’EPA, anche se era presente una delegazione del Senato statunitense guidata dal democratico Al Gore (in verità, un’altra delegazione senza capo di stato o di governo era proprio quella italiana, guidata dai ministri Gianni De Michelis e Giorgio Ruffolo, del VI governo Andreotti); solo nel 1993 si sarebbe insediata l’amministrazione democratica di Bill Clinton, più simpatetica ai dettami di Rio ma comunque lontana da ogni ratifica, segno di una diffidenza americana molto radicata.

In ogni modo, pur tra compromessi ed azioni di lobby, e con gli Stati Uniti che frenavano direttamente o tramite delegazioni amiche (il Regno Unito, ad esempio), le decisioni prese a Rio sembravano robuste: tre convenzioni internazionali, dette informalmente “globali”, legalmente vincolanti (due firmate a Rio, la Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico e la Convenzione sulla Diversità Biologica; la terza, sulla Lotta alla Desertificazione e siccità soprattutto ma non esclusivamente in Africa, firmata dopo un paio d’anni), e l’Agenda 21, un documento non vincolante, ma corposo e dettagliato nel tentativo di dare indicazioni complete su come conseguire una sviluppo sostenibile nei diversi casi ed ai vari livelli. La definizione di questo obiettivo/paradigma era stato il concetto ispiratore degli impegni intrapresi e del quadro generale; ma proprio in questo risiedeva forse uno degli ostacoli, come vedremo meglio più sotto.

Si credeva allora che l’implementazione di questi strumenti, dopo la loro approvazione e ratifica, sarebbe seguita, e che altri strumenti successivamente concordati avrebbero rafforzato il quadro generale (strumenti sulle foreste, sulle risorse idriche, sul mare, collegamenti con altri “fori” come la FAO, l’UNESCO, il WMO, ecc.). In effetti, l’implementazione c’è stata, ma limitata essenzialmente al piano eco-diplomatico e formale, scandito da strumenti inesigibili: il Protocollo di Kyoto sul controllo delle emissioni di gas a effetto serra, il Protocollo di Cartagena sul trasferimento transfrontaliero di “organismi viventi modificati” preparati grazie alle moderne biotecnologie, ecc.

Sono passati da allora venti anni e, in maniera un po’ liturgica, le scadenze di Rio +5, +10 e +15 si sono susseguite, prendendo atto che i risultati sul campo, laddove esistenti, sono stati scarsi oppure chiaramente non collegati agli strumenti di Rio ma dovuti ad altri fattori. Le peripezie dei dettami di Kyoto sono note a tutti, messi in crisi non solo dalla posizione degli USA ma da quella dei grandi paesi emergenti. Anche sulla biodiversità le note positive non ci sono state (tranne che, paradossalmente, nei paesi del nord grazie all’abbandono dei terreni marginali per l’agricoltura ed il ritorno, spontaneo o per riforestazione, dell’espansione della foresta boreale e temperata). I successi registrati sono stati semmai comunicativi, formativi e culturali, per la presa di coscienza di alcune problematiche, anche superando un certo conservatorismo accademico; ma pagando lo scotto di un verbalismo “politically correct” ed incorrendo in inaccettabili prese di posizione come quella emersa contro Israele.

Le possibili ragioni di un insuccesso
Come accennato, il deludente esito di Rio +20, e soprattutto il fallimento di ogni tentativo credibile di introdurre nuovi strumenti vincolanti e rendere realmente vincolanti (“enforcement”) quelli esistenti, specialmente nei riguardi degli aspetti finanziari a carico dei paesi industrializzati, era ormai largamente atteso, ma veniva interpretato come dovuto ad una carenza di volontà da parte di Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Germania, Giappone e qualche altro, soprattutto nei riguardi del Protocollo di Kyoto, in un quadro più generale di diminuzione di tensione. La posizione politico-culturale dominante negli organi delle Nazioni Unite e delle Convenzioni – una sorta di mix di “neoliberismo” controllato dallo stato, impegno “verde”, multilateralismo terzomondista – comunque riteneva che a Rio +20 la situazione potesse essere recuperata e rilanciata in termini didascalici, fornendo nuovo impeto, grazie ad un cerimoniale accuratamente preparato, alla pressione delle ONG, ed alla messa in mora dei “cattivi”. Ma così non è stato: la mediazione dell’ONU e del Brasile ospitante non ha accontentato quasi nessuno, l’insuccesso è stato riconosciuto e denunciato dal “nord” e dal ”sud”.
L’errore commesso dalla burocrazia ONU – ossia dalla CSD (Commission on Sustainable Development) e dall’UNEP (United Nations Environmental Programme), in prima fila - e dai “burocrati dell’ambiente”, annidati nei ministeri e uffici e talvolta in contrasto con i loro stessi governi e con le rispettive opinioni pubbliche, è stato evidente: quello di interpretare le difficoltà come dovute a cattiva volontà politica ed alla difesa di interessi nazionali ed aziendali – cosa in parte vera ma non sufficiente – senza sottoporre ad analisi critica l’impostazione generale del processo di Rio.

Per prima cosa, non si è capito che la crisi ambientale in certe regioni sta peggiorando, anche a causa di fenomeni finora trascurati o inattesi (la grande nube scura di inquinamento associata con i monsoni invernali sopra India e Asia del sud-est, la deforestazione nelle regioni tropicali, lo spostamento latitudinale delle zone siccitose e aridificate, la catastrofe nucleare di Fukushima a seguito di uno tsunami, il ruolo sempre maggiore degli incendi), anche se altrove (ad esempio, in Nuova Zelanda, Canada, Australia) lo stato dell’ambiente migliora (riduzione dell’inquinamento atmosferico e marino da parte dei paesi industrializzati). Comunque, sembra non ancora acquisito da parte dei decisori il concetto che i fenomeni del degrado ambientale sono di origine multifattoriali, e le iniziative spesso continuano ad essere frammentate secondo un approccio a matrice in uno spazio non correttamente definito.

Eppure, negli ultimi anni, critiche motivate hanno cominciato ad emergere e diversi possibili errori di impostazione sono stati segnalati. Un primo errore può riguardare la scelta di porre da sola al centro dell’attenzione la questione energetica, pur tuttavia importantissima dal punto di vista dello sviluppo umano, ma molto governata da fattori geopolitici e speculativi. Questa scelta è stata aggravata dall’interpretazione della questione energetica essenzialmente come questione climatica (Protocollo di Kyoto), su basi scientifiche che non si sono mai completamente affermate e che tuttora sono contestate da diverse parti. A leggere bene il dibattito, si può rilevare che non è tanto il cambiamento climatico ad essere messo in discussione, rivendicata una giusta considerazione per i cambiamenti climatici del passato e la esistenza di numerosi fattori, naturali ed antropici, capaci di co-indurre e influenzare il cambiamento climatico; quanto l’importanza relativa della relazione CO2-clima e quindi della responsabilità antropiche. I critici ritengono che sarebbe stato più semplice affrontare il problema del cambiamento climatico separatamente da quello energetico, e comunque in termini di mitigazione e adattamento e non di prevenzione. In tal caso, il problema energetico verrebbe ricondotto ai suoi termini geopolitici e, sul piano dei consumi, all’innovazione, al risparmio ed all’efficienza energetica.

In questa visione critica, anche la questione della biodiversità non è stata posta correttamente. Per prima cosa, la conservazione e l’uso sostenibile avrebbero dovuto riguardate primariamente la biodiversità ecosistemica, paesaggistica e nei suoi aspetti territoriali (e non secondo i desiderata del “popolo dei panda e dei parchi”). Una contraddizione questa che passa anche all’interno di una ONG di “conservazionismo scientifico” come l’IUCN (International Union for Conservation of Nature), che oscilla tra l’impegno sulla “lista rossa delle specie in pericolo” ed il cosiddetto approccio ecosistemico. Una visione riduttiva della questione della biodiversità ha peraltro concorso al far sì che la relativa convenzione non fosse quella centrale al processo di Rio. Questa convenzione, invece di affrontare il problema chiave della gestione degli ecosistemi, ha preferito dedicarsi al Protocollo di Cartagena, concessione ai timori verso le biotecnologie espressi da alcune ONG nelle nazioni industrializzate. Di converso, un impegno sulla biodiversità indirizzato verso gli ecosistemi sarebbe stato interessante in quanto avrebbe sottolineato gli aspetti territoriali della crisi ambientale. In tal modo, si sarebbe potuto comprendere la differenza operativa profonda tra la devastazione dell’ambiente causata da un intervento antropico sregolato e la modificazione dell’ambiente perseguita in modo sostenibile.

Questa scelta di porre la questione territoriale al centro dell’attenzione avrebbe potuto essere portata avanti sia dando maggior centralità alla Convenzione sulla Biodiversità,  sia utilizzando la terza convenzione, sostituendo alla lotta contro la desertificazione una più generale lotta contro il degrado del territorio. Quest’ultima scelta sarebbe però stata politicamente improponibile in quanto si sarebbe scontrata con le richieste degli stati africani e dei paesi in via di sviluppo.

Dopo questi errori di impostazione, vanno riconosciuti diversi problemi operativi che hanno concorso agli esiti insoddisfacenti. Errori di comunicazione prima di tutto: un catastrofismo che ha finito per irritare l’opinione pubblica e per essere smentito da molti autori scientifici. Un uso a sproposito di alcuni termini, come ”sostenibilità”, “desertificazione”, e “impronta ecologica”, ha avuto impatti negativi. La stessa comparsa di Al Gore (con l’incredibile assegnazione del premio Nobel per la pace) ha generato entusiasmi nei circoli degli attivisti, ma ha avuto scarso effetto o addirittura effetti controproducenti sull’opinione pubblica. Si è infine notata una presenza sempre minore degli scienziati, sostituiti gradualmente, nel sistema delle Nazioni Unite e in sedo istituzionali come la Commissione Europea, da “tecnici”, intendendo con questo termine di recente entrato nell’uso funzionari, giuristi, eticisti, economisti e sociologi, come distinti dai cultori delle scienze naturali.

I costi del sistema delle Nazioni Unite e il mancato coordinamento fra le agenzie dell’ONU e fra le convenzioni, più volte ma invano richiesto, hanno anche incrementato il tono e il numero delle critiche. La crisi finanziario-economica sta facendo la sua parte e, in modo paradossale, sta producendo una diminuzione degli impatti sull’ambiente a seguito del calo della produzione e dell’espansione industriale e urbana.

Qualche prospettiva per il futuro
Non è chiaro, a questo punto, quale possa essere l’avvenire del processo di Rio. L’impressione generale è che esso non possa essere riformato ma neanche del tutto abbandonato. Se da una parte si riconosce da più parte che il consenso globale che era stato raggiunto non è più esistente, dall’altra appare evidente che una rete è stata creata e che, accanto ad una gestione burocratica centralizzata, si è affermata la formazione di un sistema flessibile e potenzialmente in grado di evolversi nel contesto di un cambiamento globale in corso ma dai confini e dettagli incerti.

Alcuni approcci di analisi sono stati messi a disposizione di ricercatori e decisori. Uno di questi è la visione dei processi della biosfera (anche) in termini di flussi di capitale: alcune multinazionali si sono dimostrate interessate a questo approccio. E ancora: molti governi, gli stessi che si sono rifiutati di prendere impegni di cooperazione onerosa, stanno prendendo in considerazione l’indicazione di attribuire un maggior valore alla natura ed eventualmente di modificare il PIL in modo da includervi i fattori di “valore” ambientale e sociale, i costi dei servizi ambientali e delle esternalità. Questo approccio non è certamente nuovo, ma ha il pregio di superare alcune posizioni ideologiche “verdi” affermatesi a Rio, o meglio di rendere possibile l’utilizzazione sia di concetti di mercato, sia di concetti “radicali verdi”, sia di approcci scientifici relativamente nuovi (come l’approccio ecosistemico).

L’esperienza degli ultimi decenni sembra mostrare che, davanti a problemi così complessi ed articolati, le grandi conferenze planetarie non costituiscano l’approccio migliore per trovare un accordo, se non altro per la presenza di diversi e ben radicati interessi nazionali, e quindi per la difficoltà di raggiungere una unanimità consensuale. In altre parole, in alcune parti si sta affermando la strada basata sull’affrontare i singoli casi uno per uno, con approcci più pragmatici e locali, con la partecipazione non solo dei governi, ma delle imprese e degli scienziati – alla ricerca di tecnologie che possano aiutare a trovare le soluzioni opportune – e degli altri “stakeholders”.

Peraltro, superare le incrostazioni ideologiche e gli interessi lobbystici di alcune industrie come degli attivisti di professione non sarà facile. Vi è poi un caveat grande come un macigno: il futuro dell’ambiente e della sostenibilità come potrà disegnato dalla fuoriuscita dalla grande crisi economico-finanziaria di questi tempi – quando e come essa si verificherà. La sostenibilità ambientale del futuro dipenderà da come si ricostituirà il rapporto fra sviluppo, mercato e democrazia; ma è opportuno fin da adesso, in modo empirico e utilitaristico, impegnarsi per far sì che, questa volta, la conservazione, l’uso sostenibile e l’equa condivisione dei benefici (e dei costi) – o, se si vuole cambiare terminologia, un uso assennato, giustificato e conservativo delle risorse naturali biotiche e abiotiche - siano fin da subito degli obiettivi dovuti e concreti.         

 

Bibliografia e sitologia

C.J. Castro. Sustainable development: Mainstream and critical perspectives. Organization Environment 17: 195-225, 2004.

B. Chameides. Did the Kyoto Protocol miss the target. The GreenGrok, Duke, Nicholas School of the Environment (2009).
www.nicholas.duke.edu/thegreengrok/kyoto

J. Confino. Rio +20: The Earth Summit diaries. The Guardian, 21 June, 2012.

European Commission. Strategy on the sustainable use of natural resources. Communication, 21 December 2005/
europa.eu/legislation_summaries/environment/sustainable_development/l28167_en.htm

EPA – US Environental Protection Agency. Causes of climate change. 2012.
www.epa.gov/climatechange/science/causes.html

E.H. Gimenez. Green grabbing our future at Rio +20. The Huffington Post, 21 June 2012.

M.H.Glantz and N. Orlovsky. Desertification: A review of the concept. Desertification Control Bullettin 9: 15-22, 1983.

IISD  Internatiomal Institute for Sustainable Development. UNCSD (Rio +20) Concludes: Conference Reporting, 2012.
www.iisd.org/rio/

IPBES – Intergovernmental Platform on Biodiversity & Ecosystem Services.
www.ipbes.net/about-ipbes.html

IPCC – Intergovernmental Panel of Climate Change. Data Distribution Center. Assessment Reports.
Ipcc-data.org

T. Kuellerle, P, Olofsson, O. Chaaskovskyy, M. Baumann, K. Ostapowicz, C.E. Woodcock, R.A. Houghton, P. Hosteri, W.S. Keeton and V.C. Radeloff. Post-Soviet farmland adandonment, forest recovery, and carbon sequestration in Western Ukraine. Global Change Biology (2010), doi: 10.1111/j.1365-2486.2010.02333.x

S. Lavorei, M.D. Flannigan, E.F. Lambin and M.C. Scholes. Vulnerability of land systems to fire: Interactions among humans, climate, the atmosphere and ecosystems. Mitigation and Adaptation Strategies for Global Change 12: 33-53, 2007.

B. Lomborg. The Skeptical Environmentalist. Cambridge University Press, Cambridge, 2001.

E. Maltby, H. Holdgate, M.Acreman and A. Weir. Ecosystem Management: Questions for Research and Policy. RHIER, London, 1998.

M. McDonald. U.N. report from Rio on environment a ‘suicide note’. IHT Rendezvous Blog, 24 June 2012.
rendezvous.blogs.nytimes.com/2012/06/24/u-n-report-from-rio-on-environment-a-suicide-note/

D. Meek. Rio +20 and the People’s Summit: Dialogic or disconnected spaces? Antipode, 12 July 2012.
antipodefoundation.org/2012/07/12/rio20-and-the-peoples-summit-dialogic-or-disconnected-spaces/

NASA – National Aeronautics and Space Adminstration. Global climate change: Unresolved questions about Earth’s climate. 2012.
climate.nasa.gov/uncertainties/

S. Nelson. Rio +220, climate change, and critical scholarsship: Beyond the critique of ‘green neoliberalism’. Antipode, 12 July 2012.
antipodefoundation.org/2012/07/17/rio20-climate-change-and-critical-scholarship-beyond-the-critique-of-green-neoliberalism/

L.M. Padovani, P. Carrabba F. Mauro. L’approccio ecosistemico: Una proposta innovativa per la gestione della biodiversità e del territorio. Energia Ambiente e Innovazione n. 1 (2003).

L.M. Padovani, P. Carrabba, B. Di Gioavanni and F. Mauro. Biodiversity: An assessment of the implementation of the convention in Europe. Energia Ambiente e Innovazione n. 3 (2011).

L.M. Padovani, P. Carrabba, B. Di Giovanni and F. Mauro. Biodiversity: Two decades of International Convention: Where things stand. Energia Ambiente e Innovazione n. 4-5 (2011).

S.J. Scherr. Reflections on Rio: Encouraging cloud over the Earth Summit. The Huffington Post, 10 July 2012.

R. Smeraldi. L’ultima conferenza del XX secolo. L’Astrolabio, 26-06-2012.
www.astrolabio.amicidellaterra.it/node/212

R.D. Smith and E. Maltby (eds.). Using the Ecosystem Approach to Implement the CBD. Royal Hollowey, University of London, London (2001).

S. Sullivan. Banking nature? The financializatio of environmental conservation. OAC Pree: Working Papers Series #8, 2011.
openanthcoop.net/press/2011/03/11/banking-nature/

S.Sullivan. Banking nature? The spectacular financialisation of environmental conservation. Antipode, 30 March 2012.
onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1467-8330.2012.00989.x/references

United Nations Conference on Sustainable Development, Rio de Janeiro, 2012. The Future We Want (conclusive document). www.uncsd2012.org/content/documents/727The%20Future%20We%20Want%2019%20June%201230pm.pdf

J. Watts and J. Ford. Rio +20 Earth Summit: Campaigners decry final document. The Gardian, 22 June 2012.

Stampa Email

Commenta e Condividi

 Immaginando

L'Astrolabio

progetto editoriale di
Amici della Terra

l'Astrolabio © 2015
ISSN 2421-2474

Periodico di informazione sull’energia, l’ambiente e le risorse
Testata registrata presso il Tribunale di Roma
Aut. Trib. di Roma del 22/04/1996 n. 189

Direttore Responsabile:
Aurelio Candido

Redazione e Amministrazione:
Via Ippolito Nievo 62 -
00153 Roma - Tel. 06.6868289
06.6875308

Amici della Terra

Seguici