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GOVERNO DELL’AMBIENTE

La Questione Ambientale e il Populismo (Ambientalista e No)

di: Tommaso Franci
In un contesto di attenzione alle tematiche ambientali senza precedenti, si manifesta l’inadeguatezza dell’ecologismo politico che lascia un pericoloso spazio al populismo ambientalista.


L’attenzione alla questione ambientale ha raggiunto un massimo di intensità, raramente registrato, presso opinione pubblica, media, istituzioni, e mondo delle imprese. L’attenzione non si concentra solo sul tema dei cambiamenti climatici, ma anche su altri temi come la plastica nei mari, gli incendi nelle foreste e l’inquinamento atmosferico.  A livello politico-istituzionale, nonostante il vento populista, si registra uno spazio di intervento, senza precedenti, per la messa in atto di politiche ambiziose di sostenibilità che potrebbero godere del sostegno e del coinvolgimento attivo di cittadini e imprese. In questo contesto si manifesta però una incapacità dell’ecologismo politico, sia a livello di partiti ecologisti che di organizzazioni non governative ambientaliste, di esercitare un ruolo attivo per cogliere i risultati importanti che potrebbero essere conseguiti. Tale scenario fa prefigurare che le occasioni offerte da questo contesto potrebbero essere perse o colte senza un ruolo significativo dell’ecologismo politico. Queste dinamiche emergono a partire dallo scenario internazionale, sono evidenti nel quadro politico della UE e si impongono anche in quello della nuova fase della vita politica italiana con la formazione del nuovo Governo (Conte Bis).

 

Complessità della questione ambientale e fughe dalla realtà

A livello internazionale sia nella percezione dell’opinione pubblica che nell’agenda istituzionale si stanno imponendo anche altre tematiche ambientali oltre a quella dei cambiamenti climatici, ed in particolare quella degli incendi delle grandi foreste in varie parti del pianeta a partire da quella amazzonica, quella dell’inquinamento da plastiche dei mari, e quella dell’inquinamento atmosferico. Ciò potrebbe offrire la possibilità di superare l’approccio catastrofistico-emergenzialista che riduce tutta la questione ambientale al contrasto ai cambiamenti climatici, che oggi nella percezione dell’opinione pubblica occidentale è rappresentato dall’immagine di Greta Thumberg e dal movimento dei “Fridays for future”.

Il dibattito internazionale sul tema degli incendi e il tema della deforestazione nei paesi in via di sviluppo emergenti ha fatto emergere la complessità di un tema che per essere affrontato richiede meccanismi di cooperazione intergovernativa e la necessità di strategie che coinvolgano anche le popolazioni rurali e le loro aspettative di miglioramento della vita nei paesi interessati. E’ emerso inoltre con chiarezza che il problema non riguarda solo governi “cattivi” come quello brasiliano, e non può neanche essere ridotta allo schematismo che vede come uniche colpevoli le grandi imprese capitalistiche inquinatrici ai danni del popolo inquinato.

La necessità di superare approcci semplicistici (ideologici), inadeguati ai meccanismi di cooperazione internazionale che sarebbero necessari per definire e conseguire obiettivi di sostenibilità ambientale con strategie di intervento condivise, richiede ai paesi occidentali di confrontarsi concretamente con regimi non democratici come quello cinese o con sistemi democratici molto diversi da quelli dei paesi occidentali.  Ogni anno si riduce il peso delle emissioni climalteranti dell’UE e aumenta quello di paesi emergenti come quelli asiatici. Una dinamica che rende improponibile qualsiasi schema di cosiddetta giustizia climatica che vorrebbe imporre obiettivi irrealistici e/o non accettabili a interi settori delle società dei paesi occidentali (Gilet gialli), nei paesi che oggi rappresentano una quota sempre più ridotta delle emissioni climalteranti e che stanno conseguendo i maggiori risultati nella loro riduzione.

La tendenza dell’ecologismo politico a non confrontarsi concretamente con la necessità un processo realistico di transizione energetica verso la decarbonizzazione, sia dal punto di vista economico che sociale, e a sposare forzature demagogiche emerge anche in contesti avanzati come quello del dibattito tra gli sfidanti per le primarie dei democratici negli Stati Uniti. Alcuni dei candidati connotati in chiave ecologista sono arrivati proporre il blocco delle attività estrattive di idrocarburi negli USA senza tenere conto del fatto che la domanda di prodotti di petroliferi non può essere eliminata di colpo e che quindi tale fabbisogno verrebbe colmato solo da un aumento delle importazioni senza nessuna riduzione delle emissioni globali.

 

Greta, i verdi europei e Ursula von der Leyen

Oggi il principale simbolo dell’attenzione che esprime la necessità, condivisa da fasce crescenti dell’opinione pubblica, di un salto di qualità nelle politiche di sostenibilità è quello della mobilitazione delle nuovissime generazioni tramite gli scioperi studenteschi dei Friday for future che si identificano nella figura di Greta Thumberg. Questa iniziativa (e il movimento che ha indotto) ambisce ad avere una dimensione globale, ma va ricordato che nasce in Europa ed è in questo contesto che sta principalmente manifestando il suo impatto politico ed istituzionale.  

La nuova presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, è stata eletta dal Parlamento europeo sulla base di un documento programmatico che fissa l’obiettivo di trasformare entro il 2050 l’Europa nel primo continente “carbon neutral”. A questo fine Ursula von der Leyen ha proposto di innalzare l’obiettivo UE 2030 di riduzione delle emissioni climalteranti dall’attuale 40% ad almeno il 50%, e per fare questo prevede un nuovo rafforzamento del meccanismo ETS con il coinvolgimento dei trasporti aerei e marittimi. Contemporaneamente il documento propone, per contrastare le dinamiche di carbon leakage, l’introduzione di una “Carbon Border Tax” coerente con le regole del WTO partendo dai settori più interessati. Oltre ai temi di politica energetico ambientale il documento, nella prima parte che ha come titolo “A European green deal”, propone: un rilancio delle politiche per la tutela della biodiversità integrata con una nuova politica di sviluppo rurale; un nuovo piano di azione per l’economia circolare, la piena attuazione della direttiva sulle plastiche usa e getta, e un piano di investimenti verdi per un Europa sostenibile.  

L’impegno assunto dalla nuova presidente della Commissione UE è quello di dare corpo ad una strategia per un “European green deal” che dovrebbe essere presentata e definita nel mese di settembre.

Le elezioni europee hanno dato conferma della crescente attenzione dell’opinione pubblica alla questione ambientale anche con un diffuso successo (ad eccezione dell’Italia) delle liste dei partiti verdi che hanno registrato importanti risultati. Ciò ha rafforzato il numero dei deputati verdi nel PE che costituiscono oggi uno dei principali gruppi, che sembrava destinato ad avere un ruolo nella nuova maggioranza europeista che si trova a fronteggiare la crescente presenza di forze populiste nelle istituzioni europee.

Invece, a fronte del successo elettorale delle liste dei partiti Verdi e dell’ambizioso rilancio delle politiche per la sostenibilità ambientale proposto dalla nuova Presidente della Commissione, i Verdi europei sono rimasti fuori dalla maggioranza che ha determinato gli assetti del Parlamento ed eletto il nuovo presidente della Commissione; e sembrano destinati a restare fuori anche dalla Commissione. Oggi, nel momento in cui emergono critiche sulle eccessive ambizioni del programma “verde” della van der Leyen appaiono difficilmente comprensibili le ragioni con cui i verdi europei hanno motivato il mancato sostegno alla sua candidatura accusando di “debolezza” le proposte della neopresidente in campo ambientale.

 

Sensibilità ambientale dei cittadini e populismo ambientalista nella sfida del governo in Italia

La crescente sensibilità ambientale dei cittadini italiani è testimoniata da fenomeni di massa come la diffusione di scelte di consumo consapevole nell’alimentazione e dalla crescente disponibilità a cooperare nella prevenzione della produzione di rifiuti. Questi trend sono da tempo sostenuti da un costante e consistente flusso di informazioni che i principali media offrono al pubblico italiano, anche se troppo spesso sull’onda del sensazionalismo e senza un adeguata verifica tecnico scientifica. Ciò ha fatto crescere accanto ad una corretta sensibilità per la questione ambientale, anche un populismo ambientalista che privilegia miti e tabù senza fondamenti, la cui diffusione impedisce la messa in atto degli interventi necessari per conseguire gli obiettivi di sostenibilità indispensabili per il nostro Paese. Gran parte della mobilitazione e della sensibilità ambientale è stata intercettata in Italia da istanze come la cosiddetta ripubblicizzazione dei servizi idrici, rifiuti-zero, tabù del recupero energetico nella gestione dei rifiuti, referendum sulle trivelle, opposizione a infrastrutture essenziali per lo sviluppo della mobilità sostenibile come i treni ad alta velocità. Queste istanze sono state assunte dalla proposta del M5S, che ha ulteriormente svuotato i verdi italiani del Sole che ride, già marginalizzati da tempo per la loro sostanziale subalternità ai canoni del populismo ambientalista.

I successi elettorali del M5S hanno portato in evidenza nell’agenda delle istituzioni italiane i temi del populismo ambientalista. Ciò è avvenuto già con il primo governo Conte in cui il M5S aveva una quasi completa esclusiva dei principali di ruoli di Governo sulle tematiche ambientali che nella logica spartitoria del contratto di Governo ha visto il totale disinteresse per questo ambito da parte della Lega, se non in chiave strumentale.

Il PD, nuovo alleato del M5S nel Governo Conte Bis, è portatore di una caratterizzazione significativa ma anche contraddittoria sulle tematiche ambientali. Il segretario del PD e presidente della Regione Lazio è al centro della cooperazione tra Ministero dell’Ambiente, Regione Lazio e Roma Capitale che continua a tenere in piedi il grottesco caso di malagestione dei rifiuti a Roma. Situazione che, per subalternità al tabù dell’incenerimento, ha portato all’emergenza permanente, con il maggior ricorso di imperio a discariche di altri territori del Lazio e una crescente esportazione dei rifiuti romani in altre regioni. Una delle principali criticità del primo Governo Conte, oggetto di giusta critica da parte dei parlamentari del PD, è stata l’impostazione burocratico-formalistica del Ministro Costa che sta paralizzando lo sviluppo dell’economia circolare. Col nuovo Governo, c’è il rischio che il caso Roma possa diventare un modello di gestione dei rifiuti urbani e che, con la conferma di Costa al MATTM, continui il blocco di un concreto sviluppo dell’economia circolare che sta già spingendo alcune imprese italiane del settore ad abbandonare il mercato nazionale.

Un banco di prova annunciato è quello della proposta di legge del M5S per la cosiddetta “acqua pubblica” che rischia di compromettere gli importanti risultati del processo di attuazione della riforma dei servizi idrici introdotta con la legge Galli. L’impostazione regressiva della proposta di legge per ”l’acqua pubblica” del M5S prevede un ritorno dei servizi idrici alla gestione dei comuni in condizioni che difficilmente consentiranno gli investimenti necessari a  far funzionare i sistemi di depurazione delle acque reflue con un grado di efficienza accettabile. Ricordo che il nostro Paese è oggetto di procedimenti di infrazione per mancato rispetto delle norme europee che impongono il raggiungimento di standard minimi di qualità ambientale delle acque. Il PD ha una sua proposta di legge sul tema dei servizi idrici. Anche in questo caso, con l’annunciata convergenza in Parlamento tra i contenuti delle due proposte emergerà una sintesi che potrebbe essere regressiva o, invece, positiva e in grado di rilanciare il processo di modernizzazione e riforma dei servizi idrici ormai bloccato da un decennio.

Altro terreno di verifica del nuovo governo sarà l’approvazione definitiva del Piano Nazionale Energia e Clima (PNEC). Il PNEC oggi ha la forma della proposta inviata a Bruxelles a fine 2018 ed è tuttora in una fase di consultazione. La versione definitiva del PNEC dovrà essere inviata alla Commissione UE entro la fine del 2019 e dovrà tenere conto sia dell’esito della consultazione che dei rilievi già espressi a livello della UE.  La proposta di PNEC può rappresentare un buon punto di partenza a condizione che vengano colte tutte le opportunità offerte dall’applicazione del principio #primalefficienza sancito dal Clean Energy Package della UE. Per fare ciò è indispensabile che vengano adottati strumenti adeguati per conseguire gli ambiziosi obiettivi 2030 relativi all’efficienza energetica e alle rinnovabili termiche, già indicati nel documento, evitando di ripetere gli errori compiuti in passato con politiche che hanno privilegiato solo le rinnovabili elettriche intermittenti. Nuove politiche per la diffusione degli usi efficienti del vettore elettrico, una strategia di riqualificazione energetica degli edifici e un rilancio dei certificati bianchi sono ambiti prioritari su cui è necessario un salto di qualità per conseguire gli impegni europei 2030 senza penalizzare l’economia e l’occupazione e, anzi, sostenendo i settori più promettenti dell’industria nazionale.

A livello programmatico, il nuovo esecutivo Conte sembra affermare in modo ancora più forte l’importanza delle tematiche ambientali nell’azione di Governo. Ma il rischio che, invece di sintesi virtuose tra il M5S e i nuovi alleati, prevalgano i limiti e le contraddizioni di politiche ambientali deboli è elevatissimo.

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