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COMMISSARIAMENTO IN SICILIA PER ACQUA E RIFIUTI

Due Calamità Poco Naturali

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Il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza in relazione alla situazione di criticità in atto nel territorio della Regione Siciliana nel settore dei rifiuti urbani e in relazione alla crisi idrica in atto nel territorio della Città metropolitana di Palermo. Commissario delegato è stato nominato il presidente della Regione, Nello Musumeci, che sarà coadiuvato da due prefetti in qualità di coordinatori su ciascuna delle due emergenze.


In Sicilia, l’emergenza rifiuti, dichiarata ufficialmente dal governo nel luglio 2010 conferendo poteri speciali di spesa e di emissione di ordinanze contingibili e urgenti da parte del presidente della Regione, è diventata la normalità e il problema è sempre lì. È stato lo stesso Musumeci a riconoscere che “parlare di emergenza di fronte ad un problema che si trascina da vent'anni è fare un torto alla lingua italiana. Preferisco usare un ossimoro, un’emergenza strutturata”.

In base agli accertamenti del ministero dell’Ambiente, in Sicilia c’è un fabbisogno teorico di incenerimento dei rifiuti pari a 699.404 tonnellate annue e ad oggi c’è una capacità di incenerimento complessiva pari a zero, mentre va in discarica oltre l’80% dei rifiuti.

Il ministero dell’Ambiente aveva proposto due termovalorizzatori, la Regione ha optato per sei di minori dimensioni. Ma è tutto fermo. La Regione deve ancora approvare l’aggiornamento del suo piano rifiuti del 2012. Intanto, nel 2016, nelle nove discariche siciliane sono finite 1.923.520 tonnellate di rifiuti.

Secondo i dati del Rapporto sui rifiuti urbani dell’Ispra, nel 2016 la percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani a livello nazionale è stata del 52,5%, con grandi differenzetra le varie aree geografiche del Paese: 64,2% al Nord, 48,6% al Centro e 37,6% al Sud. La regione con la più alta percentuale di raccolta differenziata è il Veneto con il 72,9%, seguita dal Trentino Alto Adige con il 70,5%. La Sicilia si piazza all’ultimo posto, con il 15,4%. La provincia italiana con la raccolta differenziata più bassa è quella di Palermo, con il 7,8%.Per quanto riguarda le città con più di 200.000 abitanti, la percentuale più alta di raccolta differenziata si registra a Milano (57,6%), seguita da Venezia con il 57%. Palermo, il cui dato risulta in contrazione rispetto all’8,1%  del 2015, si colloca all’ultimo posto con il 7,2%. Di poco superiori al 10% sono i tassi di Messina (11,2%) e Catania (10,3%).

In Sicilia, gli impianti di compostaggio dei rifiuti umidi sinora autorizzati sono 47, quelli realizzati sono 18, quelli effettivamente funzionanti sono solo 8. Otto su 47 autorizzati. E così l’umido che si raccoglie in diverse parti dell’Isola finisce comunque in discarica o deve percorrere grandi distanze per raggiungere gli impianti in cui viene trasformato in compost, con costi assolutamente antieconomici.

E adesso il presidente della Regione Sicilia Musumeci cosa farà come commissario per un anno, visto che le discariche siciliane sono al collasso, con un tempo di vita residuo di sette-otto mesi, che nel caso di quella palermitana di Bellolampo sono ancora meno? Si cercherà di prendere tempo, ampliando intanto la discarica di Bellolampo con la realizzazione di una settima vasca e quelle di Sicula, Sciacca e Trapani.

Sempre per prendere tempo, la metà delle 5.000 tonnellate di rifiuti che ogni giorno finiscono in discarica verranno dimezzate, mandando il resto fuori dalla Sicilia. In altre regioni pare difficile, dato che le resistenze sono molte. Resta la soluzione dell’estero, con maggiori costi e altri problemi, perché, come ha spiegato Musumeci presentando il proprio programma, bisogna usare le navi e nei porti siciliani non sempre c'è la possibilità di fare questo tipo di imbarco. In ogni caso, nelle discariche siciliane e all’estero non dovranno andare rifiuti che non siano stati pretrattati e allora si dovrebbero realizzare due nuovi impianti per il trattamento meccanico biologico, di cui uno in un sito già bocciato dal ministero dell’Ambiente per motivi paesaggistici, quello messinese di contrada Pace, in cui sorgerebbe in questo modo anche una discarica cosiddetta “di servizio” all’impianto.

Mettendo insieme questi interventi preannunciati, si nota che Musumeci non delinea alcuna nuova politica e non pronuncia mai una parola: termovalorizzatori. Si parla di più raccolta differenziata, come se questo potesse risolvere il problema, di spedizione di rifiuti all’estero, di allargamento di discariche, di impianti di trattamento meccanico biologico, che servono solo a cambiare il codice dei rifiuti, consentendo di continuare a mandarli in discarica. Facendo finta di dimenticare quel che la realtà certifica e che anche l’Ispra nota anno dopo anno nei suoi rapporti sui rifiuti e cioè che le maggiori percentuali di raccolta differenziata si hanno in quelle regioni che hanno termovalorizzatori e che hanno relegato le discariche a un ruolo marginale.

Per quanto riguarda l’emergenza idrica nel palermitano, nel capoluogo si va verso il razionamento dell’acqua, a causa della situazione dei quattro invasi della zona, che hanno riserve molto ridotte. E se Palermo è in coda alla classifica delle città italiane per quanto riguarda la raccolta differenziata dei rifiuti, è nel gruppo di testa, subito dopo Potenza, Campobasso e Cagliari, tra i capoluoghi di regione per quanto riguarda le perdite della propria rete idrica, a causa di corrosione, deterioramento, rotture nelle tubazioni o giunzioni difettose. Come riporta l’Istat (Annuario statistico italiano 2017), se si confrontano la quantità di acqua potabile immessa nella rete idrica palermitana con la quantità dell’acqua effettivamente erogata, si scopre che nel 2015 le perdite della rete idrica di Palermo sono state pari al 55% dell’acqua immessa. All’estremo opposto c’è ancora una volta Milano, con il 17% di perdite della rete idrica.

Al problema della vecchiaia e della mancata manutenzione della rete idrica, a Palermo si aggiungono i problemi di cattiva gestione, comuni a tutta la Sicilia, dove le disposizioni in materia di gestione unitaria del servizio idrico integrato prevista dalla legge n. 36/94, nota come “legge Galli”, non trovano applicazione in alcuna Provincia, con una conseguente frammentazione delle gestioni e uso inefficiente delle risorse. Ad esempio, solo nel marzo 2017 si è riusciti a riparare parzialmente l’acquedotto di Scillato, recuperando all’incirca 350 litri al secondo. Cgil e Filctem ricordano che avevano denunciato sin dal giugno 2010 come dall’acquedotto di Scillato venissero dispersi nell’ambiente ben 700 litri di acqua al secondo, “di ottima qualità, che potevano arrivare alla città per caduta, senza alcun costo di energia elettrica e preservando, in un’ottica di elementare programmazione, le scorte dei bacini, fondamentali per prevenire ed eventualmente gestire tranquillamente le emergenze”.“In otto anni sono stati buttati a mare 100 milioni di metri cubi d'acqua potabile – aggiunge la Femca Cisl - provenienti da una sorgente nota per le sue caratteristiche, tanto che recentemente il comune di Scillato ha formalizzato le procedure di aggiudicazione per l'imbottigliamento per scopi commerciali. Nulla è stato fatto per risolvere definitivamente il problema, se non un intervento tampone nel 2017 che ha riportato in condotta solo una parte di quest'approvvigionamento idrico.”

La gestione dell’acqua da parte dell’Amap, la società a capitale interamente pubblico che gestisce il servizio idrico per 35 comuni dell’area metropolitana palermitana, viene messa sotto accusa anche per i numerosi impianti di sollevamento realizzati lungo i fiumi, che sono costati moltissimo e che non vengono utilizzati in alcun modo, con la conseguenza che l’approvvigionamento avviene tramite le dighe, a cui si dovrebbe ricorrere solo in casi eccezionali e non come prima fonte.

E ora cosa farà Musumeci, con i poteri straordinari di commissario? Per l’emergenza immediata, il presidente-commissario intende “attivare il collegamento con un acquedotto che è ai confini della provincia di Palermo, con una copiosa quantità di acqua che andrebbe immessa nella rete che serve Palermo. Questo ci consentirebbe di risolvere momentaneamente l’emergenza idrica sul capoluogo siciliano”.

Per il resto, è difficile che problemi strutturali, che si trascinano da decenni, possano essere risolti come d’incanto da un commissario in carica per un anno. Negli anni ’80, gli Amici della Terra produssero un dossier sul problema dell’acqua in Italia e un capitolo era dedicato proprio alla Sicilia. Scritto trent’anni fa è tragicamente attuale e le proposte che venivano avanzate sono utili ancora oggi. Si diceva che in Sicilia era necessaria “una programmazione comprendente:

a) una sana gestione di tutte le strutture, con particolare attenzione allo svecchiamento delle reti idriche e all’eliminazione delle perdite d’acqua che aggravano la situazione;

b) il ricorso a riserve con nuovi laghi artificiali;

c) la riutilizzazione, per usi diversi, di acque di scarico urbane, opportunamente depurate;

d) la dissalazione dell’acqua del mare”.

Leoluca Orlando, che ha iniziato a fare il sindaco di Palermo nel 1985, definisce la crisi idrica attuale uno “stato di calamità naturale”. Molto comodo. In realtà, l’emergenza idrica e quella dei rifiuti in Sicilia sono calamità che di naturale hanno ben poco. Sono per intero calamità politiche.

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