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END OF WASTE
Fatela Più Semplice

- di: Giovanni Barca
- Al contrario di tante enunciazioni in favore dell’economia circolare, il governo Conte 1 era riuscito a bloccare interi settori industriali coinvolti concretamente in processi di recupero di materia. Ora speriamo che il governo Conte 2 si decida a semplificare la normativa affidandosi agli organi tecnici. Gli Amici della Terra rinnovano la propria proposta in questo senso.
La normativa comunitaria (e, di conseguenza, quella italiana) ha sempre avuto come obiettivo principale quello di impedire la dispersione incontrollata dei rifiuti nell’ambiente, nella consapevolezza che il loro abbandono sia dannoso anche per la salute dell’uomo. Per questo motivo, ogni fase della gestione dei rifiuti è codificata e soggetta a complicati passaggi amministrativi, oltre che a rigorosi controlli. Ogni tipo di rifiuto urbano, speciale o pericoloso ha un suo codice di catalogazione (codice CER) a seconda del quale corrispondono specifici obblighi e passaggi burocratici.
Contestualmente, è chiaro che una parte sostanziale della corretta gestione dei rifiuti è costituita dalla possibilità di recuperare i rifiuti utilizzando tutto il recuperabile in altri cicli produttivi o attività, nella consapevolezza che le risorse sono finite e che non bisogna sprecare nulla. Questo concetto è sempre stato presente nelle direttive sui rifiuti, ben prima di codificare il relativo processo, in maniera più organica, nella così detta “economia circolare”.
Proprio per agevolare il recupero dei rifiuti, tali attività hanno sempre beneficiato di procedure semplificate e meno impegnative tanto che le relative autorizzazioni non sono gravate da costose polizze fideiussorie a garanzia della correttezza delle operazioni da compiere e sono soggette a controlli meno serrati. Gli impianti di recupero dei rifiuti beneficiano normalmente di una minore contrarietà da parte di cittadini e amministratori rispetto a quelle di smaltimento vero e proprio poiché considerate, a torto o a ragione, meno dannose.
Tuttavia il passaggio più rassicurante si ha quando il “rifiuto” perde completamente tale definizione ed entra nel campo delle materie prime, la cosiddetta End of Waste. Anche questa fattispecie è affrontata da tempo nelle direttive comunitarie che ritengono del tutto inutile gravare queste frazioni di procedimenti complicati, quando sono in tutto e per tutto simili ad analoghe materie prime ed il loro riutilizzo non produce pericoli per la salute dell’uomo. La normativa rifiuti prevede che materiali sostanzialmente privi di sostanze inquinanti, sicuramente impiegati in altro ciclo produttivo e con un valore di mercato, possa perdere la classificazione giuridica di rifiuto.
Il nostro paese, povero di materie prime, ha sempre cercato di valorizzare gli scarti tanto è vero che alcuni distretti produttivi nascono e fanno fortuna sul recupero di materiali destinati all’abbandono: i cenci di Prato che producono tessuti e i rottami ferrosi di Brescia che producono tondino di ferro.
Purtroppo, da un punto di vista normativo, il legislatore italiano, è rimasto sempre in bilico tra la necessità di assecondare il recupero di materiali e la paura di esser troppo permissivo e ha fatto molta fatica ad adeguarsi alle direttive europee. Solo nel 1998, sotto la spinta dell’allora ministro Ronchi, le strutture del Ministero dell’Ambiente, in strettissima collaborazione con quelle regionali, attivarono un percorso virtuoso ma defatigante, per l’individuazione di molte materie prime-seconde, per le quali si definirono in dettaglio le caratteristiche e gli impianti nei quali potevano essere riusate: il DM 5/2/1998, tuttora parzialmente utilizzato.
Successivamente, il Codice ambientale, legge 152 del 2006 – con gli articoli 184 bis (sottoprodotti) e 184 ter (cessazione della qualifica di rifiuto) ha recepito abbastanza bene la Direttiva ma non interviene più in una logica di sistema che definisca un criterio valido in ogni caso. Negli anni successivi, si interviene su casi specifici, per rispondere ad esigenze che si manifestano via via sul territorio, in una logica emergenziale e non di programmazione. Nel 2010, si modifica il 184 bis (sottoprodotti) inserendo i materiali provenienti dagli escavi di alvei di fiumi, laghi e torrenti, ma solo per ragioni di sicurezza idraulica e, nel 2012, si inserisce il digestato da impianti di digestione anaerobica. Nel 2013, si fanno uscire dal regime dei rifiuti talune tipologie di CSS.
In sostanza, dalla fine degli anni 90 in poi, non si è più definito un provvedimento organico e si è preferito agire caso caso per caso eventualmente tollerando che alcune Regioni provvedessero con atti amministrativi propri senza una regia a livello Nazionale. Anche il Governo Conte 1 non è sfuggito a questa logica poiché ha provveduto soltanto a porre rimedio alla specifica tipologia dei pannolini su cui pendeva una sentenza. L’aggravante del Governo Conte 1 è stata quella di contrastare alcune iniziative delle Regioni in una logica che privilegia l’accentramento su Roma di specifici provvedimenti per scarsa fiducia nell’operato dei territori.
Come è noto, la corretta gestione dei rifiuti passa da un insieme di attività industriali complesse: non è conveniente ingabbiarle tutte in schemi rigidi che possono produrre effetti opposti a quelli desiderati. Non si può sempre agire a monte rendendo impossibili le procedure amministrative d’autorizzazione; meglio agire a valle con controlli e sanzioni puntuali.
Son passati più di vent’anni dal DM 5/2/1998. La normativa e le tecnologie sono mutate, la recente direttiva 2018/851 permette ad ogni Stato membro maggior libertà d’azione. È ora che la politica attivi i propri organi tecnici (fidandosene) e definisca una procedura che permetta alle amministrazioni Regionali di definire caso per caso quando qualcosa che nasce come rifiuto può definirsi materia prima. Accentrare linee guida o addirittura autorizzazioni presso il Ministero dell’Ambiente pare un’operazione velleitaria, non rispondente alle esigenze delle imprese del settore.
A questo proposito, è utile rilanciare una proposta avanzata dagli Amici della Terra mesi or sono circa l’utilizzo del Sistema Nazionale di Protezione Ambientale quale organo tecnico per l’istruttoria di ogni singolo caso. Il SNPA è sistema a rete, presente con le Arpa/Appa su tutto il territorio nazionale, che si coordina tramite il Consiglio del Sistema Nazionale che ha sede in ISPRA. Il Sistema, opportunamente interessato, sarebbe perfettamente in grado di esprimere pareri motivati garantendo nel contempo omogeneità d’azione anche per i successivi controlli su tutto il territorio nazionale.
Le modifiche alla legge istitutiva del sistema, la 132/2016 prevedeva l’istituzione entro un anno di Livelli Essenziali di Prestazione che devono essere garantiti da ogni Arpa/Appa su tutto il territorio Nazionale. A distanza di oltre tre anni questo provvedimento non è ancora stato varato.
Il Governo deve dare seguito agli impegni ambientali, peraltro recentemente rinnovati in sede parlamentare, definendo subito i Livelli Essenziali di Protezione Ambientale che ogni Agenzia deve garantire, affidando contestualmente alle Regioni la definizione del procedimento per End of Waste. Solo in questo modo si possono sbloccare le attività, mediando con rigore scientifico, tra esigenze di tutela e di gestione.