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LA NUOVA DIRETTIVA ETS 2021-2030

Caro Carbonio

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di: Agime Gerbeti* e Francesco Scalia*
La nuova direttiva sul mercato del carbonio, l’Emissions Trading Scheme, nel periodo 2020-2030, prevede ancora assegnazioni di quote di emissione di CO2 a titolo gratuito, come deroga “temporanea”, motivata dal carbon leakage, ma introduce nuovi interessanti parametri di riferimento delle emissioni indirette di CO2 per unità di produzione che potrebbero diventare, in futuro, la base per una comparazione tra prodotti analoghi, venduti sul medesimo mercato europeo, ma prodotti da fabbriche intra ed extra EU.


È stata recentemente adottata la modifica della cosiddetta direttiva ETS 2003/87/CE, già emendata dalla direttiva 2009/29/UE. Con i nuovi obiettivi al 2030, l’UE intende fare fronte a varie problematiche legate al mondo energetico, industriale e ambientale con un approccio diretto all’integrazione di tutte quelle azioni funzionali al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione quali le rinnovabili, l’innovazione tecnologica, l’efficienza energetica e, naturalmente, il mercato del carbonio, l’Emissions Trading Scheme. Al di là di qualsiasi valutazione sul funzionamento dello schema ETS, è un bene che ci sia un perfezionamento delle politiche di decarbonizzazione. La loro interazione favorisce la consapevolezza che non bisogna agire con un unico strumento di punta ma attraverso una serie di misure. Tuttavia, strumenti come l’innovazione e l’efficienza energetica nell’industria non possono essere subordinati a un meccanismo come l’ETS che, per tanti motivi, non è stato in grado finora di promuoverli.

Il Sistema ETS, partito nel 2005, ha subito nel tempo sostanziali modifiche con l’intenzione di migliorarne l’efficacia e ad eliminare le distorsioni competitive derivanti dalla sua attuazione. La più rilevante di tali modifiche è certamente l’evoluzione del sistema di allocazione delle quote necessarie agli impianti per compensare le proprie emissioni ed essere così adempienti verso gli obblighi ETS. Analizziamo di seguito l’assegnazione delle quote gratuite di CO2 .

L’allocazione gratuita è stata armonizzata a livello europeo (dir. 2009/29/CE) in base a benchmark comuni, ovvero a valori di riferimento che quantificano il contenuto medio di emissioni per unità di prodotto calcolati in base alle prestazioni degli impianti europei più efficienti. Per gli impianti manifatturieri era previsto un periodo di transizione e di allocazione parziale di quote gratuite, decrescente di anno in anno, poiché a rischio alla competizione internazionale di paesi non dotati di normative analoghe al Sistema ETS. In particolare, gli impianti dei settori manifatturieri riconosciuti a rischio di carbon leakage – ossia il rischio di delocalizzare gli opifici e la produzione come conseguenza dei costi ambientali legati all’ETS – hanno ricevuto il 100% delle quote gratuite rispetto al benchmark di riferimento e, agli altri manifatturieri subordinati all’ETS, era riconosciuto l’80% rispetto ai benchmark.  

Dal 2021 in poi, nella nuova direttiva, fatta salva una possibile riduzione ai sensi dell’art. 10a paragrafo 5a, la percentuale delle quote da mettere all’asta è almeno del 57%. Inoltre, in deroga, si prevede (art. 10a paragrafo 5b) di ridurre la quota da mettere all’asta, solo nel caso in cui la richiesta di quote gratuite ne inneschi la necessità, fino al 3% aggiuntivo della quantità totale di quote. Anche per il periodo 2020 – 2030, resta dunque la prosecuzione della politica dell’assegnazione a titolo gratuito come deroga “temporanea”, motivata dal carbon leakage.

Quello che sorprende è il concetto di temporaneità: infatti o la produzione industriale può sopportare i costi dell’ETS o non può. Se la temporaneità si riferisce alla speranza che da qui al 2030, o ad altra data futura, altre aree geo-energetiche imporranno sugli stessi settori analoghi obblighi, e che quindi le industrie europee non avranno più la tentazione di delocalizzare gli impianti, questa è probabilmente una speranza ingenua.

Se la Commissione ritiene, invece, che i costi della transizione energetica siano solo iniziali e che per superarli sia opportuna una fase di soft landing, occorre ricordare che la progressione sui limiti di emissione (e, conseguentemente, sull’assegnazione delle quote gratuite) è giustificabile per via dell’abbassamento dei costi delle tecnologie rinnovabili ma non tiene conto dell’incremento della marginalità dei costi per l’efficientamento emissivo. In altre parole, avvicinandoci al massimo efficientamento possibile, i costi saliranno esponenzialmente creando un handicap costante e crescente alle industrie europee rispetto ai più lievi obblighi di quelle extraeuropee.

Certo è che, se la stessa Commissione riconosce il pericolo di carbon leakage come reale e attuale, ciò vuol dire che ha ben presente l’asimmetria competitiva esistente tra l’industria UE e quella localizzata altrove e, infatti, per ovviare a questo problema, distribuisce quote gratuite. Forse è qui che manca una visione d’insieme, non essendo ancora l’ETS esaustivo di un lungo elenco di costi ambientali che le imprese europee sono chiamate a sostenere.

Nel nuovo provvedimento, la revisione del sistema delle assegnazioni a titolo gratuito porterà ad assegnare alle imprese circa 6,3 milioni di quote, in una cinquantina di settori che presentano un elevato rischio di trasferire la loro produzione al di fuori dell’UE. Particolarmente complessa è la parametrizzazione (art 10 a) delle quote gratuite da assegnare ai settori manifatturieri. Ai fini della definizione dei benchmark per la prossima fase ETS, gli Stati membri raccoglieranno i dati della produzione degli impianti manifatturieri due volte:

a) per il periodo 2021 – 2025, i calcoli dei benchmark saranno basati sui dati 2016 -2017. I benchmark che emergeranno saranno confrontati con quelli adottati per la fase attuale ETS. Dopo tale confronto la Commissione applicherà un tasso di riduzione annuale (da definire) per ogni benchmark tra il 2008 e il 2023 salvo quando il discostamento non sia tra 1,6 - 0,2%;

b) per la fase 2026 -2030, il procedimento è lo stesso ma la raccolta dati riguarderà gli anni 2021 – 2022 con l’applicazione del tasso annuale tra il 2008 e il 2028. 

Quindi, si evince che il numero delle quote da assegnare gratuitamente non sarà fisso per tutto il periodo di 10 anni, ma dinamico. Da una parte i benchmark saranno flessibili, ossia ridotti annualmente, e dall’altra il livello delle assegnazioni gratuite agli impianti la cui attività è aumentata o diminuita sarà valutata sulla base di una media mobile di due anni per verificare se supera il 15% rispetto al livello inizialmente utilizzato per determinare tale assegnazione gratuita per i rispettivi due sub periodi (art 10a, par. 20).

Tali calcoli oltre ad essere complessi aumenteranno i costi amministrativi per gli Stati membri, e quindi sui soggetti sottoposti all’ETS che, insieme alle emissioni, dovranno fornire anche la documentazione relativa alla produttività degli impianti su base annuale. Un controllo che parte dal dato economico per imporre un obbligo ambientale ma che nulla ha a che fare con una auspicata fiscalità ambientale.

Il paradosso è che i fallimenti di prezzo dei precedenti periodi regolati hanno reso la Commissione più confidente nello strumento ETS tratteggiandolo in maniera più aggressiva e profonda. Talmente profonda che questa regolazione sembra svuotare completamente di significato il concetto “mercato di quote”. La Commissione sembra voler dire che, con le buone o con le cattive, si dovrà raggiungere un livello di prezzo ritenuto utile alla decarbonizzazione dell’economia industriale europea. 

Infatti, al fine di rispettare la quota di vendita all’asta di cui all’articolo 10, in ogni anno in cui la somma delle assegnazioni gratuite non raggiunge il livello massimo che rispetta la quota oggetto di vendita all’asta dello Stato membro, le quote restanti fino a tale livello sono utilizzate per prevenire o limitare la riduzione delle assegnazioni gratuite per rispettare la quota di aste degli Stati membri negli anni successivi. Tuttavia, se viene raggiunto il livello massimo, le assegnazioni gratuite devono essere adeguate di conseguenza. Qualsiasi adeguamento di questo tipo deve essere fatto in modo uniforme e quindi si applicherà un fattore di correzione transettoriale uniforme.

La nuova direttiva consente agli Stati membri di adottare misure finanziarie per i settori o sottosettori che siano esposti a rischio effettivo di rilocalizzazione a causa dei significativi costi indiretti effettivamente sostenuti dagli impegni sulle emissioni; queste misure devono evidentemente essere conformi con la normativa comunitaria sugli aiuti di Stato e sulla concorrenza nel mercato interno. Nell’eventualità che tali misure finanziarie superino il 25% delle entrate generate dalla vendita all’asta delle quote, lo Stato membro dovrà motivare tale esposizione.

I parametri di riferimento delle emissioni indirette di CO2 per unità di produzione per un dato settore o sottosettore a rischio, sono calcolati ex ante come il prodotto del consumo di elettricità per unità di produzione relativamente alle tecnologie più efficienti disponibili e in funzione alle emissioni di CO2 del relativo mix di produzione di energia elettrica europeo. In altri termini, questa è una analisi di quanto sono “puliti” i prodotti delle fabbriche situate su territorio europeo; ossia, con tali parametri si valuterà quanta CO2 è stata emessa per la fabbricazione di un singolo prodotto in funzione del mix energetico utilizzato e dei macchinari impiegati.

Questa è una brillante intuizione della Commissione che potrebbe diventare in futuro la base per una comparazione tra prodotti analoghi, venduti sul medesimo mercato europeo, ma prodotti da fabbriche intra ed extra EU. Diventare un punto di partenza per una reale comparazione tra costi produttivi relativi all’uso energetico e agli impegni ambientali.

 

*Agime Gerbeti, Docente nell’Università di Roma, Lumsa

*Francesco Scalia, Senatore della Repubblica e Docente nell’Università di Cassino 

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