Tags: Energia, Europa, Efficienza energetica

VERSO L’OTTAVA CONFERENZA PER L’EFFICIENZA ENERGETICA

I Miti delle Politiche di Decarbonizzazione Secondo il FMI

di: Giovannangelo Montecchi Palazzi
In vista della Ottava Conferenza sull’Efficienza Energetica che, quest’anno, intende discutere – fra l’altro- dell’efficacia delle politiche europee per la de carbonizzazione dell’economia, l’Astrolabio avvia la pubblicazione di articoli e documenti di diverso segno che favoriscano un dibattito aperto e privo di pregiudizi. In questo primo articolo, l’autore, a partire da un’intervista rilasciata da Christine Lagarde quasi un anno fa, sintetizza la posizione del Fondo Monetario Internazionale che appare assai divergente dalle politiche attuate dall’Unione Europea.


In una recente intervista 1), Christine Lagarde, Managing Director del FMI, Fondo Monetario Internazionale, ha inteso confutare dieci“miti” riguardanti la decarbonizzazione e, al tempo stesso, indicare le migliori politiche per perseguirla.

I miti in questione sono assai diversificati e coprono un ampio spettro di opinioni:

1- che sia opportuno attendere che le basi scientifiche siano più sicure,

2- che lo strumento migliore per ridurre le emissioni sia una pletora di interventi pubblici complessi e difficili da amministrare,

3- che i consumatori e le imprese paghino già dei prezzi elevati per l’energia,

4- che bassi prezzi dell’energia rappresentino un strumento utile per aiutare le famiglie a basso reddito,

5- che sistemi di cap and trade siano preferibili all’introduzione di carbon taxes,

6- che le carbon taxes siano difficili da applicare,

7- che le carbon taxes siano uno strumento ulteriore per promuovere il cosiddetto “big government”,

8- che costi elevati del carbonio imporrebbero necessariamente un forte onere sull’economia,

9- che alcuni Paesi risulterebbero necessariamente danneggiati,

10- che tutti i Paesi dovrebbero avere lo stesso livello di imposizione sul carbonio.

Il testo dell’intervista è una sintesi del punto di vista del Fondo su come prevenire il riscaldamento globale antropogenico. Per la chiarezza espositiva e per la schiettezza delle risposte, il testo merita una lettura attenta.

La confutazione di alcuni dei “miti” suddetti riveste un particolare interesse per i lettori europei perché mina le basi stesse delle politiche adottate dalla UE. Di seguito si riporta la traduzione di alcuni passi salienti.

“Il mito numero due è che il modo migliore per ridurre le emissioni, in primo luogo della CO2, sia una pletora d’interventi pubblici, complessi e difficili da amministrare: sussidi all’eolico, al fotovoltaico, ai biocarburanti, ai trasporti pubblici, ai veicoli elettrici; regolamenti sull’efficienza energetica di edifici, dell’illuminazione, delle automobili, degli aeroplani, degli scaldabagni, dei macchinari industriali ecc. Al riguardo - spiega Lagarde - io farei un passo indietro perché si tratta di un approccio inefficace sotto il profilo ambientale e complesso sotto quello amministrativo. Al contrario, noi del Fondo riteniamo che lo strumento fondamentale per gli sforzi di mitigazione delle emissioni di CO2 sia il prezzo del carbonio, cioè tassare i combustibili fossili sulla base del loro contenuto di carbonio. Dal momento che tale tassazione si traduce in prezzi più elevati dei combustibili fossili, dell’elettricità ecc., promuove automaticamente tutto lo spettro di possibilità di mitigazione delle emissioni, non solo quelle appena menzionate, ma anche quelle che non è possibile regolamentare (compiere le giuste scelte energetiche, guidare meno e meglio o ridurre l’aria condizionata). E tutto ciò con un unico strumento!”

Ad ulteriore sostegno di questa tesi, in un passo successivo Lagarde aggiunge: “La posizione del Fondo è chiara: per poter utilizzare al meglio il lavoro, il capitale e le altre risorse, gli Stati debbono allocarle in modo efficiente nei diversi settori dell’economia. Per raggiungere tale obiettivo i prezzi dei prodotti debbono riflettere non solo il costo della loro fornitura, ma anche ogni costo ambientale conseguente il loro utilizzo. Difatti noi riteniamo – e sicuramente in questo vi è consenso tra gli economisti – che i prezzi pagati dai consumatori di energia, o di prodotti connessi, debbano riflettere tutta la gamma di costi ambientali (inquinamento atmosferico, congestione del traffico stradale ecc.), non solo il riscaldamento globale”.

Non meno esplicita è la confutazione dei sistemi di cap and trade come il sistema ETS (Emission trading scheme) europeo.

“Il mito numero cinque è che la carbon tax sia lo strumento sbagliato per ottemperare agli impegni di riduzione assunti dagli Stati nella COP 21. (…) Perché non imporre, piuttosto, un limite annuale tramite un meccanismo di trading?

“Il problema di tali limiti rigidi – sottolinea Lagarde - è che, come abbiamo visto sui mercati, creano molta volatilità ed incertezza quanto ai prezzi delle emissioni che possono scoraggiare investimenti importanti in tecnologie pulite. E’ preferibile raggiungere gli obiettivi di riduzione globalmente e gradualmente mediante prezzi delle emissioni espliciti e prevedibili. Gli Stati dovrebbero prevedere quali prezzi futuri sarebbero necessari all’uopo e poi affinare le previsioni sulla base dell’esperienza”.

“Del resto, - continua l’intervistata riferendosi al mito numero sei, - le carbon taxes sono praticamente un’estensione di quanto sta già facendo la maggior parte dei Ministeri delle Finanze negli Stati avanzati e nei PVS allorché amministrano sistemi di tassazione dei combustibili. Le carbon taxes possono essere incorporate nelle accise già esistenti sui combustibili ed oneri analoghi possono essere applicati al carbone, al gas naturale e ad altri prodotti petroliferi”.

L’intervista svolge poi alcune sintetiche considerazioni sui diversi livelli di imposizione applicabili nei 20 Stati che nel loro insieme sono responsabili dell’80% delle emissioni globali e sul gettito che ne risulterebbe. Secondo stime del Fondo si tratterebbe di importi rilevanti, oscillanti tra un massimo pari al 4,5% del PIL per l’Ucraina, un minimo dello 0,3% per la Francia e di circa lo 0,5% per i maggiori stati membri della UE. Nel caso dell’Italia, la stima risulta pari allo 0,48% del PIL, a spanne € 8 miliardi. Tali importi potrebbero essere utilizzati per ridurre altre imposizioni su lavoro e capitali”. Chi scrive si permette di aggiungere che i cittadini potrebbero venir sollevati dagli oneri derivanti da obiettivi specifici disposti a comando, una forma di fiscalità indiretta che sovente non si distribuisce in modo equo e progressivo.

L’intervista non menziona e non fornisce indicazioni specifiche ad alcuno Stato e tantomeno alla UE, ma è ovvio che le soluzioni proposte dal Fondo, sostanzialmente affidate ai meccanismi dei prezzi, sono diametralmente opposte a quelle dirigiste adottate dalla UE. Non che, quanto a dirigismo autarchico, la UE si discosti molto dalla maggioranza degli Stati partecipanti alla COP 21 e dalle misure che hanno preso (o che intendono prendere) per perseguire, ciascuno a modo suo, gli impegni assunti in tale sede. Tuttavia non si può non rimanere perplessi di fronte:

- alla diversità e molteplicità di misure prese dai 28 Stati Membri dell’Unione, una sorta di vestito di Arlecchino, con buona pace dell’auspicato mercato unico dell’energia,

- agli alti oneri che ne risultano a carico dei cittadini, oltretutto distribuiti in modo ineguale. Si pensi ad esempio, nel caso dell’Italia, ai circa € 13 miliardi annui di sussidi alle rinnovabili prelevati tramite le bollette elettriche. Un chiaro esempio di imposizione mascherata e regressiva e, come tale, contraria all’Art. 53 della Costituzione;

- al sostanziale fallimento del sistema ETS che, oltretutto, per effetto dei permessi gratuiti concessi in fase di avvio, ha fornito una rendita di posizione agli assegnatari inziali.

Alla luce di quanto sopra l’ambizione dichiarata della UE di fungere da esempio al resto del mondo (to lead by example) resta valida quanto ad obiettivi; notevole per dimensione e tempi dello sforzo previsto quando si consideri che l’Unione a 28 è responsabile di circa il 9% delle emissioni planetarie. Non sembra, invece, un esempio altrettanto valido quanto a tipologia delle politiche adottate. Un ripensamento radicale di tali politiche, per quanto arduo, sembra opportuno.

1)    “Ten myths about climate change policy” pubblicata da Finance and Investment nel dicembre 2015. Testo reperibile sul sito del Fondo Monetario Internazionale

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