Tags: Europa, Clima, Cina

MANCATI ACCORDI

L’altra Faccia della Cina

di: Giovannangelo Montecchi Palazzi
Il clamore suscitato dalla rottura di Trump degli accordi di Parigi ha oscurato, fra l’altro, il fatto che il recente “summit” tra Cina ed Unione Europea si sia concluso senza comunicato finale e senza nemmeno la sottoscrizione della dichiarazione congiunta sull’ambiente che era stata largamente preannunciata. L’autore trae, da un recente articolo di The Economist, un ritratto problematico e spesso ignorato della situazione ambientale cinese.


Il mancato accordo su temi economici ha fatto sì che il recente “summit” tra Cina ed Unione Europea si concludesse senza comunicato finale e neppure la sottoscrizione della dichiarazione congiunta sull’ambiente che pure era stata largamente preannunciata. Nonostante tale battuta d’arresto, passata quasi inosservata dai mezzi di comunicazione di massa, la decisione del Presidente degli Stati Uniti di denunciare gli accordi di Parigi sui cambiamenti climatici antropogenici, ha indotto i medesimi media ad assurgere la Cina ad esempio di consapevolezza ambientale.

La realtà è ben più complessa e meno lusinghiera.

In effetti la Cina, primo produttore mondiale di CO2, si è impegnata a non aumentare le sue emissioni oltre il 2030 per poi ridurle gradualmente. Grazie agli sforzi in atto alcuni ritengono che il “picco” delle sue emissioni sarà raggiunto anche prima, forse già nel 2025. Un impegno indubbiamente lodevole senza il quale la lotta globale contro il riscaldamento climatico antropogenico perderebbe ogni mordente.

Diversa è la situazione se dalla CO2, gas a effetto serra ma non  inquinante, si passa a considerare l’inquinamento dell’atmosfera, delle acque e dei suoli.

L’inquinamento atmosferico della Cina è noto e ben pubblicizzato dai media. In varie aree giunge a superare di 10 o più volte i livelli massimi consentiti dalla World Heath Organization e sotto la pressione dell’opinione pubblica le Autorità locali stanno iniziando a porvi rimedio.

Anche l’inquinamento delle acque è noto, ma forse non abbastanza. Secondo uno studio citato da “The Economist” per il 18% della lunghezza dei fiumi cinesi l’acqua è troppo inquinata per poter essere utilizzata anche a fini agricoli.  Eppure viene ugualmente utilizzata.  Il problema è aggravato dal fatto che nelle zone rurali solo il 10% delle acque reflue viene depurato e diventa particolarmente acuto nel Nord del Paese ove la disponibilità d’acqua “pro capite” è inferiore a quella dell’Arabia Saudita. In tali condizioni gli agricoltori usano qualsiasi acqua disponibile introducendo nei terreni cadmio, arsenico, altri metalli pesanti e veleni vari.

Ed è appunto l’inquinamento dei suoli che - per caratteristiche, per dimensioni e per costi di bonifica – costituisce il problema ambientale più grave e ancora misconosciuto della Cina.

L’inquinamento atmosferico non solo richiama maggiore attenzione perché balza agli occhi, ma può essere eliminato o ridotto in tempi brevi se ne vengono interrotte le fonti, come avvenuto in occasione delle Olimpiadi di Pechino.  L’inquinamento delle acque è più subdolo perché è meno evidente e la sua bonifica, oltre ad essere onerosa, richiede anni se non decenni.

L’inquinamento dei suoli è ancor più subdolo perché un campo inquinato può essere ugualmente verde e fertile, ed è anche più grave perché i veleni possono permanere nel terreno per secoli ed il costo di bonifica è molto alto.  Come indicato a seguito, per dimensioni e costi in Cina sarà di fatto intrattabile.

L’inquinamento dei suoli cinesi ha due aspetti principali: quello derivante dalle aree industriali dismesse e dalle relative discariche imprecisate sulle quali sono sorte e sorgono nuove urbanizzazioni e quello che riguarda l’agricoltura. Secondo uno studio pubblicato nel 2015 dal Research Centre for Eco-Environmental Sciences di Pechino i due fattori insieme contribuiscono ad originare 400-450 “villaggi del cancro”, aree con livelli inusualmente alti di tumori del fegato, dei polmoni, dell’esofago e gastrici.

Particolarmente impressionante per dimensioni è l’inquinamento dei terreni agricoli.  Nel 2014 sono stati pubblicati i risultati di uno studio, condotto nel 2005-2013 ma in un primo momento tenuto segreto, secondo il quale il 16,1% della superficie totale ed il 19,4% dei terreni coltivati era contaminata da inquinanti organici ed inorganici nonché da metalli come piombo, cadmio e arsenico. Questi ultimi due metalli vennero rilevati nel 40% dell’area.  Complessivamente si tratta di circa 250.000 km2, pari a cinque sesti del territorio italiano, di cui 35.000 Km2, pari a circa tre volte la superficie coltivata in Italia, risultavano talmente inquinati che l’uso agricolo dovrebbe esservi vietato.  Secondo uno studio successivo dello Institute of Geografic Sciences and Natural Research di Pechino, la percentuale del 19,4% dovrebbe essere ridotta a circa il 10%, confermando comunque l’importanza del fenomeno e anche la scarsa affidabilità dei dati cinesi.

Peraltro, già nel 2002, il Ministero dell’Agricoltura aveva rilevato livelli eccessivi di piombo e di cadmio nel 28% e nel 10%, rispettivamente, dei campioni di riso esaminati.

Si tratta di dati a dir poco allarmanti che non richiedono commenti salvo una riflessione sulle dimensioni economiche del fenomeno che lo rendono praticamente insolubile.

Come sopra accennato, gli inquinanti tendono a naturalmente a rimanere nel terreno per durare fino ad alcune centinaia di anni.  Assumendo la stima inferiore delle due anzi citate, l’area inquinata da bonificare sarebbe pari a circa 125.000 Km2. In Europa e negli USA bonifiche coscienziose dei suoli condotte fino a profondità adeguate hanno costi assai elevati.  Anche supponendo trattamenti meno attenti e profondità ridotte, il disinquinamento di 125 miliardi di metri quadri è fuori della portata economica, presente e futura, anche di un colosso come la Cina.

La Cina fruisce di un plauso giustificato per essersi impegnata a contenere l’aumento delle sue emissioni di CO2 entro tempi brevi e quindi a ridurle.  Ma per un giudizio di merito più equilibrato non bisogna dimenticare la gravità e le dimensioni dell’inquinamento che ha prodotto e continua produrre la sua rapida crescita economica assai mal controllata sotto il profilo ambientale. In proposito la mancata firma della dichiarazione ambientale congiunta Cina – UE motivata da ragioni economiche non è certo incoraggiante.

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