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RISCHIO SISMICO, PREVENZIONE ZERO - REWIND

Parole e scelte che bisogna imparare

di: Leonello Serva


I terremoti che in questi giorni stanno colpendo aree della pianura padana, causando danni che purtroppo pochi, anche tra gli addetti ai lavori, avrebbero ritenuto ipotizzabili in quelle aree, hanno fatto ancora una volta riemergere l’irrisolta questione della prevenzione dei rischi cui è esposto il nostro territorio.

La prevenzione presenta problemi di due ordini. Il primo, certamente il più grave e purtroppo endemico nel nostro Paese, è - appunto - che della prevenzione si parla solo dopo il verificarsi di gravi eventi e che, ancor peggio, spesso se ne parla solamente.

Il secondo, di natura tecnica e più specificamente attinente alla difesa antisismica (ma un discorso analogo potrebbe valere anche per altri eventi naturali), consiste nella scelta dei riferimenti da assumere per impostare la difesa.

Al riguardo, il modus operandi più comune, per vero vigente anche a livello europeo, consiste, in estrema sintesi, nello scegliere un terremoto che abbia una determinata probabilità di accadimento in un determinato periodo di tempo. In tale approccio, le valutazioni probabilistiche sono basate essenzialmente sullo studio delle frequenze dei terremoti avvenuti in passato, mentre l’arco di tempo da considerare è individuato in riferimento alla prevista durata dell’opera da difendere o del periodo per il quale si intende garantirne la protezione, tenendo conto, ancorché in modo implicito, dei costi dei diversi accorgimenti ingegneristici adottabili e dei relativi benefici.

In tal senso in Italia è stata redatta nel 2004 la mappa ufficiale di pericolosità sismica del territorio nazionale, riportata nella figura sottostante. Essa indica, per ciascuna area, il terremoto la cui entità potrà essere raggiunta o superata con una probabilità del 10% nell’arco dei prossimi 50 anni (che ovviamente iniziano oggi); si potrebbe anche dire, in altri termini, il terremoto che ha un’elevatissima probabilità di verificarsi nei prossimi 500 anni (periodo di ritorno).

La mappa è stata definita fondamentalmente sulla base: a) della sismicità registrata nel tempo dai sismografi; b) dei terremoti storici raccolti nei cataloghi sismici; c) di una zonazione del territorio definita tenendo conto della diversa capacità di generare terremoti; d) dell’attenuazione delle onde sismiche con la distanza dall’epicentro, nelle varie zone del territorio italiano.

 Per quanto razionale possa apparire, l’approccio sin qui delineato presenta un elemento di notevole criticità, riflesso del punto critico intrinseco al concetto di pericolosità sismica su cui l’approccio stesso si basa. Infatti, mentre la scienza può indicare con precisione accettabile il massimo dei terremoti che può generarsi in una determinata area o che può essere risentito in essa per effetto di quelli possibili in aree circostanti, le valutazioni di probabilità hanno un’affidabilità di gran lunga inferiore. Ciò, in primo luogo ed in termini più generali, per la inevitabile non completezza del catalogo sismico, sul quale tali valutazioni si basano, un limite che non può essere superato neppure introducendo algoritmi di calcolo sofisticatissimi; in secondo luogo in considerazione di fenomeni importanti dei quali le valutazioni probabilistiche non tengono adeguatamente conto. Tra essi  il cosiddetto clustering, terremoti concentrati nel tempo e nello spazio, che, come dimostra Spiegalevelein questo stesso numero de l’Astrolabio, sono abbastanza frequenti nella storia sismica del nostro Paese.

Per quanto poi attiene all’Italia, dove pure la disponibilità di un catalogo sismico più ampio rispetto a quello di altri paesi europei renderebbe forse meno aleatorie le valutazioni probabilistiche, la presenza di un patrimonio storico, artistico e culturale certamente unico dovrebbe comunque indurre a ritenere inadeguata una protezione per così dire relativa, quale è quella basata sulla pericolosità sismica intesa come si è sopra detto. Quanto meno per tale patrimonio, la tutela dovrebbe più opportunamente essere riferita al terremoto massimo che si può verificare in una data area (che in prima approssimazione potrebbe essere assunto pari al massimo storico del nostro catalogo sismico), e non a quello più probabile in un determinato arco di tempo. Nella figura sottostante, come esempio, viene riportata la mappa della massima intensità storica risentita nell’area della Pianura Padana, interessata dal recente terremoto, nel periodo tra l’anno 1000 ed il 1983. Come si può facilmente notare, seppure affetta da possibili lacune, essa riporta livelli di potenziale danneggiamento causato dal terremoto più o meno analogo a quello verificatosi oggi.

Distribuzione della massima intensità storica nel periodo 1000-1983 (da: Leonello Serva. Il ruolo delle Scienze della Terra nelle analisi di sicurezza di un sito per alcune tipologie di impianti industriali: il terremoto di riferimento per il sito di Viadana (MN). Boll. Soc. Geol. It., 109 (1990), 375-411; 18 ff: 1 tab.; 1 tav.)

Il concetto del terremoto massimo è di più facile comprensione per il cittadino medio; ciò è importantissimo per raggiungere una cultura diffusa sull’entità del rischio sismico del nostro Paese e quindi per rendere più facili le decisioni politiche per la riduzione di tale rischio - e le polemiche di questi giorni ce lo stanno dimostrando.

La validità di questo diverso approccio trova conferma nello sviluppo, a livello mondiale, di nuovi metodi deterministici di valutazione della pericolosità sismica ed è valutabile anche a fronte di una analisi costi-benefici, considerato, come accennato sopra, il valore inestimabile dei beni esposti, e i costi non rilevantissimi degli adeguamenti antisismici rispetto a quelli della ricostruzione post-sismica.

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