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IL NUBIFRAGIO DI MARINO

Pedalando sotto la pioggia

Scritto il .

di: Francesco Mauro


CHE TTEMPI!

E nnun zenti che llússcia? nu lo vedi
Si cche ffresco viè ggiú da li canali?
Co st’inferno che cqui, ccosa te credi?
Manco è bbono l’ombrello e li stivali.

Cristo! quanno se mette a ttemporali
Je dà ggiú cco le mano e cco li piedi.
Ah! er zole in sti diluvi univerzali
Lo mettemo da parte pe l’eredi.

Oh annate a rregge a scarpe co st’acquetta.
Le sòle ve diventeno una sponga:
Le tomarre un bajocco de trippetta: 

Bast’ a ddí cch’è da un mese c’a Rripetta
Sce corre fiume quant’è llarga e llonga,
E ’r pane je lo porteno in barchetta.

                                                                   (Giuseppe Gioacchino Belli, 1834)


Caro Direttore,
nella inondazione di commenti (e di promesse) che accompagna il maltempo, ho sentito riemergere, dai politici, dai media e dalla pubblica opinione, alcuni concetti errati o distorti , veri e propri mantra della disinformazione che, a mio avviso, non possono essere lasciati vagare in libertà. Uno dei principali riguarda il fatto che la cosiddetta “prevenzione” degli effetti del maltempo avrebbe bisogno di raffinati e diffusi sistemi di monitoraggio (dalle centraline alle piattaforme spaziali).  A parte l’uso impreciso del termine “prevenzione” al di fuori dell’ambito sanitario, è proprio sulla questione della cosiddetta prevenzione che bisogna essere precisi.

La prevenzione può essere definita come “l’insieme di azioni finalizzate ad impedire o ridurre il rischio, ossia la probabilità che si verifichino eventi non desiderati”. Nel caso del maltempo, esistono, schematicamente, solo due metodi per impedire il rischio degli effetti dovuti a fenomeni meteo, siano essi naturali che resi più dannosi dalle attività umane (con conseguenze su inondazioni, ondate di piena, flash flooding, frane e altri fenomeni idrogeologici). Il primo metodo è di evitare che siano presenti nelle zone a rischio esseri umani o infrastrutture; il seconda è di rendere innocuo il fenomeno rendendo inattaccabili abitazioni e infrastrutture. Per individuare e stabilire quali sono le zone a rischio esistono in genere tutti i dati necessari. Per intervenire sul costruito esistono precise indicazioni sul che fare ed eventualmente la modellistica per simulazioni e verifiche.

I servizi meteo internazionali, europei, nazionali ed in certi casi regionali sono (più che) sufficienti a dare l’allarme e fornire le previsioni meteo. Forse gli amministratori locali non lo sanno, ma molti dei browser dell’internet  forniscono previsioni meteo per 5 giorni per frazione di territorio corrispondente ad un codice postale. Nuovi monitoraggi non servono, le risorse devono essere riservate ad azioni correttive, positive e concrete.

Eppure, la ministra Carrozza, non ha saputo fare altro che invocare nuovi  sistemi satellitari. Se questa è la posizione di un politico che dovrebbe conoscere la realtà, si comincia a capire perché ogni fenomeno meteo di una qualche importanza si risolva in emergenze e tragedie.

Prendiamo il caso di Roma e del sindaco Marino. L’immagine del sindaco, data da molti giornali, che svegliato all’alba da una telefonata delle Protezione Civile, butta giù dal letto tre assessori e li spedisce a vedere quello che succede, appare giustamente comica se non fosse patetica. Sembra che il Comune ed i Municipi (così sono pomposamente chiamate le circoscrizioni di Roma Capitale) non esistano o che il personale comunale non conosca l’esistenza di telefoni cellulari e televisioni. Ed inoltre risulti loro ignota la storia del territorio comunale: che quando piove un poco al di sopra del normale ci siano problemi a Labaro e Prima Porta nel quadrante nord e nella zona di Ostia (Ostia Antica, Infernetto, e sull’altro lato del Tevere Piana del Sole), è risaputo. Se no, perché ci sono predisposte le idrovore (indicate addirittura dalla toponomastica)? Ma è vero che molte idrovore non erano funzionanti perché in attesa del collaudo periodico o senza gasolio?

E ancora: il quadrante nord è tristemente famoso per le alluvioni. Ce ne fu una terribile nel settembre 1965 a Prima Porta, con incidenti letali, di cui c’è qualche traccia nella memoria storica degli abitanti, in qualche ponte rifatto sul Fosso di Prima Porta, ed un bel servizio fotografico dell’associazione dei vigili del fuoco; da allora le alluvioni sono state periodiche e il problema mai risolto. Nella stessa occasione, straripò anche l’Arrone, da Santa Maria di Galeria a Fregene, con molte ripetizioni fra cui una brutta nel 1992, lasciando nella zona una tradizione di ponti Bailey che si è trascinata fino al 2003. In realtà, l’alluvione del 1965 colpì tutta la periferia e le borgate della fascia di Roma nord: a Monte Mario furono misurati oltre 170 mm di pioggia, ci furono 13 morti, 4.000 senza tetto. Il maltempo colpì anche la zona più a nord: a Orvieto ci furono almeno 300 mm di pioggia, nei paraggi venne chiusa l’Autostrada del sole.

I problemi nel reticolo idrico sulla costa, da Fregene a Ostia, risalgono alle bonifiche del secolo scorso quando furono cancellati i tre laghi alla foce del Tevere. Ma nella Campagna Romana il problema è emerso nel dopoguerra, quando, con la crescita delle borgate, si cominciò a intubare le “marane” (i fossi) in condotti che non reggevano portate d’acqua straordinarie.

Il sindaco Marino fa bene a protestare contro l’abusivismo e la cementificazione dell’Agro Romano. Ma questo c’entra solo in parte con le inondazioni.  Ci vuole manutenzione del reticolo idrico ed enti locali che funzionino, e alcune soluzioni per alcuni bacini minori (Fosso di Prima Porta, Fosso della Valchetta, Rio Galeria, Fiume Arrone, canali di Maccarese, Fiumicino e Ostia) e per alcuni punti delicati lungo il Tevere (tratto da Fiano a Tor di Quinto, Ponte Milvio, Magliana (riva di destra), Drizzagno di Spinaceto, Piana del Sole, Isola Sacra). ACEA ha tutte le carte e molti progetti: basta spulciare via internet, con un po’ di pazienza i piani di investimenti ACEA nell’ATO 2, o cercarsi i bandi dei lavori (ad esempio, per la trasformazione in collettore – ci sarebbe da discutere anche su questo – del Fosso dell’Acqua Traversa a Roma Nord, o il Fosso della Caffarella, noto in passato come Fiume Almone “sacro a Marte”, dalle parti dell’Appia Antica.  Senza bisogno di monitorare l’ovvio con altri satelliti. E affrontando il garbuglio di enti coinvolti nella gestione.

 

Cronache dalla palude #sottomarino
Credevo di essermela cavata con l’articoletto scritto ieri, ma qui c’è materiale per un romanzo. Decido di cominciare a scrivere periodicamente. Certe cose bisogna farle sapere. Cronache dalla palude.

E’ lunedì 3 febbraio 2014, tarda mattinata. Sono alla periferia nord del Comune di Roma, ma sembra di stare nel Rub  al-Khali, il “quadrante vuoto” del   deserto arabico, salvo che qui è tutto bagnato. Ero uscito presto di casa per andare in centro, ma ho presto capito che la Braccianese (una volta era una strada statale) e le due  strade che attraverso Cesano portano alla Cassia bis sono percorribili solo andando a 10 km  all’ora o anche meno. Oltre ad enormi buche, l’asfalto stradale in lunghi tratti si è come disciolto. Il fatto che il fenomeno si veda solo sulle strade pubbliche o consortili, ma non su quelle private, lascia pensare.

Arrivo alla Stazione di Cesano e attendo il treno per un’oretta. Non si vede nessuno dei ferrovieri che ci sono normalmente. Un aspirante viaggiatore ipotizza: “si sono nascosti per evitare le proteste del pubblico”. Funziona solo un sistema di altoparlanti con controllo remoto. Metà dei treni sono stati cancellati, gli altri viaggiano con 60-100 minuti di ritardo; e poi non è detto che arrivino. Dicono che ci sono guasti tra qui e Viterbo. Un signore che sta dal giornalaio (aperto perché abita in zona) a comprare dei fumetti, fa sfoggio della sua cultura western: “non c’è legge a nord di Ponte Milvio, non c’è strada ad ovest della Via Cassia”. I commenti si sprecano. Uno dice che almeno, ai tempi della grande nevicata, Alemanno si era fatto vedere. “E’ che venire qui in bicicletta è dura” soggiunge un altro”. Un terzo chiede al giornalaio se gli avanza una copia di “Canale Mussolini”. Un altro ancora, che mi conosce, mi chiede se dobbiamo temere un ritorno della malaria.

L’Arrone e gli altri fossi mettono paura: pieni di acqua marrone che si mangia le sponde. Qui, come a Prima Porta, molti si ricordano la grande alluvione del 1965. Ma qui sono contadini, non borgatari come a Prima Porta. Qui nel 1965 di abusivismo ce n’era molto poco, ma i danni ci furono lo stesso, saltarono i ponti. Ma chi glielo dice al sindaco Marino?

Mi avvio verso casa. I militari sono rintanati nelle caserme. La casetta dei vigili urbani sembra chiusa e tutta buia (forse si sono nascosti anche loro?). Non si vede un vigile, un poliziotto, un carabiniere, una guardia provinciale, forestale, di finanza, un operatore ecologico (forse perché la mondezza è stata lavata via), un addetto alle strade, un lavoratore ACEA … I contadini, che uscirono con trattori a soccorrere gli automobilisti dopo la grande nevicata, sono rimasti in casa perché il Comune non si è fatto vivo e loro aspettano ancora il rimborso del gasolio.

L’ultimo che incontro prima di rientrare a casa, è il più lapidario: E’ l’8 settembre …’'. Mi viene da pensare: speriamo che arrivino gli Alleati.


Due foto dell’Archivio Alinari dell’alluvione del 1965 a Prima Porta.


Fotografie di Prima Porta (1965) pubblicate da Maurizio Licata.


L’odissea continua
Sono passati tre giorni, ma qui in periferia la situazione non migliora, anche se la televisione non ci cita neanche più. Qualche operaio è comparso a chiudere qualche buca sulle comunali o sulle provinciali, ma la statale rimane rigorosamente non toccata. Forse stanno discutendo a chi tocca dopo la de-statalizzazione. Non si vede ancora nessuno delle forze dell’ordine, ma c’è una luce accesa dentro la casetta dei vigili urbani.

Però sono riuscito ad andare a Roma centro in treno; 2 ore e mezzo di ritardo causa interruzioni temporanee e treni cancellati, e 1 ora di viaggio (il doppio del tempo necessario causa lunghe fermate). Però sono rientrati in funzione gli altoparlanti e almeno veniamo informati dei ritardi. Veniamo anche informai che la stazione di Roma Ostiense è chiusa e che è bruciata per il maltempo la sottostazione elettrica di Ottavia. I lavori di ripristino si faranno … di notte - direte voi – no: dimezzeranno le corse e renderanno lenti i treni veloci. Al ritorno, la sera, si vedono gli effetti: c’è gente pressata anche nei gabinetti: la gente si sfoga con le parole: altro che Grillo … C’è un tizio che dice che c’è un trenino elettrico che va da sotto Monte Citorio a Palazzo Chigi e di qui alla dependance della Presidenza del Consiglio su Via del Tritone angolo Via della Stamperia. Chissà se   è vero, e se si è allagato anche quello?

 

Ritorno al futuro
Al quarto giorno, il treno ha ricominciato a funzionare regolarmente salvo la trasformazione dei treni veloci in treni normali onde cancellare una frazione dei normali stessi. Rimane aperto il problema delle buche non riempite, che anzi si avviano a diventare voragini. Non ci sono stati morti, forse uno “indiretto”. Ed un problema nuovo: sono quattro giorni che l’AMA non passa a svuotare i cassonetti: la mondezza si è ammucchiata e l’acqua scrosciante l’ha sparsa in giro. Questa volta non credo che ne possano attribuire la colpa a Cerroni. 

 

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