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IL CASO DEGLI IDROCARBURI NELL’ADRIATICO

Storia e Petrolio

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I due articoli che seguono (uno sulla geologia dei giacimenti di idrocarburi, un altro sulla storia della sovranità nella regione) rappresentano il tentativo di rispondere a domande difficili ma enunciate in modo semplice: c’è petrolio o gas nell’Adriatico? Tanto che valga la pena estrarlo? Si possono verificare danni ambientali importanti? Ci sono altre entità che stanno manovrando per prendersi i giacimenti? Che ne sanno il Parlamento, il governo, i politici? Sono le domande che ci arrivano e che facciamo nostre, ma alle quali non è facile rispondere. Abbiamo anche in preparazione altri due articoli che affrontano problemi simili, in riferimento allo shale oil.



Sono problemi non nuovi che cadono spesso nel dimenticatoio. Questa volta l’attenzione è stata stimolata da due articoli su “Il Messaggero”, uno il 18 maggio scorso a firma Romano Prodi, l’altro il giorno successivo a firma di Andrea Basso. La presenza di Prodi conferma che si tratta di qualcosa di importante e delicato. Gli articoli dicono che l'Italia potrebbe - sulla base dei progetti già individuati - almeno raddoppiare la propria produzione di idrocarburi (petrolio e metano) fino a raggiungere, nel 2020, circa 22 milioni di tonnellate petrolio-equivalenti all’anno. E questo nonostante il fatto che l’attività di esplorazione di nuove riserve di idrocarburi sia ormai bloccata da un decennio (con un numero di metri perforati inferiore a un decimo di quelli degli anni del dopoguerra).

Gli articoli si riferiscono in particolare a quanto individuato in Adriatico, sia vicino all’isola di Pelagosa che al largo di Chioggia, dove sono noti da tempo agli addetti ai lavori 16 giacimenti, non ancora messi in produzione, per un totale di circa 30 miliardi di metri cubi di gas. Una riserva di gas di queste dimensioni è una risorsa importante (ricordando che le riserve di gas provate sono in Italia 59 miliardi di metri cubi, quelle probabili 63 miliardi e quelle possibili 22 miliardi, per un totale di 134 miliardi di metri cubi); i soli 16 giacimenti sopra citati aumenterebbero quindi le riserve di più di 1/5.

I due articoli successivi riguarderanno specificamente lo shale oil.

Siamo stati invogliati ad occuparcene anche dalla trascuratezza dell’informazione disponibile: un articoletto ogni tanto e qualche accenno critptico. Unica eccezione il numero monografico n. 6 del 2003 della rivista “LiMeS” su Il Nostro Oriente: I Balcani alle Porte, Europa Baltica e Europa Adriatica. Speriamo che le nostre analisi servano a riportare questi importanti fatti a conoscenza dell’opinione pubblica.

Come sottoprodotto importante del nostro lavoro è riemerso un pezzo della nostra storia nazionale, la storia della sovranità e della presenza italiana (e della Repubblica di Venezia) nell’Adriatico orientale, e quindi la questione giuliano-dalmata. Quasi sempre tenuta nascosta, pensiamo debba essere riaperta sul piano storico ed informativo, e non assolutamente sul piano delle rivendicazioni territoriali o della resa dei conti. E’ la storia delle migliaia di eliminati o infoibati (da 4.500 a 20.000 secondo le fonti, 12.000 secondo il CLN) e degli altri che hanno affrontato l’“esodo”, come loro stessi lo chiamano. Si tratta di circa 250.000-270.000 persone (cifra minima citata 200.000, massima 350.000, 55% italiani autoctoni, 28% italiani di altre regioni, 27% slavi, ossia cittadini che preferirono rientrare in Italia per star lontani dal regime titino o magari così classificati solo perché portavano un cognome non italiano); di questi, il 30% emigrò all’estero, la maggioranza si rifugiò a Trieste, Gorizia, nel Friuli, nella grandi città del Nord); altri vennero a Roma, negli insediamenti di baracche al Villaggio Operaio (poi Villaggio Giuliano) all’EUR, al Villaggio San Giorgio ad Acilia, ammucchiati nei casermoni della Via Casilina a Porta Maggiore.

Non è stato certamente un episodio simile alla Shoah degli ebrei italiani, neanche un genocidio – dicono gli storici – ma certamente una catastrofe. E se non la si conosce, non si capiscono fino in fondo le radici del contenzioso Italia-Croazia per gli idrocarburi nell’Adriatico. 

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