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A PROPOSITO DELLE STATISTICHE SANITARIE

La difficile verità

di: Francesco Mauro
I metodi, le applicazioni e le difficoltà dell’impiego delle statistiche sanitarie per valutare l’esistenza di relazioni dose-effetto nell’uomo e in sistemi interni all’organismo umano vengono discussi in relazione a: il ruolo della significatività statistica, la rilevanza dei meccanismi d’azione probabilistici e la complessità dei fattori coinvolti. Le distorsioni causate da un uso sbagliato di questi metodi si ritrovano negli organi di informazione ed anche nelle istituzioni e nei procedimenti giudiziari.


 

Partiamo da alcune definizioni di epidemiologia:

  1. Il ramo della medicina che tratta dello studio delle cause, della distribuzione e del controllo delle malattie nelle popolazioni. (American Heritage Dictionary).
  2. Lo studio (o la scienza dello studio) dei pattern, cause, ed effetti delle condizioni di salute e malattia in popolazioni definite. (Wikipedia).
  3. Lo studio della salute e delle malattie in una popolazione con enfasi sulla spiegazione della causa ed effetto. (eHow).
  4. Un ramo della scienza medica che tratta dell’incidenza, distribuzione, e controllo della malattia in una popolazione. (Merriam-Webster).
  5. Ramo della scienza medica che studia la distribuzione della malattia in popolazioni umane ed i fattori che determinano tale distribuzione impiegando soprattutto metodi statistici; a differenza di altre discipline mediche, l’epidemiologia si occupa di gruppi di individui piuttosto che di singoli pazienti. (Encyclopaedia Britannica).
  6. Ramo della medicina che studia le cause delle malattie epidemiche. (dizionari.corriere.it).
  7. Scienza medica che studia, a fini soprattutto preventivi, l’entità e le vie della diffusione delle malattie (specialmente di quelle infettive), mirando a individuare le condizioni organiche, ambientali, demografiche e sociali che possono favorire o contrastare il loro sviluppo. (Vocabolario Treccani).

E’ importante notare che, nelle prime cinque definizioni, all’origine scritte in inglese, che sono fra le più lette e utilizzate da professionisti e normali lettori, in tutti i casi ci si riferisce a studi e ricerche condotti su una o più popolazioni. Nella altre due definizioni, molto lette sull’internet nella lingua italiana, la specificazione della popolazione si perde, ed inoltre lo studio viene limitato in un caso alle malattie epidemiche.

In entrambi i gruppi di definizioni, siamo lontani dall’atteggiamento sia della maggioranza degli addetti alla comunicazione che dei singoli cittadini, ove è manifesta la tendenza ad usare il termine, e in qualche caso i metodi, anche per commentare o denunciare singoli o piccoli numeri di casi sospetti e situazioni non epidemiche.

Per completare questa prima ricognizione, vediamo una definizione standard di malattia e di epidemia:

- Malattia è qualsiasi stato patologico o alterazione dell’organismo o di un suo organo o tessuto da un punto di vista anatomico o funzionale (in italiano: malattia = stato di male; in inglese: dis-ease = diverso dal facile, dis-agio).

- Epidemia, da “epi” = sopra e “demos” = gente, è ciò che si osserva quando nuovi casi di una determinata malattia, in una data popolazione umana (o animale), si verificano e, per un certo periodo, sostanzialmente eccedono il numero di casi che ci si aspetterebbe sulla base dell’esperienza recente.

Con il termine di epidemia ci si riferisce tradizionalmente a una malattia infettiva, ossia un fenomeno patologico che può insorgere quando un parassita (virale, batterico, fungino, ecc.) approfitta di una maggiore sensibilità della popolazione ospite, in genere verificatasi a causa di un cambiamento genetico nell’ospite o nel parassita. Quando l’epidemia è ristretta dapprima a una località precisa ma poi si diffonde in altri paesi o continenti e coinvolge un numero sostanziale di individui, allora viene chiamata pandemia.

 

Per una epidemiologia corretta
Dopo un uso inizialmente limitato dell’epidemiologia allo studio delle malattie infettive, gli esperti e poi i media e l’opinione pubblica, a partire all’incirca dagli anni immediatamente successivi alla II Guerra Mondiale, hanno cominciato ad applicare la stessa terminologia ed eventualmente le relative metodologie statistiche e di analisi dei dati alle malattie neoplastiche e alle patologie causate da incidenti traumatici, soprattutto nel traffico; solo molto recentemente l’uso si è esteso alla malattie cardiovascolari e, in modo ancora titubante, alle malattie degenerative. Metodi statistico-epidemiologici vengono quindi utilizzati per studiare l’insorgenza di tumori o, più precisamente, di quei casi per i quali ci siano sospetti che essi possano essere indotti, in modo univoco (o, più frequentemente, come una delle possibili cause o concause), da agenti ambientali. Inoltre, l’estensione ai tumori dell’approccio epidemiologico usato per le malattie infettive si è sviluppata in parallelo all’introduzione di terapie antineoplastiche relativamente simili alle terapie antibatteriche, basate sull’eradicazione di popolazioni cellulari maligne.

 

Le indagini terapeutiche
In verità, nel caso di malattie come i tumori, la maggior esperienza di studi statistici è stata costruita non tanto sull’insorgenza causale del fenomeno, quanto sulle indagini di statistica medica da condurre per valutare i diversi approcci terapeutici. L’uso sempre maggiore delle radiazioni ionizzanti (già impiegate a fini di diagnostica) per trattamenti antitumorali e degli agenti chemioterapici antineoplastici (sulla scorta dell’uso degli antibiotici contro le malattie infettive batteriche) ha condotto alla fissazione di regole rigorose per i trial clinici sperimentali, in aggiunta alla “revisione tra pari” delle pubblicazioni scientifiche. Questi vari approcci favoriscono lo stabilirsi di un consenso scientifico su cui si basano le autorità internazionali, regionali e nazionali per autorizzare l’impiego e la commercializzazione di farmaci, protocolli e strumentazione terapeutica.

Nei trial clinici, ossia quello stadio della ricerca in cui, dopo studi di modellistica, sui meccanismi d’azione e sugli effetti in vitro, si provano gli agenti terapeutici o comunque agenti di origine esterna all’organismo su pazienti umani (scelti in genere in situazioni ove altri tipi di trattamento o esposizione sono stati già tentati, e previo consenso informato) secondo le seguenti modalità:

- fase 0: per gli studi di laboratorio o osservazioni aneddotiche;

- fase 1: in cui l’attenzione è concentrata solo sugli effetti secondari;

- fase 2: in cui si osserva l’effetto (positivo o negativo) in termini non statisticamente significativi;

- fase 3 per trial controllati e randomizzati e possibilmente multicentrici, che includono non solo eventi specifici ma qualità della vita e fenomeni rilevanti (malattia o morte) evitati, mentre vi è scetticismo sull’uso di “end-point“surrogati;

- fase 4 follow-up di lunga durata degli effetti osservati o osservabili.

Questo schema per fasi è ovviamente indirizzato soprattutto a studi con agenti terapeutici, ma può essere seguito, mutatis mutandis, per agenti nocivi. E’ evidente l’importanza che viene attribuita alla significatività statistica e alla scelta e composizione del campione.                 

Gli studi epidemiologici, per essere corretti, devono rispettare le seguenti regole che permettono alle metodologie dell’epidemiologia di formare le basi della ricerca sulla salute e l’igiene pubblico:

- Attraverso la raccolta dei dati e la loro analisi, vanno costruiti modelli statistici che permettano di prevedere pattern di malattia e malessere.

- La scelta dell’ipotesi del modello statistico si deve avvalere dell’esperienza di ricercatori in scienze sociali, biologia, medicina, matematica, statistica, psicologia, politiche sociali, e antropologia, ossia in tutte le discipline coinvolte.

- Relazioni causa-effetto vengono stabilite in base alla consistenza delle osservazioni, all’individuazione di una causa ragionevole (con un modello del possibile meccanismo di azione), alla verifica di una probabilità basata sull’esistenza di fattori simili.

- L’epidemiologia può essere descrittiva su specifici gruppi di popolazione oppure analitica comparando più gruppi o ancora sperimentale/clinica.

- Difficoltà di indagine si verificano per i fattori di rischio multipli e le patologie multifattoriali.

Una estrema prudenza è infine necessaria allorquando si pratica l’epidemiologia spaziale, ossia la ricerca di relazioni causa-effetto in zone territorialmente delimitate (ad esempio, province), per una serie di fattori di confondimento come la comparabilità delle diverse zone in termini geografici ed umani, e la stessa eterogeneità e stratificazione delle popolazioni.

Da queste prime considerazioni emerge quello che può essere definito un contesto vincolante, e cioè che, quando si studia l’eventualità di una relazione causa-effetto, in genere in una situazione di sospetta nocività (naturale o artificiale) di un certo sito, non si sta in realtà operando in un contesto di ricerca in ambito epidemiologico. Si stanno certamente utilizzando – cosa peraltro non facile – alcuni metodi dell’analisi epidemiologica e della statistica medica e biomedica, ma questo è solo un aspetto dell’approccio. A questa metodologia ed ai suoi risultati vanno aggiunti obbligatoriamente:

- un’analisi dei contributi antropologici sia per quel che riguarda le percezioni del problema specifico, sia l’eterogeneità della popolazione;

- una ricognizione ed un’analisi dell’eventuale presenza di concause e situazioni multifattoriali;

- una ricerca della possibilità di individuare zone precise a cui attribuire valori di “dose”o “esposizione”;

-          ed infine – scelta metodologica che spesso esula del tutto dell’analisi in corso – la definizione di un modello (teorico o sperimentale) del meccanismo di danno e la sua verifica rispetto ai dati osservati (sperimentali o epidemiologici).

 

Il modello e l’essere umano

E’ sempre opportuno non basarsi quindi solamente sull’osservazione di un effetto, ma ipotizzare un modello (il più) possibile del meccanismo d’azione che dovrebbe essere all’origine dell’effetto di interesse e definire la differenza tra questo meccanismo e eventuali meccanismi e agenti concorrenti o concomitanti. In questo quadro, l’obiezione frequente, che i dati osservati in vitro o su altre specie non siano validi per l’uomo è in genere priva di valore, dato che da tali osservazioni può risultare una sensibilità diversa ma non una “forma” diversa della relazione dose-effetto (o dose-risposta) che, a sua volta, può rappresentare un indizio del meccanismo d’azione. Ad esempio, la curva che descrive la relazione dose-effetto per un agente nocivo fisico (radiazioni) o per gran parte degli agenti chimici può presentare nei mammiferi sia una “spalla” che una “soglia” iniziale (vedi figure).

Queste differenze nella forma delle curve dose-risposta si osservano facilmente quando i dati vengono riportati su un grafico dove sull’asse orizzontale (ascissa) è indicata la dose e sull’asse verticale (ordinata) l’effetto. Nella curva con “soglia” si può notare come nella regione delle bassi dosi, al di sotto di una certa dose, non si abbia effetto alcuno: in altre parole, esiste una dose-soglia sotto la quale non si ha effetto. Nella curva con “spalla” invece vi è un effetto, seppur molto piccolo, alla basse dosi, che mano mano aumenta con l’aumentare della dose: in altre parole, non esiste una dose ove non si verifichi un effetto per quanto marginale o limitato ad una frazione minima della popolazione. In genere, la “spalla” viene interpretata come dovuta al fatto che, pur essendo sensibile a qualsiasi dose, la cellule o l’organismo siano dotati di sistemi naturali di riparazione che esercitano il loro effetto fino ad una certa dose. Nella curva con “soglia” invece si tratterebbe di una resistenza intrinseca alle dosi iniziali. Le due forme della curva (nonché la forma lineare semplice senza tratti iniziali particolari, che talvolta anche si osserva anche se in genere non nei mammiferi e gli altri eucarioti) potrebbero riferirsi a classi diverse di meccanismo di danno: ad esempio, le radiazioni ionizzanti per la curva con”spalla” e alcuni alcaloidi per la curva con “soglia”.

Queste osservazioni si applicano all’uomo indipendentemente dalle differenze di radiosensibilità tra le diverse specie (che può essere facilmente messa in evidenza dalla pendenza del tratto rettilineo su grafico semilogaritmico della curva, ossia un grafico in cui l’effetto è indicato con il logaritmo dell’effetto).

Curve dose-risposta per agenti nocivi. Sulla destra una curva con “soglia” iniziale, sulla sinistra una curva con “spalla” iniziale. Vedi testo.

Curva dose-risposta per agenti nocivi. Sulla destra una curva con “soglia” iniziale, sulla sinistra una curva lineare. Vedi testo.

La costruzione di modelli rende necessario fare i conti con le popolazioni dei “bersagli”, che non si limitano a popolazioni di esseri umani o di altri organismi. Nella realtà, esistono entità aggregate di diverso livello che costituiscono gli organismi, sul versante del “più piccolo”, e diversi livelli di popolazione sul versante del “più grande”. Più precisamente:

- un organismo multicellulare – un individuo - è costituito normalmente da popolazioni di cellule organizzate in organi e tessuti;

- le popolazioni cellulari, pur provenendo tutte nello stesso organismo dallo stesso zigote, grazie al fenomeno del differenziamento sono diverse tra loro morfologicamente e per condizioni di proliferazione (con una capacità o meno di rigenerarsi);

- le cellule contengono unità discrete (geni, regioni di DNA e, nelle cellule eucariotiche, cromosomi, centrioli e fuso mitotico, altri organelli) al loro interno che, a seguito di interazioni probabilistiche, possono controllare l’integrità cellulare ed eventualmente esibire fenomeni di citotossicità o cancerogenesi;

- il rimanente materiale cellulare comprende altri organelli e membrane e, nel citoplasma e nello stesso nucleo cellulare, una grande varietà di macromolecole, acidi nucleici e proteine.

I vari livelli di organizzazione esplicano funzioni diverse e sono soggetti a tipi di danno diversi. Le popolazioni di individui/organismi possono riguardare diversi gruppi dell’organizzazione umana (famiglie, clan, gruppi etnici), gruppi con un diverso stato medico-sanitario (malati, portatori sani di organismi infettivi, portatori sani di geni patologici o predisponenti, individui caratterizzati da comportamenti particolari), gruppi di lavoratori esposti, gruppi sul territorio (nazioni, regioni, province, comuni, unità statistico-territoriali minori o equivalenti), o addirittura l’intera specie. Se si considerano anche i problemi di omogeneità dei campioni in termini di età, genere, storia pregressa, ecc., si comprendono i problemi del rilevamento statistico. Due particolari fattori di confondimento vanno ricordati: la disomogeneità geografica e antropologica dei territori (si pensi alle province e ai criteri con cui sono disegnate) e la mancanza spesso di subunità che permettano di paragonare fra di loro porzioni di grandi città.

 

Caratteristiche del danno
In genere, i meccanismi di azione che inducono effetti rilevanti nell’essere umano (danni proliferativi, letalità, insorgenza di tumori, mortalità da tumori, mortalità infantile, mutazioni, aberrazioni, ecc.) sono riconducibili ad effetti a livello cellulare e molecolare-cellulare. Nella cellula esistono organelli e funzioni che controllano la salute cellulare e se “colpiti” possono produrre un danno che si ripercuote e si osserva a livello di organismo. Spesso la natura dell’agente nocivo è tale che l’organello-bersaglio viene colpito a caso. Senza entrare nel dettaglio della teoria, detta appunto “teoria del bersaglio”, è essenziale ricordare che questo danno è di tipo probabilistico e che la relativa relazione dose-effetto spesso non presenta una “soglia” ma bensì , come sopra ricordato, una “spalla” iniziale che caratterizza appunto un danno probabilistico riparabile.

Sono agenti con meccanismi d’azione probabilistici le radiazioni ionizzanti, i raggi ultravioletti, buona parte dei principali agenti chimici (compresi alcuni farmaci: “l’arma a doppio taglio”, con azione terapeutica ma anche effetti secondari nocivi) e degli agenti biologici (soprattutto i virus). Sono agenti con meccanismi d’azione non-probabilistici il calore, gli agenti fisici con effetti traumatici, la rimanente parte degli agenti chimici e biologici con effetti “tutto o nulla.“

 

Le difficoltà sul campo
A questo punto, diventa possibile apprezzare le difficoltà nell’utilizzare i metodi statistici dell’epidemiologia su popolazioni reali. Prendiamo il caso – peraltro fra quelli di maggior interesse – dell’insorgenza di tumori o della mortalità da tumori. Qualsiasi osservazione si svolge con sullo sfondo un background molto alto di tumori indotti da cause “naturali”. Gli italiani che vivono con una diagnosi di tumore sono circa 2.250.000, il 4% della popolazione; la mortalità per tumore è di 220,5 per 100.000 abitanti; i nuovi tumori sono 250.000 all’anno (nel 2010); i tumori sono la seconda causa di morte in Italia con oltre 70.000 decessi in un anno. La dizione cause “naturali” o tumore “spontaneo” non deve ingannare, dato che la maggioranza dei tumori insorge per effetto dell’azione di agenti cancerogeni, siano essi di origine artificiale o naturale; i dati indicano che questi ultimi sono la maggioranza, ingeriti con gli alimenti naturali e per altre vie, con un qualche ruolo dei fattori genetici.

L’osservazione dell’induzione di tumori da parte di agenti introdotti nell’ambiente dall’uomo si scontra con una “tenaglia epidemiologica”: un’esposizione a basse dosi con una piccola frazione di danneggiati e un numero molto alto di casi di background oppure un’esposizione ad alte dosi con un’ampia frazione di danneggiati ma una popolazione al contorno molto piccola. In entrambi i casi, l’errore può essere ampio e rendere ancor più difficile l’osservazione di un eventuale effetto.

Con questi limiti, l’unico sistema con cui è possibile mettere in evidenza un eventuale effetto è, a  fronte di una linea di base dell’effetto dovuto ad altre cause, studiare gli eventuali effetti dell’agente sospettato a dosi di esposizione diverse, possibilmente stabilite mediante l’individuazione di porzioni di territorio rappresentative di dosi diverse. Anche così, c’è sempre la possibilità di fattori di confondimento e effetti multifattoriali.

 

Alcune indicazioni
Gli inconvenienti fin qui descritti suggeriscono che le indagini con metodi statistici siano riservate a situazioni epidemiche, e non, per quanto possibile, al riconoscimento di relazioni dose-effetto. Non è un caso che la IARC (l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) determini la cancerogenicità di un agente nocivo sulla base di indicazioni diverse di cui le osservazioni statistiche sull’uomo sono solo una parte. Di fatto, osservazioni valide si sono ottenute soprattutto per le radiazioni ionizzanti (comprese Hiroshima e Nagasaki). La situazione delle indagini può essere diversa ed i risultati più probanti nel caso di tumori che sono noti per essere indotti specificamente e di fatto unicamente da un determinato agente (ad esempio, il mesotelioma indotto dall’amianto).

Purtroppo l’opinione pubblica, i mezzi di comunicazione di massa, i decisori e la magistratura sono particolarmente affezionati a quelli che chiamano metodi epidemiologici; questo avviene semplicemente per la ragione che essi appaiono (più) comprensibili. La magistratura insiste anche per giudizi tranchant sulla relazione di causalità che sono in contraddizione con la natura probabilistica dei fenomeni.

Si ritiene pertanto necessario insistere con decisione sulla necessità di procedere in modo corretto e prudenziale a raccogliere e utilizzare dati del tipo descritto, e di impiegare, a fini preventivi o di mitigazione del danno, principi come quello noto come ALARA: as low as reasonably achievable; o altri approcci simili.

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