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MEDICI E GUARITORI

La Ricerca della Salute nel Mondo Contemporaneo

Scritto il .

di: Francesco Mauro
Uno dei problemi che sembra essere diventato tipico ed endemico nei paesi industrializzati è quello relativo alla disponibilità e alla regolamentazione sia delle terapie “alternative”, comprese quelle “tradizionali”, sia delle terapie definite come tali dal proprio “inventore”. Il problema viene analizzato ripercorrendo gli aspetti biomedici, legali e della comunicazione dei tre principali casi: il siero Bonifacio, il multitrattamento Di Bella e il metodo Stamina.



L’“inventore” di una terapia “alternativa” (cosa ben diversa da una medicina alternativa come l’omeopatia o alcune pratiche orientali), anche se in buona fede, spesso non è in possesso di tutte le competenze scientifico-tecniche e dei riconoscimenti professionali necessari ad operare in un  qualche settore delle scienze biomediche; ed inoltre spesso procede in modo tale da non fornire, con varie giustificazioni, elementi sufficienti per valutare il rimedio proposto, che sia terapeutico o altro.

Sul piano medico-giuridico la questione è complessa e difficile. Presidi terapeutici non ancora provati, ma di cui sono note proprietà che inducono alla continuazione della sperimentazione e che non producano ulteriori fenomeni patologici inaccettabili nei pazienti, potrebbero anche essere impiegati come cure “compassionevoli” in pazienti terminali o nei quali siano stati utilizzati tutti i metodi già disponibili alla scienza medica. Un caso relativamente frequente è quello del paziente che vuole cambiare cura in quanto non ritiene soddisfacente quella in corso, anche se questa necessita di ulteriore tempo per esercitare il proprio effetto.

L’Italia ha una storia variegata e complessa della richiesta di applicazione di questi metodi ed è probabilmente vulnerabile alla propaganda da parte dei fautori di un particolare metodo.

Brevemente, in tempi relativamente recenti, il primo caso con una certa notorietà nel nostro paese è stato quello del “siero Bonifacio”, preparato negli anni ’60 da un veterinario, Liborio Bonifacio (1908-1983), utilizzando feci e urine di capra. Il supposto siero antitumorale, brevettato poi con il nome di Oncoclasina dal figlio dell’inventore, anche egli veterinario, si basava dichiaratamente sulla convinzione errata che le capre non fossero soggette a neoplasie. Chi scrive è testimone del fatto che, già allora, la presenza di tumori in alcune capre (allevate in ovile e all’aperto) era nota, come in tutti i mammiferi, specialmente in quelle che non venivano macellate in giovane età. La presunta cura ottenne grande risalto sulla stampa nel 1969 anche a seguito del lungo “pellegrinaggio” di pazienti che veniva a sua volta stimolato dalle notizie a mezzo stampa. Venne anche promossa una raccolta di fondi per consentire al Bonifacio di produrre il siero per le persone che lo richiedeva, che alla fine portò alla raccolta di 25 milioni di lire. Il risalto mediatico dato dai giornali alla vicenda spinse l'allora Ministro della sanità Camillo Ripamonti ad autorizzarne la sperimentazione, condotta su 16 pazienti, con risultati deludenti (4 morirono durante la sperimentazione) da suggerirne l’interruzione dopo 16 giorni. Bonifacio continuò a produrre e distribuire il siero, ma l’iniziativa si esaurì presto dopo la sua morte.

Il successivo caso di grande risonanza in Italia è stato il cosiddetto metodo Di Bella (o multitrattamento Di Bella, MDB) descritto come una terapia alternativa per il trattamento dei tumori. Messa a punto lavorando a un livello molto più sofisticato  rispetto al precedente, la terapia è comunque priva di riscontri scientifici circa i suoi fondamenti e la sua efficacia. Ideata dal medico e fisiologo Luigi Di Bella (1912-2003), fra il 1997 e il 1998, la cura si basava su un “cocktail” di farmaci, come molte altre terapie antineoplastiche, contenente:

Questi farmaci costituivano il cosiddetto "modulo fisso" del trattamento. Altri farmaci, di volta in volta diversi (come l'ACTH) venivano utilizzati a seconda del tipo di tumore. La somatostatina (e il suo analogo octreotide), era già nota per una limitata azione anti-cancro, ma di efficacia di breve durata e non priva di effetti secondari. Anche l'analisi degli studi sulla molecola non ha mostrato particolari effetti antitumorali se si escludono quelli sui tumori neuroendocrini per i quali la sostanza è già utilizzata da tempo. L'ACTH invece è un ormone in grado di causare la sindrome di Cushing, diabete mellito, osteoporosi, ipertensione, immunosoppressione e depressione.

Si può notare come un cocktail di questo tipo sia caratterizzato, sulla base della sperimentazione riportata dalla letteratura scientifica, da una presumibile azione antineoplastica molto bassa ma da componenti che possono facilitare condizioni o sensazioni temporanee di benessere e favorire l’instaurarsi di una buona condizione generale nei limiti ovviamente della malattia in corso, ricorrendo per altro a composti noti alla farmacopea. Questo metodo può comportare quindi un abbandono di altre terapie, più efficaci ma meno “soddisfacenti”, con danno per il paziente.

Il metodo Di Bella è stato oggetto di una grande attenzione da parte dei media italiani che ha di fatto favorito una serie di impegni per volontà “politica”. L’analisi retrospettiva non ha portato però a risultati probanti data l’insufficienza dei parametri riportati nelle cartelle cliniche fornite. La sperimentazione condotta nel 1999 dal Ministero della salute (ministro Rosy Bindi) dichiarò la sostanziale "inattività", cioè l'inefficacia terapeutica del trattamento; i risultati furono pubblicati sul British Medical Journal (318: 224-228, 1999), una delle migliori riviste mediche con revisione dei dati prima della pubblicazione. Vennero inoltre osservate le curve di sopravvivenza dei pazienti sottoposti allo studio, che rientravano nei parametri delle curve relative alle specifiche forme di tumore in assenza di trattamento. Il giudizio negativo fu confermato nel 2005 dal Consiglio Superiore di Sanità, anche allo scopo di evitare che il ricorso al metodo portasse alla mancata utilizzazione di farmaci più efficaci.

Il metodo Stamina è un trattamento, per così dire, ancor più controverso, non essendo stato “inventato” nè da un medico e neanche da un ricercatore o da un professionista in qualche modo legato dal milieu biomedico, ma da un professore di scienze della comunicazione, Davide Vannoni, che afferma di essere stato trattato con questa terapia da ricercatori ucraini (Vjaceslav Klimenko e Elena Scagelskaja) ed ha costituito una Stamina Foundation per la cura delle malattie neurodegenerative mediante un metodo basato sulla conversione di cellule staminali mesenchimali in neuroni.

Il metodo è tenuto segreto dai suoi promotori e privo di una validazione scientifica che ne attesti l'efficacia terapeutica. Non risulta la pubblicazione di alcun articolo sul metodo Stamina su riviste scientifiche con processi di revisione paritaria; i brevetti citati sono soltanto domande di brevetto conclusesi negativamente o in attesa di risposta alle ulteriori domande degli esaminatori. E’ opportune chiarire che l’esistenza delle cellule staminali è nota da decenni (chi scrive conserva testi scientifici ufficiali in merito risalenti al 1966) come pure la possibilità teorica di utilizzarle per sostituire cellule patologiche. Ma questa ipotesi di lavoro si scontra nella pratica con il problema di far sì che tali cellule si convertano nelle cellule che si vogliono sostituire al tempo e nel modo voluto ed essendo state pilotate a raggiungere un luogo anatomico-funzionale specifico, superando rischi biologici di ogni tipo.

Il Parlamento italiano ha deciso, in seguito ad una fortissima pressione dei media, l'avvio di una sperimentazione nel maggio 2013 nonostante il parere scientifico consensualmente negativo. La questione è stata contrassegnata da discussioni, ricorsi, pareri, appelli, prese di posizioni internazionali, interventi della magistratura.

Sul finire di agosto,  i NAS di Torino hanno sequestrato le cellule staminali destinate alle infusioni presso gli Spedali Civili di Brescia, a seguito di un atto della Procura di Torino nell'ambito dell'inchiesta del procuratore Guariniello sulla vicenda Stamina, al fine di impedire la prosecuzione di "attività delittuose". Il provvedimento, di 80 pagine, è del gip Francesca Christillin e affida al direttore della struttura sanitaria la custodia delle cellule e delle attrezzature con l’incarico di "salvaguardare la vitalità delle cellule" e "la funzionalità di ogni materiale". Sembra però che in alcuni campioni analizzati in precedenza non vi sia stata traccia di cellule integre, mentre si è riscontrata la presenza di materiale non igienico. Nelle carte del procedimento si sottolinea che in tutto sono 172 i giudici che, in Italia, hanno detto "no" alle richieste di sottoporre i pazienti alla metodica Stamina di Davide Vannoni. I giudici che si sono pronunciati a favore del trattamento sono 164. Nelle carte del sequestro, però, si sottolinea che i loro provvedimenti, "al di là del rispetto che gli è dovuto", hanno "finalità autonome e distinte" e non intervengono sulla "legittimità o non legittimità delle attività delittuose" ma su altri aspetti. Comunque, la discrasia presente al proposito nella magistratura è certamente un ulteriore aspetto problematico da registrare.

Anche le parole di due premi Nobel per la medicina sono citate nel procedimento del tribunale di Torino che ha portato al blocco della sperimentazione con le cellule staminali presso gli Spedali Civili di Brescia. Lo statunitense Randy Schekman e il giapponese Shinya Yamanaka (presidente dell'ISSCR, la società internazionale per la ricerca sulle cellule staminali), che nei mesi scorsi non hanno risparmiato critiche alla metodica, compaiono tra le "valutazioni scientifiche" su cui si basano le conclusioni del lavoro dei carabinieri del NAS e del pm Raffaele Guariniello. Ci sono anche i pareri negativi di autorità sanitarie italiane come l'AIFA (agenzia del farmaco), il Ministero della salute, comitati tecnico-scientifici, oltre a una pronuncia della Corte di giustizia europea. Gli effetti del metodo risultano non misurati scientificamente e obiettivamente ma appaiono frutto di esagerazione o delle terapie adiuvanti cui i pazienti vengono sottoposti o della normale metabolismo presente anche in casi altrimenti patologici. Anche l'AIFA, dopo l'ispezione del 2013 presso l’ospedale di Brescia, ha sottoposto ad analisi le cartelle cliniche di 36 pazienti: da esse non risulta alcun miglioramento nei pazienti salvo che in tre casi e solo in base a valutazioni soggettive.

L’Italia è un paese difficile dal punto di vista della medicina “alternativa” e degli approcci non convenzionali. Il paese è sede di medicina organizzata da epoca antica, almeno dal tempo dell’inaugurazione del Tempio di Esculapio a Roma all’Isola Tiberina nel 289 a.C. (a seguito di un epidemia nel 293 a.C.); in seguito è stata contrassegnata dalla fondazione dell’Arcispedale di Santo Spirito dei Sassoni nei presi del Vaticano (VII secolo), dei Lazzaretti di Roma sulla Via Francigena e sulla Via Ardeatina (X secolo), delle università di medicina della Schola Salernitana (XI secolo) e dell’Alma Mater di Bologna (XIV secolo), dell’Opera Pia Ebraica di Roma (1600, poi Ospedale Israelitico). Ma è anche sede di antichi culti e misteri con risvolti medici: culti pagani e neo-pagani, cultura medica di origine araba e talmudica nel regno di Sicilia, i tarantolati, i timorati di Iside, delle janare di Benevento, dei monacielli di Napoli, ecc.), la devozione agiografica per i santi medici e biologi Cosma e Damiano gemelli “anargiri”. E poi le venerate icone mariane: Salus infirmorum (XII secolo, Litanie Lauretane), Salus Populi Romani (1240, Regina coeli, laetare, alleluia), Sancta Maria ad Magos (1295), Santa Casa di Loreto (1296), ed in tempi moderni: Vergine del Rosario di Pompei (1901), Madonna delle Lacrime di Siracusa (1953). La componente italiana è assai importante nei pellegrinaggi degli infermi ai santuari mariani di Lourdes (1864) e di Medjugorije (1981, non riconosciuto dalla Chiesa).

Anche la subalternità delle materie scientifiche di interesse medico nei programmi scolastici, dopo Ia riforma Gentile (1923), può aver fatto la sua parte degradando la fenomenologia biomedica ad “epifenomeni”. In questo quadro storico-religioso, una tendenza popolare  - diffusa peraltro in molti strati sociali - ad una medicina miracolistica non è affatto sorprendente e, entro certi limiti, rientra nell’elaborazione dei diritti della persona e nell’esercizio delle libertà personali. Ma vi sono una serie di caveat che vanno rispettati:

- deve essere garantita la salute dei cittadini a fronte degli effetti degli agenti nocivi fisici, chimici e biologici di origine naturale e antropica;

- il cittadino-persona e la sua famiglia deve essere difeso legalmente e culturalmente contro l’azione di truffatori e profittatori, mariuoli ed incompetenti, nonché contro eventuali comportamenti inadeguati e arroganti da parte del personale medico e paramedico;

- la sperimentazione deve essere svolta secondo le indicazioni degli esperti, dei comitati etici, delle strutture scientifiche, delle autorità preposte e sulla base del corpus di norme a livello nazionale, europeo e mondiale;

- la sperimentazione con farmaci e metodi non sostenuti da precedenti preliminari indagini e da ipotesi di lavoro razionali  anche se insufficienti risultati di ricerca, non può essere finanziata in modo obbligato da parte dello stato o comportare impegni obbligatori per i trattamenti;

- bisogna lavorare alacremente per favorire atteggiamenti armonizzati nella magistratura, fra magistratura e politici, tra costoro e gli esperti, cittadini e utenti.  

In conclusione, va notata una contraddizione: spesso sono le stesse componenti della società che richiedono di attuare ad libitum i propri “bisogni sanitari“ sulla base di approcci alterativi non provati, e che reclamano organizzazione, efficienza, controllo e capacità di “enforcement” da parte della sanità pubblica.

Nota: Un articolo sulla sperimentazione clinica umana è in preparazione. 

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