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EPIDEMIE E PANDEMIE

Le guerre invisibili*

Scritto il .

di: Francesco Mauro
Epidemie e pandemie sono spesso trattate come una classe di disastri naturali. In effetti, il rischio dovuto alla diffusione di malattie infettive è simile agli altri tipi di rischio salvo che l’agente che lo causa è un agente biologico. Ma è altresì vero che esistono a questo proposito due differenze: la tempistica con cui l’infezione si verifica e l'effetto che l’uomo può avere sulla popolazione dell’agente infettivo. Epidemie e pandemie fanno parte del complesso dei fenomeni che determinano lo stato di salute di una popolazione umana e in particolare parametri come la durata della vita. In questo, la situazione italiana appare una delle migliori a livello comparativo internazionale per una serie di meccanismi che interagiscono fra di loro.



Introduzione e definizioni

Epidemia. La comparsa di nuovi casi di una certa malattia, che si diffondono rapidamente ed estesamente, in generale (ma non necessariamente) per via infettiva, in una data popolazione umana e durante un determinato periodo di tempo, in pratica superando il numero di casi “atteso” in base alla esperienza recente (in un’area dove detta malattia presenta una bassa incidenza o è assente del tutto).

Epizoosi. Un’epidemia che affligge una popolazione relativamente ampia o un gran numero di animali appartenenti alla stessa specie in una determinata area geografica.

L’epidemia costituisce un fenomeno ben definito per quel che riguarda il meccanismo d’azione e l’estensione della diffusione. Il meccanismo si basa sul passaggio, diretto o indiretto, dell’agente infettante e quindi della malattia da un individuo suscettibile ad un altro; individui immuni o resistenti possono essere portatori sani dell’agente. La diffusione epidemica può iniziare con un tempo assai lungo di incubazione, per poi essere improvvisa, rapida, ampia e diffusa. Naturalmente, come spesso avviene per i fenomeni biologici, frequentemente il fenomeno non è così semplice:

Endemia. Un’infezione capace di mantenersi, passando da un individuo suscettibile all’altro, all’interno di un popolazione umana o animale, senza contributi provenienti dall’esterno, e costituendo così una riserva di agenti infettivi che potrebbero in futuro dare origine a nuove epidemie.

Pandemia. Un’epidemia che colpisce gli uomini o gli animali su un territorio molto vasto, anche continentale o più vasto di un continente o su scala globale planetaria.

 

Gli agenti biologici
Le malattie infettive epidemiche sono causate da organismi biologici, detti patogeni, che si comportano come parassiti degli esseri umani o animali, appartenenti a diverse categorie che mettono in mostra caratteristiche diverse. Un primo gruppo di agenti biologici comprende categorie di organismi costituiti da singole cellule procariote (ossia, cellule relativamente “primitive” in cui non è distinguibile un nucleo separato dal citoplasma ed il DNA non si presenta organizzato in cromosomi condensati). Sono organismi procarioti:

• Batteri, ossia dei microorganismi che possono riprodursi anche al fuori delle cellule infettate, ma che possono comunque ledere queste ultime e con loro l'organismo con effetti patogenici. E’ da notare che esistono specie batteriche non patogene ed addirittura simbionti con l’uomo o con altre specie ospiti e quindi considerabili “utili”.

• Rickettsiae, simili ai batteri e sempre nocive ma capaci di sopravvivere solo all’interno dei tessuti viventi. 

Il batterio del colera, una tipica cellula procariotica: si noti l'assenza di nucleo con il DNA raggruppato (in rosa) ma non separato dal citoplasma

Vi sono poi i virus che, a rigor di termini, non sono degli organismi viventi, ma in pratica del materiale genetico impacchettato all'interno di un involucro proteico; essi sono capaci di rimanere nell’ambiente ma non di replicarsi tranne che nei casi in cui penetrano nelle cellule di un organismo ospite infettato e ne utilizzano il materiale costituente e in particolare gli acidi nucleici producendo numerosissimi nuovi virus ed uccidendo ovviamente la cellula. Alcuni virus possono utilizzare RNA invece di DNA come materiale genetico.

Vi è anche una categoria di agenti non-convenzionali, non classificabili come esseri viventi ed infatti non dotati di materiale genetico, una sorta di proteine con comportamento infettante, noti come "prioni", che sono associati con alcune malattie tipo le encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE, la sindrome detta della “mucca pazza”).

Il micidiale virus Ebola

Vi sono poi categorie di organismi monocellulari o multicellulari composti di cellule eucariote, ossia cellule più complesse, con il nucleo e diversi organelli distinguibili e con il materiale genetico racchiuso in cromosomi, tra cui:

• Funghi, in generale funghi monocellulari, capaci quando patogeni di indurre infezioni opportunistiche. 

• Protozoi, che sono cellule animali singole capaci di infezioni complesse, spesso sviluppate anche utilizzando un ospite intermedio.

• Parassiti multicellulari (vermi, acari, insetti, ecc.) degli organismi.

In una visione moderna, la specie umana – l’uomo moderno Homo sapiens sapiens – appartiene ad una sorta di complesso multi-specifico, di cui rappresenta il costituente centrale, a cui appartiene una vasta corte di organismi di altre specie (animali, piante e microorganismi) che hanno sviluppato una varietà di relazioni con l’uomo:

• simbionti: specie che convivono, talvolta con un rapporto di mutuo beneficio (mutualismo) o senza un beneficio reciproco obbligato;

• commensali: dove una specie approfitta dell’altra ma senza danneggiarla;

• inquilini: dove una specie vive dentro un’altra specie, anche in questo caso senza danni;

• parassiti: dove una specie cresce e si nutre a danno di un’altra specie, senza offrire alcuna assistenza o partecipazione alla vita dell’ospite.

A quest’ultima categoria appartengono ovviamente gli agenti infettivi. La complessità dell’insieme di specie del gruppo intorno all’uomo è ulteriormente complicata dall’esistenza delle specie domesticate dall’uomo stesso, che ne ha alterato (mediante accoppiamenti selettivi o la selezione di tratti genetici spontanei o indotti, con interventi  svolti negli ultimi 12.000 anni) i tratti genetici, fisiologici, dei cicli di vita e comportamentali. Questo allo scopo di provvedere l’uomo di una forza lavoro, mezzo di trasporto, assistenza nella difesa e nella guardiania, produzione di cibo, mangime, bevande, farmaci, vestiario, materiale da costruzione, compagnia e piacere estetico. Tutte queste specie sono una componente a pieno diritto dell’ambiente antropico e rappresentano un fenomeno globale che si articola nella grande varietà di ambienti sul pianeta che l’uomo è stato capace di occupare. Si tratta di specie non solo animali e vegetali, ma anche di microorganismi. E’ in questo ambiente complesso o complesso di ambienti che si mantengono le specie infettive che possono essere le cause di epidemie e pandemie.

Una popolazione di agenti biologici può anche essere completamente eliminata, cancellando così un certo rischio, cosa che non si può certo fare con gli altri disastri naturali. E' stato il caso del vaiolo, sottoposto ad un'azione voluta dal WHO (Organizzazione Mondiale della Sanità) basata sia su una vaccinazione di qualità che su un sistema particolarmente efficiente di allerta e contenimento, con un ultimo caso isolato nel 1977 in Somalia, dichiarato ufficialmente ereditato completamente nel 1979 (due campioni sono conservati a scopo precauzionali in due laboratori selezionati).

Le principali pandemie e epidemie note storicamente

Data

Località

Malattia

XIV secolo a.C.

Egitto, Medio Oriente

“La peste di Akhetatem” (possibili agenti: peste, polio, influenza)

463 a.C., 439 a.C.

Roma

Pestilenze riportate da Livio

430-429 a.C., 427-426 a.C.

Atene, Sparta, Grecia, Est Mediterraneo

“La peste di Atene”, epidemia ricorrente forse di origine africana via mare (possibili agenti: tifo epidemico o febbre tifoidea)

79

Campania

Epidemia dopo l’eruzione del Vesuvio, forse per danni al sistema delle fogne

125

Nord Africa, Nubia

“La peste di Orosio”, forse peste bubbonica con >1.000.000 di morti

165-180, 189

Impero Romano e resto d’Europa

“La peste di Antonino”(o di Galeno), forse vaiolo o varicella, ca. 10 milioni di morti

251-270

Impero Romano

“La peste di Cipriano” (o di Aureliano), forse una pandemia di vaiolo, picco di 5.000 morti/giorno a Roma

312

Impero Romano

Epidemia forse di vaiolo

541-542

Mondo

“La peste di Giustiniano”, probabile prima pandemia di peste bubbonica dall’Impero Bizantino a Asia, Arabia, Nilo, Europa, fino a 100 milioni di morti

622-639

622-639

Palestina

“La peste di Emmaus” (agente ignoto)

627-628, 634-642

Impero Sassanide (Persia)

Epidemia forse di peste

688-689

Mesopotamia

“La peste violenta tra i beduini”, 70.000 morti

706, 716-717

Mesopotamia

Epidemia di “peste”

747-748

Impero Bizantino

“La peste di Costantinopoli”

XIV secolo

Mondo

Peste bubbonica (forse la seconda pandemia di "Peste Nera" ma non del tutto escludibile una febbre emorragica): inizio in Cina 1334, picco in Europa 1347-1351, Nord Africa 1347-1349, Mecca 1349, Cina seconda ondata 1353-1354, Inghilterra di nuovo 1361-1363, Islanda 1402-1404, stimati 75 milioni di morti su 450 milioni di popolazione mondiale 

1426, 1466, 1494-1495, 1498

Inghilterra, Francia, Islanda

Epidemie di peste bubbonica

 

1485, 1502, 1507, 1517, 1528, 1551

Inghilterra

Epidemie di “morbo del sudore” (sudor anglicus) forse un virus detto hantavirus

1489

Grenada

Epidemia di tifo

1493-1561

Grandi Antille, Messico, Perù, Cile

Epidemie di influenza, vaiolo, morbillo e tifo provenienti dall'Europa

1494

Napoli

Prima comparsa (nelle truppe francesi) della sifilide di origine centro-americana

1501-1587

Europa

Pandemia di tifo (morbus hungaricus)

1509-1510, 1527, 1547, 1563-1564, 1571-1576, 1592-1594, 1596-1602, 1603, 1636

Gran Bretagna, Germania, Spagna, Russia, Italia, Sicilia, Nord Europa

Epidemia di peste emorragica

1555

Brasile

Epidemia di vaiolo

1580

Mondo

Pandemia di influenza (la prima riconosciuta come tale) dall’Asia via Africa in Europa

Inizio del XVII secolo

America centrale e meridionale

Epidemia di malaria, probabilmente introdotta dai coloni eurpei (Plasmodium vivax) e dagli schiavi africani (P. falciparum) durante il XVI-XVII secolo, endemica in parte degli USA con picco intorno al 1875

1609

Egitto

Epidemia di peste

1629-1631

Lombardia

“La grande peste di Milano”, 1.500.000 morti in Lombardia

1630-1631, 1656, 1663-1664, 1668, 1676-1685

Venezia, Napoli, Paesi Bassi, Francia, Spagna

Epidemie di peste

1641-1644

Cina

“La peste dei Ming” (agente sconosciuto)

1647-1652

Spagna

“La gran peste di Siviglia”

1648

America centrale e meridionale

Epidemia di febbre gialla

1665

Inghilterra

“La gran peste di Londra”

1679

Austria

“La gran peste di Vienna”

1690, 1803

New York, NY

Epidemie di febbre gialla

1710-1711

Stoccolma

Epidemia di peste

1720-1722

Francia

“La grande peste di Marsiglia” (forse bubbonica)

1721

Boston, MA

Epidemia di vaiolo

1730, 1800-1893

Spagna

Epidemie di febbre gialla

1732-1733

Mondo

Pandemia di influenza

1738

South Carolina

Epidemia di vaiolo

1738

Balcani

“La grande peste del 1738”

1743

Messina

Epidemia di peste

1761, 1850-1851

Nord America, Caraibi

Epidemie di influenza

1770-1772

Russia

“La peste russa” (forse bubbonica)

1772-1778

Nord America

Epidemie di morbillo

1775

Nord America (in particolare, Nuova Inghilterra

Epidemia di febbre dovuta a cause ignote

1775-1776

Mondo

Pandemia di influenza

1778

Cadice

Epidemia di febbre di Dengue

1789-1790, 1828

New South Wales, Australia

Epidemie di vaiolo nella popolazione aborigena

1801, 1812, 1813, 1829-1836, 1840, 1853, 1867

 

Egitto, Levante, Malta, Impero Ottomano, Romania, Dalmazia

Epidemie di peste

1816-1819

Irlanda

Epidemia di tifo

1816-1826

Mondo

Prima pandemia di colera, iniziata in Bengala

1820-1823

USA

Febbre epidemica sconosciuta originata nella zona del fiume Schuykill

1821, 1857

Spagna, Portogallo

Epidemie di febbre gialla

1829-1851

Mondo

Seconda pandemia di colera: da Cina  e India a Russia, Europa, Nord America

1829, 1857

South Australia, Victoria

Epidemie di vaiolo

1829

Paesi Bassi

Epidemia di malaria tipo Groningen

1830-1833

Mondo

Pandemia di influenza molto ubiquitaria

1830, 1848, 1865, 1881, 1902, 1947

Egitto

Epidemie di colera

1831-1832, 1832, 1848-1849, 1851, 1865-1873

USA

Epidemie di colera (inizialmente

1840

Provincia del Capo

Epidemia di vaiolo

1841, 1850, 1852, 1855

USA

Epidemie di febbre gialla

1847-1848

Mondo

Pandemia di influenza

1852-1860

Mondo

Terza pandemia di colera (soprattutto in Russia, >1,000.000 di morti)

1855-1859

Mondo

Terza pandemia di peste bubbonica, iniziata nello Yunan, 12 milioni di morti nelle sole India e Cina

1857-1859

Mondo

Pandemia di influenza

1863-1875

Mondo

Quarta pandemia di colera, soprattutto in Europa, Arabia, Africa, >1.000.000 di morti

1865-1873

Nord America

Epidemie ricorrenti di vaiolo (Boston, New York, Philadelphia, New Orleans), tifo, tifoide, febbre purpurea, febbre gialla

1866-1867, 1881-1896

Russia, Germania

Epidemie di colera

1867

Sidney, Australia

Epidemia di morbillo

1870-1871

Germania

Epidemia di vaiolo

1873-1875

Nord America, Europa

Epidemia di influenza

1877

Caucasia, Impero Russo

Epidemia di peste

1881-1896

Mondo

Quinta pandemia di colera (soprattutto in Europa, Nord Africa, Americhe), 1.000.000 di morti

1889-1892

Mondo

Pandemia di influenza “La Russa”, 25-75% colpiti, mortalità max 4% per complicazioni polmonari, ca. 1.000.0000 di morti

1894-1895 (forse fino al presente)

India, Mongolia, Manciuria, Cina

“La peste di Bombay” (forse l’ultima pandemia di peste)

1896-1920

Bacino del Congo, Uganda

Epidemia di malattia del sonno

1899-1923

Mondo

Sesta pandemia di colera (soprattutto in Russia, Impero Ottomano, Filippine, USA, ecc.), >2.000.000 di morti

1900

Africa occidentale

Epidemia di febbre gialla

1915-‘920

Mondo

Epidemia di malattia del sonno (encefalite letargica) causata da agente sconosciuto

1918-1919

Mondo

Pandemia di influenza “La Spagnola” (ceppo A-H1N1 “L’Aviaria”), da 50 a 100 milioni di morti o forse anche più (una cifra maggiore di quella dovuta alla Prima Guerra Mondiale)

1918-1922

Russia (durante/ dopo rivoluzione)

Epidemia di tifo

1942-1944

Egitto

Epidemia di malaria (P.falciparum)

1946

Egitto

Ricadute di febbre ricorrente

1957-1958

Mondo

Pandemia di influenza “L’Asiatica” (ceppo A-H2N2), ca. 1.500.000

1959-oggi

Mondo

Pandemia di AIDS (sindrome dell’immunodeficienza acquisita, HIV), attualmente 1.000.000 di morti/anno

1961-‘70

Mondo

Settima pandemia di colera dovuta al ceppo El Tor (identificato dal 1905), in Italia presente dal 1973

1968-1969

Mondo

Pandemia di influenza “La Hong Kong”, ceppo AH3N2 (“aviaria”)

1972

Jugoslavia

Emergenze di vaiolo

1974

India

Epidemia di vaiolo

1984

Inghilterra, ecc.

Epidemia di una nuova variante della sindrome di Creutzfeld-Jacob (vCJD, correlata alla “mucca pazza”conn >179.000 animali infetti), fatalità umane 164 in Gran Bretagna e 42 altrove)

1994

Surat, India

Epidemia di peste

1996

Africa occidentale

Epidemia di meningite

1997, 2003, 2004-oggi

Hong Kong

Emergenze di influenza “aviaria” (ceppo A-H5N1) con 290 casi di cui 7 letali: potenzialità di una pandemia

‘2000

Irlanda

Emergenza di casi di orecchioni

2001, 2004, 2006, 2007, 2008-2009

Nigeria, Senegal, Sud Africa, Chad, Angola, Etiopia, Somalia, Zimbabwe

Epidemie di colera

2003

Algeria

Epidemia di peste

2003-2004

Cina, Hong Kong, Taiwan, Singapore, Vietnam, Canada,

Quasi-pandemia di SARS (sindrome respiratoria acuta severa), 8.096 casi (in 37 paesi) di cui 774 letali

2004

Sudan

Epidemia di Ebola

2004, 2007, 2008

Bangladesh, Iraq, India, Vietnam

Epidemie di colera

2004

Afghanistan

Epidemia di Leishmaniosi

2004, 2005, 2006, 2008

Indonesia, India, Singapore, Filippine, Pakistan, Cambogia

Epidemie o emergenze della febbre di Dengue

2005

Mali

Epidemia di febbre gialla

2006

India

Epidemia di malaria

2007

India

Emergenze di febbre di Chikungunya

2007

Mweka (Congo), Uganda

Epidemie di Ebola

2007

Nigeria

Epidemia di paralisi infantile

2008

Cina

Epidemia di malattia del piede/bocca

2008

Madagascar

Epidemia di peste

2009

Africa occidentale

Emergenze di meningite

2009

India

Epidemia di epatite B (Gujarat)

2009

 

Queensland, Australia

Epidemia di febbre di Dengue

Lista dei principali agenti infettivi
(V = Virus, P = Prioni, Z = Protozoi, B = Batteri, F = Funghi, A = Metazoi (animali multicellulari, X = agenti multipli)

V - Herpes simplexV - Influenza virus A/B/C (RNA Orthomyxovirus)P - un prioneB - Haemophilus, meningococco, pneumococcoP - un prioneB - Mycobacterium lepraeB - Diverse specie di LegionellaP - 21 specie del genere LeishmaniaV - Genere LeptospiraB - Varie specie del genere BorreliaP - Plasmodium vivax/malariae/falciparum/ovaleV - Coxsackie A virus e Enterovirus 71X - (batterica, virale, asettica, non-infettiva)V - Virus di Epstein-BarrV - Paramyxovirus (RNA Morbillivirus)Z - Naegleria fowleriV - WNVV - RubulavirusV - HPVB - Bordetellla pertussisB - Yersinia pestisA - Pediculus capitis, corporis e pubisF - Tinea pedisV - Poliovirus (RNA enterovirus)B - Batteri multipliB - Streptococcus pneumoniaeB - Clamydophila psittaciR - Rickettsia rickettsiiB - Coxiella burnetiiV - Parvovirus B19V - Virus della rabbiaV - Rhynovirus o CoronavirusV - Rubella virusB - Genere SalmonellaB - Streptococcus pyogenes, exotossinaV - Herpesvirus 6 e 7B - Treponema pallidumZ  -Streptococco A e B, infezioni da B B - Streptococcus pyogenes/agalactiaeB - Clostridium tetaniB - Francisella tularensisR - Rickettsia typhiR - Rickettsia prowazekiiB - Salmonella entericaP - Toxoplasma gondiiZ - Trichinella spiralisZ - Trycomonas vaginalisB - Mycobacterium tubercolosisV - Varicella zoster virusV - Variola major/minor (Orthopoxivirus)

Lista dei principali agenti infettivi
(V = Virus, P = Prioni, Z = Protozoi, B = Batteri, F = Funghi, A = Metazoi (animali multicellulari, X = agenti multipli)

V - Herpes simplex

Lista dei principali agenti infettivi
(V = Virus, P = Prioni, Z = Protozoi, B = Batteri, F = Funghi, A = Metazoi (animali multicellulari, X = agenti multipli)

V - Herpes simplex

Lista dei principali agenti infettivi
(V = Virus, P = Prioni, Z = Protozoi, B = Batteri, F = Funghi, A = Metazoi (animali multicellulari, X = agenti multipli)

Malattia infettiva  Agente
AIDS V - HIV
Alimentari, infezioni B - Generi Salmonella , Listeria , ecc.
Alper, sindrome di P - un prione
Amebiasi Z - Entamoeba histolytica
Antrace B - Bacillus anthracis
Argentina, febbre emorragica V - Virus Junin
Ascariasi A - Vermi
Attinomicosi F - Actinomyces israelii e propionicus
Botulismo B - Clostridium botulinum, tossina
Boliviana, febbre emorragica V - Virus Machupo
Brucellosi B - Brucella, diverse specie
Candidiasi F - Candida albicans o specie simili
Chikunguya, febbre di V - Alphavirus
Cisticercosi A - Taenia solium
Clamidia B - Chlamydia trachomatis
Clostridio, infezione intestinale B - Clostridium difficile
Colera B - Vibrio cholerae
Colorado, febbre da zecche V - CTFV
Creutzfekdt-Jacob, sindrome di P - un prione
Crimea-Congo, febbre emorragica V - CCHF
Cytomegalovirus, infezioni da V - Cytomegalovirus
Dengue, febbre di V - Flavivirus (Denguevirus)
Difterite B - Corynebacterium diphteriae
Dissenteria B - In genere da specie di Shigella
Ebola, febbre emorragica                   (collegati virus di Marburg e Lassa)
Encefalopatia spongiforme bovina     P - un prione
Encefalopatia spongiforme trasmiss.  P - un prione
V - Filoviridae (Ebolavirus)
Epatite B V - HBV
Epatiti, altre (A, C, D, E V - Altri virus dell'epatite
Fasciolasi Z - Fasciola hepatica e gigantica
Filariasi A - Specie di Filaria
Fuoco di S. Antonio V - Herpes zoster
Ghiandole, infezione delle Z - Burkholderia mallei
Gialla, febbre V - Flavivirus
Giardiasi Z - Giardia intestinalis
Gonorrea B - Neisseria gonorrhoeae
Graffio del gatto, malattia del B - Bartonella henselae
Granuloma inguinale B - Klebsiella granulomatis
Haemophilus, infezioni d B - Hemophilus influenzae
Helicobacter pylori, infezione da B - Helicobacter pylori
Herpes, diversi disordini (orali, genitali, encefalitici,epidermici, ecc.) V - Herpes simplex
Influenza V - Influenza virus A/B/C (RNA Orthomyxovirus)
Insonnia familiare fatale P - un prione
Invasive, malattie batteriche B - Haemophilus, meningococco, pneumococco
Kuru P - un prione
Lebbra B - Mycobacterium leprae
Legionellosi (polmonite) B - Diverse specie di Legionella
Leishmaniasi P - 21 specie del genere Leishmania
Leptospirosi V - Genere Leptospira
Lyme, malattia di B - Varie specie del genere Borrelia
Malaria P - Plasmodium vivax/malariae/falciparum/ovale
Mano/piede/bocca, malattia di V - Coxsackie A virus e Enterovirus 71
Meningite X - (batterica, virale, asettica, non-infettiva)
Mononucleosi infettiva V - Virus di Epstein-Barr
Morbillo V - Paramyxovirus (RNA Morbillivirus)
Naegleria, infezione celebrale Z - Naegleria fowleri
Nilo occidentale, malattia del V - WNV
Orecchioni V - Rubulavirus
Papilloma umano, infezione da V - HPV
Pertosse (tosse convulsa) B - Bordetellla pertussis
Peste B - Yersinia pestis
Pidocchi A - Pediculus capitis, corporis e pubis
Piede, infezione fungina del F - Tinea pedis
Polio(mielite) V - Poliovirus (RNA enterovirus)
Polmonite batterica B - Batteri multipli
Polmonite pneumococcica B - Streptococcus pneumoniae
Psittacosi B - Clamydophila psittaci
Purpurea, febbre delle                                    Montagne Rocciose R - Rickettsia rickettsii
Q, febbreR - Rickettsia rickettsii B - Coxiella burnetii
Quinta malattiaR - Rickettsia rickettsii V - Parvovirus B19
RabbiaR - Rickettsia rickettsii V - Virus della rabbia
Raffreddore comuneR - Rickettsia rickettsii V - Rhynovirus o Coronavirus
RosoliaR - Rickettsia rickettsii V - Rubella virus
Salmonellosi B - Genere Salmonella
Scarlattina B - Streptococcus pyogenes, exotossina
Sesta malattia V - Herpesvirus 6 e 7
Sifilide B - Treponema pallidum
Sonno, malattia africana del Z  -Streptococco A e B, infezioni da B
B - Streptococcus pyogenes/agalactiae
Tetano B - Clostridium tetani
Tularemia B - Francisella tularensis
Tifo endemico R - Rickettsia typhi
Tifo epidemico R - Rickettsia prowazekii
Tifoide B - Salmonella enterica
Toxoplasmosi P - Toxoplasma gondii
Trichinellosi Z - Trichinella spiralis
Trichimonosi Z - Trycomonas vaginalis
Tubercolosi B - Mycobacterium tubercolosis
Varicella V - Varicella zoster virus
Vaiolo (variola vera) V - Variola major/minor (Orthopoxivirus)

Importantissima è la questione dei "serbatoi" dove gli agenti biologici si annidano e da dove ripartono con i loro attacchi epidemici. Il "serbatoio" indica sia un luogo geografico che una popolazione animale o anche una popolazione umana dove un microrganismo sopravvive per poi iniziare la propria diffusione. Il suo obiettivo in quanto agente condiziona le caratteristiche del rifugio: tipicamente un'area abbastanza isolata, con una o poche strade di ingresso (ma potrebbe essere anche una parte marginale di una area metropolitana), dove vive una popolazione umana anch'essa relativamente isolata ma con accesso a punti di interscambio con altri gruppi umani, popolazione resistente all'agente biologico (o comunque portatore di una infezione subclinica asintomatica non-letale) e con condizioni di promiscuità tra la specie umana e la specie intermedia. I serbatoi naturali, se identificati, permettono di conoscere il ciclo della malattia e quindi di affrontare l'obiettivo della prevenzione e/o del controllo di quella data infezione. Alcuni esempi di serbatoi naturali:

- marmotta, ratto nero, scoiattolo, scoiattolo striato, scoiattolo della prateria per la peste bubbonica;

- armadillo e opossum per la malattia di Chagas e per la malattia da diverse specie americane di Leishmania;

- zecche in quanto tali o su scoiattoli e porcospini per diverse malattie da rickettsie;

- orso lavatore, puzzola, volpe e pipistrelli per la rabbia nell'uomo e nel cane.

- molluschi per il colera.

- pipistrelli come rifugio per nipah, hendra, rabbia e SARS;
uomo per uomo (esempi: vaiolo, polio);

- sconosciuto per Ebola.

Gli organismi presenti in natura con maggior frequenza in numero di specie sono i focolari in cui è presente un virus o un batterio, seguiti da rickettsiae, in altre parole, predominanza numerica dei microrganismi. Le epidemie di malattie infettive sono in genere causate da:

- un cambiamento nell'ecosistema della popolazione ospite-bersaglio oppure nella popolazione intermedia (ad esempio, aumento dello stress o aumento della densità della popolazione vettore;

- un cambiamento genetico nella popolazione parassita;

- l'introduzione di un parassita nuovo in una popolazione ospite a seguito di un movimento dell'ospite o del parassita.

In genere, un'epidemia si verifica quando l'immunità dell'ospite ad una popolazione parassita si riduce improvvisamente ad livello inferiore a quella della situazione endemica travalicando così la soglia di trasmissione.

Gli elenchi di fenomeni ed episodi epidemici sopra riportati, nella loro crudezza, oltre all’evidente valore informativo, forniscono anche alcuni elementi per meglio comprendere il quadro di una complessa interazione inter-specifica molto importante sul piano ecosistemico e che comporta rischi per la popolazione umana.

Per prima cosa, la presenza di altre specie al seguito della specie umana – comprese quelle specie caratterizzate da fenomeni di parassitismo ed infezione - appare come un evento diffuso e naturale la cui origine si perde nella notte dei tempi e nei meandri dell’evoluzione biologica. Lo stesso può dirsi per gran parte delle altre specie animali e vegetali, tutte soggette ad epidemie e, compatibilmente con la situazione biogeografia, a pandemie. Possibilmente, questa disponibilità o suscettibilità a subire l’infezione e le sue conseguenze, riguarda tutti gli organismi eucarioti, la cui cellula, forse non a caso, mostra un'origine simile ad un “assemblaggio” di membrane e organelli di probabile natura virale (mitocondri, centrioli, fuso cellulare, ecc.).

In altri termini più generali, l’infezione è un fenomeno naturale, che in natura viene controllato dalle caratteristiche genetiche (suscettibilità e resistenza da una parte e virulenza dall’altra), con conseguenze che in genere si risolvono in termini positivi per la specie sotto attacco, che sopravvive e diviene resistente, anche se spiacevoli per molti individui di quella specie.

 

Le epidemie nell'uomo
Alla fine del millennio scorso, le malattie infettive erano responsabili di oltre 17 milioni di morti all'anno pari al 33% dei circa 52 milioni di morti per tutte le cause nel mondo intero. Dei 17 milioni, il 65% era dovuto alla trasmissione della malattia infettiva da persona a persona (soprattutto per via atmosferica o per contatto sessuale), il 22% alla trasmissione tramite il cibo, l'acqua o il suolo, il 17% per causa di insetti, lo 0,3% per opera di animali vertebrati.

I dati sulla mortalità permettono di classificare le varie malattie sulla base dei dati rispettivi, ovviamente approssimati, per l'intera popolazione umana mondiale; le principali sono:

patologie diarroiche3,1tubercolosi3,1malaria2,1epatite B1,1AIDS>1varicella>1tetano neonatale0,05tosse convulsa0,335vermi intestinali e tenie0,165

infezioni respiratorie acute 4,4 milioni di morti/anno
patologie diarroiche 3,1
tubercolosi 3,1
malaria 2,1
epatite B 1,1
AIDS >1
varicella >1
tetano neonatale 0,05
tosse convulsa 0,335
vermi intestinali e tenie 0,165

La disponibilità di dati abbastanza precisi per gli Stati Uniti, registrati fin dal 1900, hanno permesso analisi più approfondite (che, entro certi limiti, valgono anche per Australia e Nuova Zelanda, i paesi europei e il Canada, ai quali più recentemente si è aggiunto il Giappone). Negli Stati Uniti l'andamento nel tempo della mortalità dovuta al totale delle malattie infettive è peculiare:

- il numero di morti per 100.000 abitanti per anno, nel 1900, è di 797;

- nel periodo tra il 1900 e 1937, il numero delle fatalità decresce all'incirca del 2,8% l'anno fino a raggiungere il valore di 283 per 100.000,

- con l'eccezione del 1918-1919 dove si verifica un picco acuto nell'andamento dovuto all'epidemia dell'influenza "spagnola" che porta temporaneamente il valore a 950 (da 300 circa);

- nel periodo tra il 1937 e il 1952, si verifica una accelerazione nel miglioramento della situazione, con un guadagno annuo dell'8,2% che porta il numero dei morti a 75;

- il miglioramento continua fra il 1952 e il 1980, ma il tasso diminuisce ritornando in pratica al valore precedente con 2,3%, raggiungendo il valore di 36 per 100.000;

- nel periodo fra il 1980 e 1995 si verifica una vera e propria inversione di tendenza, con il numero di morti che aumenta del 4,3% annuo fino al valore di 63; ma nel 1996 ricomincia a diminuire mostrando il valore di 59, di fatto grazie a un declino della mortalità da AIDS.

Questo andamento multi-segmentato è stato confermato da tutte le analisi ancillari (per età, gruppi di malattie, cambiamento nelle definizioni e nel "paniere" delle malattie, ecc.). L'analisi è stata anche approfondita per un gruppo selezionato di malattie, importanti per la loro virulenza e gli aspetti sociali delle relative patologie negli Stati Uniti: malattie del sistema respiratorio (polmoniti + influenza), tubercolosi, difterite, pertosse, morbillo, febbre tifoide, dissenteria, sifilide e sue sequele, polio; alle quali è stato aggiunto dagli anni '80 l'AIDS. Questo gruppo di malattie peraltro esibisce un andamento simile a quello del totale delle malattie sopra riportate: i ratei annui per la mortalità sono -2,7% per il 1900-1937 (escludendo il picco dell'epidemia di "spagnola"), -7,8% per il 1937-1952, -2,3% per il1952-1980, + 6,1% per il 1980-1995 e -7,0% per il 1996. In sintesi, per quel che riguarda le singole malattie:

- febbre tifoide, dissenteria, difterite, pertosse e morbillo calano tutte fino ai relativamete bassi livelli attuali,

- polmonite + influenza e tubercolosi rimangono fra le patologie più pericolose pur diminuendo per un lungo periodo, ma evidenziano preoccupanti risalite a partire dagli anni '90,

- la polio è aumentata in continuazione dal 1900 fino agli anni '50 quando la disponibilità dei vaccini (Salk, 1952; Sabin, 1962) ha migliorato drasticamente la situazione (da 350.000 casi mondali nel 1988 a solo 233 nel 2012),

- la sifilide cala drasticamente fino quasi a scomparire nel 1952-1980,

- a partire dagli anni '80, l'AIDS aumenta rapidamente e soltanto nel 1996 si avverte una prima diminuzione della mortalità per questa patologia.

Il cammino della pandemia di influenza "spagnola"a partire dal 1918.


Stima del numero di persone infette con AIDS/HIV (2008).

 

Problemi nell'andamento della mortalità
Questo andamento della mortalità annua è estremamente complesso e difficile da decifrare per quel che riguarda i vari meccanismi coinvolti. Riepilogando, il declino della mortalità fra il 1900 e il 1980, appare caratterizzato da 3 periodi distinti: un primo periodo (1900-1937) ed un terzo periodo (1953-1980) in cui la mortalità da malattie infettive cala del 2,3-2,8%; nel periodo intermedio invece il declino annuale accelera fino all'8,2%. Le malattie che più contribuiscono a questo declino sono polmonite + influenza, che poi entrano in una fase di plateau, e tubercolosi che continua a diminuire fino alla metà degli anni '80.

Questi fenomeni di declino della mortalità coincidono con i primi impieghi clinici dei sulfamidici (sulfonamidi) nel 1935, degli antibiotici (la penicillina nel 1941, la streptomicina dal 1943, cancellando anche possibili effetti aggravanti della II Guerra Mondiale e del dopoguerra), degli antimicobatterici (contro la tubercolosi: streptomicina dal 1944, acido para-aminosalicilico dal 1944, isoniazide dal 1952). Peraltro, è probabile che i fattori responsabili del rapido declino nel periodo tra il 1938 e il 1952 siano molteplici, concomitanti e difficili da determinare sulla base della sola mortalità (anche a causa della limitata accuratezza e della natura di questo parametro, che purtuttavia rimane paradigmatico).

Le analisi ancillari confermano che la diminuzione in mortalità prima del 1980 e l'aumento dopo il 1981 sono probabilmente indipendenti, almeno come cause principali, dai cambiamenti nella composizione per età della popolazione nord-americana e dagli aggiustamenti nella classificazione delle malattie (che rimane comunque un'operazione approssimativa). Inoltre, l'andamento della mortalità, soprattutto nei primi decenni, riflette con picchi e ondulazioni gli episodi epidemiologici ciclici delle malattie infettive, come per la scarlattina (ogni 2-5 anni), la pertosse (ogni 2-5 anni), la difterite (approssimativamente ogni 10 anni) e in special modo l'influenza (ogni 2-3 anni le epidemie, ad intervalli molto più lunghi le pandemie). Malattie infettive più tipicamente croniche, come la tubercolosi e l'AIDS mostrano andamenti più omogenei con minor variabilità anno per anno.

Invece, la maggior volatilità di alcune malattie infettive si nota per le periodiche ma più rare pandemie di influenza (1857, 1889 "russa", 1918 "spagnola", 1957 "asiatica", 1968 "Hong Kong"), con il massimo picco per la "spagnola" che causò la morte di 20-25 milioni di esseri umani in coda ai morti (per una cifra inferiore) da cause belliche. Va ricordato che i più colpiti dalla"spagnola" furono i giovani adulti, ossia le età fra i 5 ed i 44 anni. Le successive pandemie hanno causato meno fatalità - per un complesso di ragioni: livello di virulenza, suscettibilità dei bersagli, disponibilità di farmaci soprattutto contro le complicazioni, misure di igiene pubblica - ma il ripetersi di una pandemia di influenza di quel livello deve essere considerato un rischio non improbabile e forse aggravato dall'aumento della popolazione e dalle mutate condizioni logistiche e di altri fattori legati alla globalizzazione.

E' chiaro che le possibilità di muoversi globalmente sul pianeta con i moderni mezzi di comunicazione, per commercio e per turismo, per studio e per lavoro, per geopolitica e per guerra, sono aumentate all'interno di una popolazione umana già cresciuta demograficamente, permettendo una circolazione relativamente facile per i membri della specie umana (già peraltro tendenti al nomadismo, alla colonizzazione, alla diaspora) e per i loro animali e piante domesticate, i loro parassiti, i loro bagagli e le loro merci; da questo punto di vista, le barriere doganali e politiche potrebbero aiutare a frenare un eccesso di mobilità, se non fossero a volta queste a produrre altri spostamenti (di rifugiati, dissidenti, truppe, ecc.).

Le preoccupazioni sono aumentate a seguito del segnale della mancata continuazione della diminuzione delle malattie infettive ed anzi di un temporaneo (?) aumento delle stesse. Anche qui è difficile spiegare compiutamente il fenomeno, probabilmente complesso e di natura multifattoriale. Un primo fattore riguarda l'emergere o il riemergere di alcune "nuove" malattie infettive; una lista parziale è la seguente:

 

Malattie infettive emergenti (o riemergenti)

- Morbo del Legionario

- Febbre emorragica Ebola (Congo, Sudan, Gabon per l'uomo, Cote d’Ivoire, Italia, per gli animali)

- Infezione gonococcica penicillina-resistente

- Malaria clorochina-resistente

- Difteria (Europe orientale)

- Polmonite da Hantavirus (USA)

- Colera (America latina, India, Myanmar)

- Peste (India)

La "Morte Nera", la peste del XIV secolo: la diffusione in Europa.

 

Malattie infettive e durata della vita
Un parametro molto importane, certamente difficile da interpretare, ma onnicomprensivo e rappresentativo di molte condizioni sanitarie, sociali, ambientali, economiche e culturali, è senza dubbio l'aspettativa media di vita di una data popolazione (parametri multiparametrici algoritmici sono allo studio nello sforzo di meglio monitorare le condizioni di salute). Più precisamente, l'aspettativa di vita è il numero di anni che una persona nata in un certo paese dovrebbe vivere se il tasso di mortalità a ciascuna età rimanesse costante nel futuro.

Attualmente, secondo le Nazioni Unite, per il periodo 2010-2013, l'aspettativa media di vita alla nascita per l'intera popolazione umana sul pianeta è di 71,0 anni, distinguibili in 68,5 per i maschi e 73,5 per le femmine. Il primo dato da notare riguarda le differenze tra paesi; secondo il WHO (Organizzazione Mondiale della Sanità), la situazione è la seguente (al 2013):

- In testa si trovano il Giappone (dato complessivo 86,5 anni, per i maschi 85,3 e per le femmine 89,0) e l'Italia (complessivo 84,6, maschi 82,0, femmine 87,3).

- Seguono diversi casi particolari (piccoli stati o poco popolati, micro-stati, città-stato: Andorra, Singapore, Hong Kong, San Marino, Islanda, Monaco) con valori di poco più bassi.

- Vengono quindi al 9^ e 10^ posto Australia e Svezia, che presentano entrambe 83 anni come valore complessivo.

- Seguono fino al 33^ posto svariati stati industrializzati membri dell'OECD, con al 34^ posto la Costa Rica, primo dei paesi in via di sviluppo, con 79,8 anni.

- I paesi europei mediterranei (compreso Portogallo e Israele ma senza la Turchia), caratteristici per la dieta oltre che per il clima e gli stili di vita, ricadono tutti entro il 33ˆ posto.

- Gli USA vengono solo al 35^ posto con 79,8 anni come valore complessivo, 77,4 anni per gli uomini e 82,2 anni per le donne.

- La variabilità fra i paesi europei è comunque grande in quanto i rispettivi valori sono distribuiti in un intervallo di 13,5 anni. In termini approssimati, i paesi europei sono distribuiti su tre gradini: il primo con i paesi europei occidentali e mediterranei, il secondo con i paesi dell'Europa orientale entrati tardi nell'Unione Europea, il terzo con i paesi ex URSS compresi quelli del Caucaso.

Dati sostanzialmente simili sono stati raccolti dalle Nazioni Unite per il 2009-2012, dal WHO per il 2010 e 2012 (nell'ambito del programma Global Burden of Disease Study), e dal "CIA World Factbook". Le donne in media vivono più a lungo in tutti i paesi tranne Tuvalu, Tonga, Kuwait e Qatar.

Questi dati sono stati sostanzialmente confermati ancor più recentemente dal WHO (2014): per gli uomini fra 81,2 e 80,2 anni (in testa: Islanda, Svizzera, Australia, Italia, Israele, Singapore, Nuova Zelanda), per le donne tra 87,0 e 85,0 anni (in testa: Giappone, Spagna, Svizzera, Singapore, Italia), per il totale uomini + donne fra 82,9 e 82,6 anni (in testa: Svizzera, Singapore, Italia).

Come nel caso delle malattie infettive, l'andamento dell'aspettativa di vita è stato rilevato nel corso del secolo scorso: alcuni paesi sono andati incontro ad un raddoppio della durata della vita nel corso del XX secolo, che attualmente supera i 79 anni in molti paesi sviluppati capitanati da Giappone e Italia. Le regioni in via di sviluppo hanno sperimentato un continuo aumento della durata delle vita a partire dal secondo dopoguerra, con alcune eccezioni in America Latina e purtroppo, più recentemente, molte in Africa, a causa soprattutto dell'epidemia di AIDS oltre che da permanente sottosviluppo. I più spettacolari cambiamenti in positivo sono stati quelli in Asia orientale, dove si è passati da un valore di meno di 45 anni nel 1950 a più di 72 anni attualmente.

Il quadro comparativo della durata della vita può anche essere analizzato da altri, interessati angoli di visuale. Ad esempio, in termini di longevità, osservando il numero di ultranovantenni per paese; sono in testa alla classifica:

- Giappone, con 1.197 ultranovantenni su 127,6 milioni di abitanti,

- Svezia, con 955 su 9,5 milioni di abitanti,

- Italia, con 908 su 60,9 milioni di abitanti; 

seguono con numeri leggermente minori di ultranovantenni paesi con un numero approssimativamente simile di abitanti (Francia, Regno Unito, Spagna) nonché i paesi scandinavo-nordici (Norvegia, Danimarca, Finlandia), per arrivare agli Stati Uniti con 666 su 313,9 milioni e Germania con 592 su 81,9 milioni. In termini corretti per la popolazione, si hanno i valori: 9,4 per milione di abitanti in Giappone, 99 per milione di abitanti in Svezia, 16,8 in Italia, 3,1 negli Stati Uniti; ancora una volta questi ultimi risultano penalizzati rispetto ai paesi europei mediterranei e scandinavo-nordici. La situazione è difficile da interpretare: essa non appare giustificata sulla base della percentuale del PIL speso in campo sanitario dai diversi stati, che peraltro varia grandemente su scala locale. Più indicativi appaiono i dati circa l'obesità e, una volta entrati nella zona longeva, fattori alimentari, psicofisici e psicologici e, per alcuni piccoli gruppi, fattori genetici.

La durata media della vita nel passato è stata stimata con vari studi ed offre un quadro delle condizioni di vita della specie: nel lungo periodo che va dal Neolitico al Medio Evo, la durata media oscilla fra i 18 ed i 30 anni di età, compresi i periodo classici della Grecia e di Roma; essa raggiunge i 33 anni solo alla fine del Medio Evo in Inghilterra e nell'Europa centro-occidentale, 37 anni alla fine del XIX secolo sempre in Europa, per superare i 65 anni nel corso del XX secolo e raggiungere oggi la punta degli 87. Ma ancora oggi presenta una media di 34 anni per la popolazioni native ancora esistenti, mentre il massimo registrato in un caso singolo è di 122 anni. L'uomo è una specie longeva, perché superato tra i mammiferi solo da alcune balene e dall'elefante e probabilmente uguagliato in modo potenziale dal "cugino" scimpanzè (Pan troglodytes e Pan paniscus).

Senza entrare nel dettaglio, un altro parametro rilevante, la mortalità infantile, mostra delle differenze anche tra paesi abbastanza simili: la maggioranza (19) dei paesi europei (compresa l'Italia) con Giappone, Australia e Canada si pone nella fascia tra 2,3 morti per 1000 nati vivi (Islanda) e 5,3 (Canada), mentre al rango immediatamente successivo si trovano gli Stati Uniti, con un salto quantitativo fino a 6,9 per 1000; seguono alcuni paesi est-europei e quindi, con un grande salto, Messico e Turchia (28,7 per 1000), seguiti dalla stragrande maggioranza dei paesi in via di sviluppo.

I cambiamenti nell'aspettativa di vita e probabilmente quelli nella mortalità infantile riflettono una transizione nelle condizioni di salute a livello planetario ma con diversi tassi e percorsi nei diversi paesi e regioni. Una prima lista dei molteplici fattori che governano questi cambiamenti può essere proposta:

- un cambiamento da alta a bassa fertilità,

- un aumento continuo dell'aspettativa di vita alla nascita, soprattutto per diminuzione della mortalità infantile, e nell'età più adulta,

- un passaggio da una condizione di predominio delle malattie infettive e parassitiche ad un impatto maggiore delle malattie non trasmissibili e delle condizioni croniche.

 

Una situazione complessa: dubbi e speranze
Molti autori sostengono che la linearità dell'aumento dell'aspettativa di vita (dal 1840 al 2000 un aumento di circa 3 mesi per anno) indica l'assenza di limiti alla potenziale durata della vita umana, anche se la nazione di testa è cambiata (dalla Svezia a Giappone e Italia). Al tempo stesso, una serie di indizi invitano, se non al pessimismo, almeno al realismo. Questi indizi sono:

- i pesanti effetti contrari dell'epidemia di AIDS,

- l'influenza detrimentale della sempre più diffusa (specialmente in alcuni paesi) obesità,

- gli effetti dell'inquinamento atmosferico, che sono pesantissimi in molte città come dimostrato dalle "nubi marroni" che imperversano periodicamente in alcune zone urbanizzate (Golfo del Bengala, Indonesia, Cina orientale),

- gli effetti delle guerre, delle sommosse, delle prevaricazioni, dell'instabilità.

Inoltre, si assume generalmente che il cambiamento climatico in direzione di un riscaldamento ambientale, quali che siano le cause che governano il fenomeno, comporti effetti sull'insorgenza e la dinamica di importanti malattie infettive, sopratutto quelle di origine tropicale e subtropicale o comunque con un ruolo degli insetti. Dati e modelli sul fenomeno sono ancora però scarsi sopratutto per ciò che concerne le tempistica ed il peso relativo dell'eventuale fenomeno stesso.

D'altro canto, sul fronte dell'ottimismo, possono essere citate le seguenti osservazioni:

- il declino o anche il plateau riscontrato del tasso di morte ad età molto avanzate,

- il grande aumento dei centenari su scala mondiale,

- la possibilità di intervento sociale sui molto anziani,

- la disponibilità di progressi medici e nuovi farmaci con effetti sulla durata della vita,

- i risultati di alcuni studi sulla genetica dell'invecchiamento in animali.

Vi è anche da registrare l'entusiasmante sviluppo del campo della scienza della nutrizione (con particolare riferimento alla restrizione calorica) e degli aspetti sanitari della dietologia e della "cuisine" etnico-culturale (vedi la dieta mediterranea).

In questo quadro di conoscenze scientifiche ancora non definitive ed in parte contraddittorie, l'osservazione dell'inversione per diversi anni dell'andamento del tasso di mortalità per malattie infettive in un paese come gli Stati Uniti, nello stesso paese in cui la durata della vita risulta indebitamente inferiore a quella di altri paesi industrializzati, appare ancor più preoccupante.

L'aggravarsi della situazione è confermato anche dal riallargarsi di qualche frazione significativa di anno della "forbice", che tendeva in precedenza a diminuire, relativa all'aspettativa di vita dei membri della popolazione afro-americana. Differenze forti si ritrovano fra i diversi stati degli USA dove l'aspettativa di vita alla nascita varia tra i 72,3 del District of Columbia e 73,6 del Mississippi e, all'altro capo della distribuzione, 79.0 per il Minnesota e 79,7 per le Hawaii; aspettativa che, misurata agli anni 50 di età, ossia nella tarda età, mantiene una differenza fra stati simili, cioè 28,0 anni per District of Columbia e Mississippi e 31,4 per Minnesota e 32,4 per Hawaii. Queste distribuzioni sono meno ampie di quelle che si trovano nei paesi a medio e alto reddito, ma divengono più ampie rispetto agli stessi paesi se si escludono i paesi dell'Europa orientale e dell'ex URSS.

Il caso nord-americano merita un ulteriore approfondimento. Un'attenta analisi comparative degli andamenti recenti dell'aspettativa di vita ha rivelato come anomalie simili a quella sopra riportata per gli USA siano più diffuse e di lunga durata: nel periodo, dei 25 anni precedenti il 2013, gli USA hanno mostrato una crescita del relativo parametro ad un ritmo inferiore a quello di altri paesi sviluppati, specialmente nel caso delle donne; la Danimarca ha visto l'assenza di crescita dell'aspettativa di vita dal 1980 al 1995; i Paesi Bassi hanno incontrato una stagnazione della tendenza dai primi anni '80 e fino al 2002. Dopo di che, Danimarca e Paesi Bassi hanno ripreso la tendenza come le altre nazioni, mentre negli Stati Uniti l'aspettativa di vita è rimasta eccezionalmente bassa, creando un vero e proprio "gap".

Una situazione interessante è stata ravvisata circa l'aspettativa di vita delle donne all'età di 50 anni per paesi con risultati diversi:

                                               1950                1980                2003

Stati Uniti                                27                    31                    33

Danimarca                              26                    30                    32

Paesi Bassi                              27                    31                    34

Francia                                   26                    31                    36

Italia                                       26                    30                    35

Giappone                                24                    31                    37

 

Una situazione simile ma con scarti inferiori si ritrova per gli uomini:

 

                                               1950                1980                2003

Stati Uniti                                23                    25                    29

Danimarca                              25                    25                    28

Paesi Bassi                              26                    25                    30

Francia                                   22                    25                    30

Italia                                       24                    25                    31

Giappone                                21                    27                    31

Le seguenti cause son state tentativamente associate a questo "gap", in ordine di importanza relativa:

- fumo di sigaretta (soprattutto per i maschi americani: si tratta degli strascichi di una situazione pregressa ma anche di abitudini di particolari strati della popolazione, come i "redneck" di zone povere, tuttora inclini al consumo di sigarette),

- obesità (associata con la mancanza di esercizio fisico o con esercizi fisici abnormi come il culturismo, magari con assunzione di ormoni),

- sistema di assistenza medica, con le carenze in parti della popolazione, a cui intende supplire la cosiddetta "Obana-care", in un clima di profondo scetticismo,

- nuove infezioni al sistema respiratorio e, nello stesso distretto anatomico-funzionale, i tumori polmonari.

Un'assenza di effetti differenziali è stata invece riscontrata per l'accesso alle reti sociali e la disponibilità di supporto sociale (confronto tra Stati Uniti e Regno Unito) e per il consumo di alcool. Le infezioni polmonari rappresentano comunque un dato molto importante (valido anche per la Danimarca ed i Paesi Bassi).

Non è un caso che gli USA stiano concentrando molti sforzi di intervento e di ricerca non solo, come sopra accennato, sulle malattie infettive emergenti, ma su diversi punti dolenti all'interno e all'estero:

- le malattie zoonotiche trasmesse per lo più da animali, zanzare, zecche e pulci o laddove una specie domestica o selvatica, localmente ben intrincerata, costituisce il serbatoio dell'agente infettivo,

- le malattie infettive trasmesse tramite l'acqua o il cibo,

- le infezioni che si verificano nelle strutture sanitarie con la comparsa (fino a 1 paziente su 20) di resistenza ai farmaci,

- le infezioni in altre condizioni di vita comunitaria in edifici (caserme, scuole, ecc.),

- le malattie transfrontaliere o legate ai problemi degli emigranti, rifugiati, nomadi e viaggiatori,

- le malattie esotiche che si incontrano in situazioni di movimenti di gruppo (militari, turistici, sportivi, ecc.),

- alcune malattie infettive particolarmente virulente (Ebola, antrace, rabbia, ecc.).

Senza dubbio, la natura dinamica delle malattie infettive sembra mettere in crisi il modello dell'epidemiologia umana che era in vigore fino ad alcuni anni fa. In questo modello, la "teoria della transizione epidemiologica" attribuiva questi andamenti di diminuzione della mortalità ed aumento dell'aspettativa di vita alla transizione da una "età di pestilenza e carestia" ad una "età di malattie degenerative e di origine antropica", ossia dovute essenzialmente all'azione, magari in buona fede, dell’uomo. Il modello poteva anche sembrare appropriato da un certo punto di vista: il Global Burden of Disease Study stima che le malattie infettive siano responsabili solo per 4,2% degli anni di vita corretti per le disabilità in paesi con solide economie di mercato, mentre le malattie croniche e neoplastiche ne comprendevano l'81,0%.

In versioni più dettagliate, il modello della "transizione epidemiologica" descriveva la soluzione dei problemi sanitari della specie per gradini progressivi:

- dapprima, il controllo e magari anche l'eliminazione delle malattie infettive, grazie a vaccini, farmaci (sulfamidici, antibiotici, antivirali) e igiene frontaliero, obiettivo che si pensava fosse in via di raggiungimento;

- poi, l'attacco alle malattie neoplastiche, difficili ma pur sempre su base popolazionistica cellulare: l'opera sembrava (ed in un certo senso è) sulla buona strada con i successi della chirurgia, radioterapia e chemioterapia antineoplastica ed il netto miglioramento delle percentuali di "cura" passate in 40 anni (dal 1960 al 2000) da una sopravvivenza del 27-39% ad una del 67%, con punte in alcuni tipi di tumore fino all'81%;

- in questo quadro, si considerava evidente il gradino successivo riguardante le malattie cardiovascolari;

- sullo sfondo il difficile problema delle malattie neurologiche, sistemiche e degenerative (problema già emergente e legato alla senescenza).

Le malattie da trauma e quelle genetiche erano fuori di questo quadro sequenziale, ma venivano studiate in via separata, mentre le meraviglie della chirurgia robotica, delle protesi, dell'ingegneria genetica e della citologia analitica erano già in via di applicazione.

Fino a tempi recenti, di assumeva che la transizione epidemiologica portasse ad un riduzione permanente della mortalità da malattie infettive. Ma, la (ri)emergenza negli anni '80 di malattie come l'AIDS e la tubercolosi ha dimostrato che il terreno guadagnato nei confronti delle malattie infettive non può essere considerato come definitivo. Anzi, nel caso dell'inversione di tendenza verificatasi negli USA dal 1980 al 1992, l'incremento nella mortalità da malattie infettive è stato del 58%.

Molto recentemente, proprio la malattia che si pensava fosse sull'orlo dell'eradicazione, dopo il vaiolo e la peste bovina (negli animali), cioè la poliomielite, già certificata come eliminata nella Regione Europea, è stata oggetto di una dichiarazione da parte del WHO di "stato d'allerta per la salute pubblica globale". La polio è infatti riemersa in Pakistan, Siria e Camerun, probabilmente a causa di diverse ragioni: lo stato di guerra con il disgregarsi delle strutture governative e degli interventi di cooperazione, l'uso del vaccino Sabin (che produce meno effetti secondari ma è meno efficace), la lotta contro le vaccinazioni condotta da alcuni gruppi estremisti come i Talebani. Il WHO ha chiesto di intensificare la campagna di vaccinazione e aumentare i controlli sanitari alle frontiere ma l'emigrazione clandestina rende tutto meno efficace e, nel frattempo, altri paesi hanno visto emergere dei casi: Afghanistan, Guinea equatoriale, Etiopia, Iraq, Israele, Somalia e Nigeria.

La (ri)emergenza delle malattie infettive, gli andamenti preoccupanti di parametri come la durata della vita, la difficoltà nell'affrontare situazioni biologiche multifattoriali, hanno quindi messi in crisi questo modello semplice (o semplicistico) della transizione epidemiologica; mentre non esistono indicazioni precise su un modello alternativo, tranne l'evidenza che la natura biologica è una realtà multi-ecosistemica complessa che opera secondo meccanismi anche non-lineari e in parziale sovrapposizione, secondo una visione che si sta facendo strada anche in ecologia.

Sul piano pratico, epidemie e pandemia vanno considerate come disastri naturali, o anche di origine mista naturale-antropica, e quindi tali da imporre non solo il principio della probabilità di ripetizione di un evento ma anche il principio che un evento possibile sia tale da causare il maggior danno. Nell'eventualità quindi di un riaggravarsi epidemico, non bastano il mantra della medicina preventiva o le norme dell'igiene pubblico a garantire la salute della popolazione, ma è necessario pensare, con rigore e fantasia al tempo stesso, a misure di mitigazione e adattamento.

La sfida che ci attende potrebbe essere ciclopica, non solo per la  potenziale necessità di definire un nuovo paradigma (medicina ecosistemica?) che incorpori e travalichi la biomedicina su base cellulare-molecolare, quanto per due problemi pratici: come reperire o spostare le risorse umane ed economiche in una fase in cui la popolazione anziana richiede sempre più assistenza e le corporazioni disciplinari e burocratiche senza dubbio sarebbero pronte a difendere l'organizzazione e i privilegi esistenti; e come evitare che difficoltà e fallimenti della biomedicina diano spazio a visioni esoteriche, anti-scientifiche, ideologizzate, neo-sciamaniche o basate sul credito garantito a "santoni" e "guaritori", magari assistiti a loro volta da magistrati o decisori non adeguatamente preparati sul piano scientifico, sanitario e antropologico.

Come per i fenomeni del mondo fisico che provocano disastri naturali, anche epidemie e pandemie svolgono un ruolo nel quadro evolutivo in quanto fenomeni naturali che possono essere resi più disastroso dall'intervento dell'uomo. E in modo simile, spetta all'uomo stesso la responsabilità di conoscere, prevenire, mitigare, adattarsi ai fenomeni epidemici e pandemici, per cercare di controllare e diminuire danni che nella specie umana in termini quantitativi potrebbero essere comparati solo alla collisione con una cometa o un grosso meteorite.

 

Appendice: L'Italia di fronte alle malattie infettive
L'Italia ha una grande tradizione nella conoscenza delle malattie infettive, dai primordi (Girolano Fracastoro, 1478-1553, teoria dei microorganismi) alla batteriologia settecentesca (Lazzaro Spallanzani, 1768, verifica della non esistenza della generazione spontanea) e ottocentesca (Louis Pasteur e Robert Koch, 1870, teoria dei germi;  Marchiafava e collaboratori, 1891-1902, il ciclo della malaria), ai contributi fondamentali nel XX secolo per la comprensione e il controllo di infezioni e parassitosi endemiche/epidemiche, alle ricerche fondamentali condotte nel dopoguerra da genetisti dei microorganismi italiani. La tradizione italiana nel campo delle malattie tropicali ed esotiche risale non solo alla politica coloniale italiana nella seconda metà dell'800, ma ancor prima all'età delle esplorazioni nel XVI secolo da parte dei gesuiti per conto del papa in Estremo Oriente; o persino risalendo alla Scuola Salernitana.

Per quanto sorprendente possa apparire al cittadino italiano che usufruisce del Servizio Sanitario Nazionale, il giudizio a livello internazionale di esperti, agenzie, istituzioni di studi superiori e scuole di medicina, è che l'Italia debba "essere riconosciuta per una condizione generale di salute della popolazione molto buona come dimostrato dalla posizione nel rango tra 1 e 4 nella classifica di quasi 200 paesi per l'aspettativa di vita; per la bassa mortalità infantile nel primo gruppo di nazioni; per l'arte culinaria e la dieta salutari; per un sistema di assistenza sanitaria che viene considerato dal WHO al 2^ posto su scala mondiale, dotato del 3^ miglior livello di performance medica e di un numero di medici (ed altri operatori sanitari) rispetto alla popolazione fra i più alti del mondo (6,1 medici per 100.000 abitanti, la 2^ posizione mondale, 4,0 letti per 100.000 abitanti, 4^ posizione mondiale); infine, il paese, che possiede un sistema di previdenza sociale e di sicurezza sul lavoro che risale ai primi anni '20, può contare, come ogni paese sviluppato, su una distribuzione di acqua e cibo adeguata e sufficiente, e usufruisce di livelli alti di nutrizione e igiene" (da World Health Organization - Italy, WHO, Ginevra, 2010, tradotto dall'autore del presente lavoro).

Questo non vuol dire che un giudizio, in fin dei conti lusinghiero ed emesso da organismi difficilmente contestabili, non sia accompagnato da puntuali critiche su carenze ben note e ingiustificabili proprio perché concorrono a costruite il quadro medio sopra sintetizzato. In particolare il WHO:

- Per la disponibilità idrica, annota puntualmente gli episodi di scarsità e siccità, soprattutto nell'Italia meridionale e insulare, dovuti a cattiva gestione specialmente nel settore della distribuzione; come pure viene sottolineato il ricorso più alto (in media circa 115 vs. 90 litri/anno) rispetto ad altri paesi europei, all'acqua minerale, attribuito ad un uso tradizionale ma anche a problemi di potabilità. Vengono segnalati problemi di disparità interne: in estate, irregolarità nella distribuzione possono arrivare a interessare il 30% della popolazione, concentrata nel Sud; mentre la Lombardia consuma 9 volte l'acqua minerale della Campania.

- In un paese che ha rinunciato per referendum alla produzione elettro-nucleare, sono noti i rischi dovuti alle radiazioni nelle zone ad alta radioattività naturale, per la presenza del radon nelle abitazioni in alcune zone del paese, per l'esposizione incontrastata ai raggi ultravioletti solari.

- Sono noti - e trattati in modo approfondito altrove - i gravi problemi che si incontrano nella parte meridionale della penisola per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti a causa della carenza degli impianti e della raccolta. I casi particolarmente gravi riguardano Napoli e la Campania, Palermo e la Sicilia, e la stessa Roma.

- Il fumo di tabacco è drasticamente calato, ma sacche di resistenza permangono fra le donne e i giovani. Ci si chiede se le sigarette elettroniche possano aver concorso alla diminuzione del fumo.

- Come già messo in evidenza più sopra, l'Italia gode di un'aspettativa di vita fra le più alte del mondo. Però, le differenze regionali al proposito sono notevoli: per gli uomini, l'aspettativa di vita è più bassa nell'affluente Nord che nel Sud, mentre per le donne è il contrario; comunque, la più alta aspettativa si riscontra nell'Italia centrale. Il tasso di mortalità è calato drammaticamente nel periodo 1970-1989, per le donne ancor più che per gli uomini, in contrasto con quanto si verificava in altri paesi. Come già ricordato, l'Italia esprime anche un tasso di mortalità infantile molto basso.

Più volte è stata posta la domanda se l'andamento insoddisfacente di questi parametri sullo stato di salute non siano dovuti ad eccessi nelle analisi cliniche richieste che potrebbero anche causare sovraccarichi nel sistema per le risorse sia umane che finanziarie: in effetti, alcuni studi recenti hanno indicato in fattori di questo tipo parte delle ragioni dell'aumento dei costi e delle assicurazioni (ad esempio, 86% tra il 2002 e il 2007), ma non si riesce a valutare se questo incida sulla qualità dell'intervento medico. Anche gli eventuali effetti secondari dovuti ad un eccesso di analisi diagnostiche non sono stati notati probabilmente a causa del miglioramento delle metodologie con una diminuzione dei dosaggi necessari (ad esempio, in indagini radiologiche o molecolari).

La sorveglianza delle malattie infettive in Italia è affidata al Centro Nazionale di Epidemiologia Sorveglianza e Promozione della salute dell'Istituto Superiore di Sanità. Il sistema di notifica, focalizzato in modo non esclusivo su una lista di 40 malattie, è regolato da un decreto del Ministro della sanità del 1990. Si applicano diverse decisioni della Commissione dell'Unione Europea (2000, 2003, 2007).

Malattie sottoposte a sorveglianza speciale sono: malattie batteriche invasive, HIV/AIDS, malattie sessualmente trasmesse, zoonosi, CJD, legionellosi (in strutture sanitarie, alberghi, ecc.), malattie a rischio di introduzione o diffusione nel paese, infezioni correlate all'assistenza socio-sanitaria, paralisi flaccida acuta, tubercolosi antibiotico-resistente, enteropatogeni.

L'Italia è dotata di un Istituto Nazionale per le Malattie Infettive "Lazzaro Spallanzani", che è un IRCCS (istituto di ricovero e cura a carattere scientifico). L'Ospedale Spallanzani fu inaugurato nel 1936 come presidio destinato alla prevenzione, diagnosi e cura delle malattie infettive, a Roma, in 15 differenti padiglioni in un'area di 134.000 metri quadrati. Nel corso degli anni, il campo di interesse ha seguito l'evolversi delle malattie infettive e della medicina. Una sezione dedicata alla cura e riabilitazione della poliomielite fu attivata nel corso degli anni '30. Nel 1970, l'epidemia di colera divenne una delle principali emergenze sanitarie, insieme alla salmonellosi e all'epidemia di epatite B, particolarmente collegata con le problematiche della tossicodipendenza. A partire dal 1980, l'ospedale è stato un dei maggiori centri per l'assistenza, la cura e la ricerca sulle infezioni da HIV.

Nel 1991, è stata avviata la costruzione di un nuovo e moderno complesso ospedaliero, con caratteristiche uniche in Italia di adeguato isolamento delle patologie contagiose. Successivamente (2001-2003), il Ministero della salute ha identificato lo Spallanzani quale polo nazionale di riferimento per il bioterrorismo, e per la sindrome respiratoria acuta grave (SARS). Attualmente, l’Istituto possiede: l’unico laboratorio italiano di livello di biosicurezza 4 e cinque laboratori di livello 3; una banca criogenica, dotata di un laboratorio di livello 3 per la manipolazione e la preparazione dei campioni da congelare. L'Istituto è in grado di intervenire sul campo anche in paesi esotici: in questo fa parte di un gruppo ristretto di laboratori di alcuni paesi. Se coordinato con i reparti militari impiegati in azioni internazionali, potrebbe costituire un presidio unico per le situazioni più difficili che eventualmente si presentassero. Le eventuali proposte ricorrenti di "tagli" ai finanziamenti e riduzione dell'impegno vanno quindi, a giudizio di chi scrive, vigorosamente combattute. 

Il 22 settembre 2013, Il Corriere della Sera ha dedicato, nella rubrica Dossier Medicina della propria sezione settimanale Corriere Sanità, un "paginone" sulle epidemie sotto il titolo "La Ecoprevenzione" e come articolo principale un pezzo su "Ecologia delle malattie: La nuova scienza per prevedere le epidemie" (a cura di Elena Mieli). L'iniziativa del Corriere è molto importante perchè pone all'ordine del giorno il rischio di epidemie, tradizionalmente trascurato finchè non si verifica, e quindi paragonabile, ad esempio, al rischio sismico. Il dossier attira l'attenzione del lettore su aspetti molto importanti: che qualsiasi attività possa essere all'origine di una emergenza sanitaria; che migrazioni (sia animali che umane) e trasporti moderni, favorendo la mobilità, aumentino il rischio di epidemie; che il fattore ambiente debba essere tenuto presente per il ruolo che può esprimere nell'insorgere di epidemie (ad esempio, per il cambiamento climatico, per la gestione del territorio con particolare riferimento alle zone paludose ed al dissesto idrogeologico), in maniera diretta o indiretta (tramite gli effetti che esercitano sulle popolazioni-serbatoio o sui vettori degli agenti biologici o ancora sulla stessa capacità di resistenza dei bersagli). L'attenzione su questi problemi è rilevante; d'altro canto, sul piano ecologico, non esistono dati probanti che il diminuire della biodiversità specifica e genetica abbia effetti sull'avvio di un'epidemia. Gli infettirologi pongono a 500.000 abitanti in un circondario la soglia in cui le malattie infettive si autosostengono come endemia e possono passare a fenomeni epidemici. Sembra semmai che sia la crescita della popolazione umana, l'apertura di nuove strade di comunicazione, la maggior possibilità di trasporti, a rendere la comparsa di epidemie più "facile" per la semplice ragione di un aumentato contatto inter-umano.

Chi scrive è rimasto quindi perplesso per alcune posizioni espresse esplicitamente o implicitamente nel dossier. In particolare, ha ritenuto perlomeno strano l'assenza di un accenno chiaro al ruolo delle vaccinazioni, proprio in una fase in cui vecchie accuse vengono rilanciate contro le vaccinazioni e contro gli antibiotici. Si tratta di accuse di sapore ideologico che niente hanno a che fare con la verifica del numero e della qualità dei vaccini e con un uso controllato e necessario degli antibiotici, e dove senza dubbio sarebbe necessario un approccio anche ecosistemico ma non fideistico. A conferma delle nostre perplessità concorre un articolo introduttivo (di Luigi Ripamonti) della sezione dove viene raccomandato che medici e ricercatori si dotino di cultura umanistica, secondo il dettato scienza + arte medica (ma non viceversa). In conclusione, è certamente vero che lo "sviluppismo" possa far male all'ambiente e questo possa concorrere a conseguenze in campo sanitario, ma è altrettanto vero che salute e durata della vita appaiano legati allo sviluppo che ci ha fornito strumenti di indagine e terapie per conoscere, prevenire e curare.

 

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*Nota: Articolo presentato il 02-05-2014, accettato il 15-05-2014.

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