Tags: Salute, Nucleare, Scienze

L’ONDA LUNGA DI CHERNOBYL

Radionuclidi alla cacciatora

di: F. M.


In 27 campioni di lingua e di diaframma, appartenenti ad una serie di campioni prelevati da cinghiali abbattuti durante la stagione venatoria 2012-2013 in Valsesia (Piemonte) alla scopo di condurre un’indagine sulla trichinosi, una malattia parassitaria dei suini, sono state riscontrate tracce di cesio 137, un elemento radioattivo. Il livello di cesio nell’intera serie variava tra 0 e 5.621 Bq/kg e 27 di questi presentavano valori superiore a 600 Bq/kg  (ad un successivo riscontro, uno dei campioni è risultato di un valore leggermente inferiore, attorno a 500 Bq/kg). Il valore di 600 Bq/kg corrisponde alla radioattività che, in base al Regolamento (CE) n. 733/2008 relativo alle condizioni d’importazione di prodotti agricoli originari dei paesi terzi a seguito dell’incidente di Chernobyl, non deve essere superata da tutti i prodotti, con l’eccezione di alcuni prodotti lattiero-caseari e dei prodotti destinati ai lattanti che richiedono il valore più cautelativo di 370 Bq/kg.

La notizia, anche se si riferiva ad un fenomeno non ben individuabile nel tempo, è stata ripresa dai mezzi di comunicazione ed ha destato qualche preoccupazione nell’opinione pubblica. Dopo le prime analisi, l’ARPA Piemonte e il Ministero della Salute hanno risolutamente scartato l’eventualità di perdite radioattive da impianti nucleari locali ed hanno attribuito la presenza del cesio alle ricadute al suolo all’epoca dell’incidente di Chernobyl nel 1986. Le ricadute furono intense durante le piogge nei giorni successivi all’incidente, in particolare nelle zone montane e pedemontane del nord-ovest del Piemonte. Situazioni analoghe si verificarono in vari tratti dell’arco alpino sul versante sud verso il territorio italiano. Il cesio radioattivo rimane negli strati superficiali del suolo (10-20 cm) per diversi decenni e si ritrova spesso in alcune specie di funghi e di frutti di bosco. E’ ben noto che la radioattività può ritrovarsi in erbivori selvatici come il capriolo e nel cinghiale che, com’è noto, al pascolo grufola in cerca di cibo, oltre che, in passato, negli uccelli che razzolano a terra.

In precedenza, un allarme per cinghiali radioattivi era stato dato in Germania e, in quella occasione, era stato posto il problema della situazione in Italia. L’evento  era stato anche preso a pretesto per una campagna di vendita di contatori Geiger in Italia da parte di una ditta tedesca. Il ministro della salute ha rassicurato la popolazione in merito ai cinghiali della Valsesia. D’altro canto, la rarità dell’uso di questi prodotti nell’alimentazione normale umana rende la situazione non preoccupante.   

E’ difficile calcolare quale possa essere la dose di radiazione a cui potrebbe essere stato esposto un consumatore di carne di questi cinghiali in quanto dipendente dalle relative quantità e tempi. A scopo puramente indicativo, si può dire che essa dovrebbe ricadere fra le dosi corrispondenti ad una radiografia toracica ed essere comunque inferiore alla dose annuale di un residente delle zone italiane ad alta radioattività naturale. Il valore della soglia di 600 Bq/kg è stato fissato evidentemente prendendo come riferimento prodotti alimentari di grande consumo.

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