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LA SOPPRESSIONE DEL MINISTRO PER LE POLITICHE EUROPEE

Un errore grave

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di: Beniamino Bonardi
Meno non è sempre meglio e l’ansia di ridurre i costi della politica può portare a scelte incomprensibili. E’ il caso dell’eliminazione, da parte di Matteo Renzi, del ministro degli affari europei, le cui competenze sono state trattenute dallo stesso presidente del Consiglio, coadiuvato da un sottosegretario. A differenza di quanto osservato dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, il problema non è se Renzi abbia o meno maturato sufficiente esperienza a livello europeo. C’è molto di più e riguarda sia la forma che la sostanza.



Renzi ha sottolineato come il suo esecutivo sia secondo solo al terzo governo De Gasperi, che aveva un ministro in meno e che restò in carica quattro mesi cruciali del 1947, quattro anni prima della nascita della Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Ma si tratta di un paragone privo di senso.

Oggi, larghissima parte della legislazione nazionale è di derivazione europea. Ad esempio, il Consiglio dei ministri del 28 febbraio, il primo dopo la fiducia del parlamento, ha approvato ben 16 decreti di attuazione di direttive europee, di cui quattro in materia ambientale. E’ evidente che una tale mole legislativa e attuativa richiede un confronto e un coordinamento tra i vari ministri ed è ben diverso se questo avviene tra pari o tra ministri da una parte e un sottosegretario dall’altra.

Lo stesso discorso vale anche per Bruxelles, dove al Consiglio degli affari generali dell’Ue e a quello della competitività, in cui avvengono le negoziazioni e gli accordi tra i vari governi in vista del Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo, noi e i nostri interessi saremo rappresentati da un sottosegretario, anziché da un ministro, anche durante il semestre di presidenza italiana. Al contrario, specialmente in una fase in cui la situazione italiana rispetto all’Europa è difficile, avremmo bisogno di difendere le nostre posizioni con la maggior autorevolezza possibile.

A cavallo tra Roma e Bruxelles, il ministro abrogato aveva anche la “delega all’esercizio delle funzioni relative all'adeguamento coerente e tempestivo, da parte delle amministrazioni pubbliche, agli obblighi dell'Unione europea, nonché alla conformità e alla tempestività delle azioni volte a prevenire l'insorgere di contenzioso”. Un compito non da poco, se solo si guarda all’entità delle procedure d'infrazione a carico del nostro paese, che attualmente sono 119, di cui 82 riguardano casi di violazione del diritto dell'Unione e 37 il mancato recepimento di direttive. Le procedure d’infrazione che riguardano materie ambientali sono 22, di cui 16 per violazione del diritto dell’Unione e sei per mancato recepimento di direttive. Ora, anche di questo, e dei costi connessi, si dovrebbe occupare direttamente il Presidente del consiglio, coadiuvato da un sottosegretario.

Che questa concentrazione di responsabilità presso la presidenza del Consiglio fosse inopportuna e inadeguata ci si è accorti più di un quarto di secolo fa, nel 1987, quando il Presidente del consiglio Giovanni Goria nominò per la prima volta un ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie, che successivamente ha cambiato nome e ampliato le proprie funzioni, rimanendo sempre una figura pressoché invisibile all’opinione pubblica, perché con funzioni molto interne agli organi istituzionali. C’è da sperare che questa assenza di visibilità induca presto il Presidente del consiglio a correggere quel che appare un errore grave e un danno agli interessi del paese.

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