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Il sistema dei controlli nucleari in Italia.

Una storia senza lieto fine

di: Roberto Mezzanotte
Dal CNEN (anni ’60) all’ANPA (1994), le attività di controllo sulla sicurezza nucleare in Italia e all’estero. L’attacco di oggi all’indipendenza dei controllori.


 

Quando, all’indomani delle elezioni politiche dell’aprile 2008, il nuovo governo di centrodestra lanciò il progetto di ritorno al nucleare come componente sostanziale del proprio programma energetico, tra i punti cardine fu posta l’istituzione di un nuovo organismo, dedicato alle funzioni di controllo sulla sicurezza. Tale organismo, l’Agenzia per la sicurezza nucleare, nacque, almeno sulla carta, nel luglio del 2009, quando fu promulgata la legge 99, che lo prevedeva.

Si è detto “sulla carta”, perché di fatto l’Agenzia non è praticamente mai nata. La sua operatività richiedeva una serie di adempimenti dei quali uno solo, la nomina dei vertici, ha visto la luce. Per il resto, a cominciare dall’assegnazione del personale e delle risorse e dall’emanazione del regolamento di organizzazione e funzionamento, il governo non ha mai provveduto. Si è giunti così al referendum abrogativo del giugno 2011, che non ha toccato le norme relative all’Agenzia ma, con la cancellazione del programma nucleare, ha modificato drasticamente il contesto nel quale essa era stata prevista, facendo crescere dubbi e riserve sull’opportunità di rendere operativo il nuovo organismo.

Non è stata quindi una sorpresa la decisione del governo Monti di sopprimere l’Agenzia, come uno dei provvedimenti per la riduzione della spesa assunti con il decreto-legge “salva Italia”. Purtroppo, insieme a quella decisione, il decreto-legge ne contiene un’altra, che invece, per i motivi su cui ci si soffermerà nel seguito, non può che essere giudicata in maniera del tutto negativa, quella di trasferire al Ministero dello sviluppo economico le funzioni di controllo già destinate all’Agenzia. In sede di conversione in legge questo errore è stato corretto solo in piccolissima parte, con un emendamento che, in via transitoria, assegna tali funzioni all’ISPRA – Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – lasciando però immutata la prospettiva finale del loro trasferimento al Ministero. Affinché il trasferimento divenga operativo è ora sufficiente che lo stesso Ministero dello sviluppo economico, d’intesa con il Ministro dell’Ambiente, emani un proprio semplice decreto dove vengano indicate le modalità organizzative con le quali, al suo interno, le funzioni di controllo verranno svolte.

L’istituzione dell’Agenzia per la sicurezza nucleare fu presentata come un fatto profondamente innovativo, come se in Italia prima di allora non fosse mai esistito un organismo incaricato dei compiti di controllo che caratterizzano un’autorità nazionale di sicurezza. Grazie a quella presentazione, il convincimento si fece strada anche presso parte dell’opinione pubblica interessata.

In realtà, i controlli sulla sicurezza e sulla radioprotezione sono stati istituiti in Italia, sia pure con i limiti inevitabili di quel tempo, sin dalle origini dell’impiego pacifico dell’energia nucleare e sono stati collocati, prima, all’interno dell’ente incaricato anche della ricerca e dello sviluppo di quella fonte di energia (CNEN e successivamente ENEA), dopo, all’interno dell’ente preposto alla protezione dell’ambiente, nato nel 1994 con la denominazione di ANPA, poi trasformato in APAT e infine in ISPRA.

Il CNEN – Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare – venne istituito nel 1960 e fu il primo organismo pubblico specificamente ed interamente dedicato alla nuova fonte di energia. Allora, non solo in Italia, l’indipendenza dei controlli di sicurezza rispetto alle attività di promozione della nuova fonte di energia non era stata ancora avvertita come un problema, tanto meno era stata in qualche modo codificata. Fu così che in tutti i maggiori paesi sorsero grandi istituzioni pubbliche per la ricerca e lo sviluppo dell’energia nucleare, alle quali vennero affidati anche i controlli di sicurezza e di radioprotezione. Questo avvenne anche in Italia con il CNEN.

In quegli anni in Italia l’energia nucleare aveva ricevuto un forte impulso. Tra il 1962 e il 1964 erano entrate in esercizio le prime tre centrali, quella di Latina - a suo tempo la più grande centrale europea - quella di Trino e quella del Garigliano, le quali, sebbene tutte di tecnologia di importazione, ponevano il Paese al terzo posto della graduatoria mondiale per produzione di elettricità da quella fonte, dopo Stati Uniti e Gran Bretagna.

È degli stessi anni la definizione del primo quadro legislativo per la disciplina del settore nucleare, costituito dalla legge n. 1860 del 31 dicembre 1962, ancora oggi in vigore con alcune modifiche introdotte successivamente, e dal DPR 13 febbraio 1964, n. 185, con il quale furono recepite le prime direttive comunitarie in materia di radioprotezione, emanate dall’Euratom nel 1959, e furono stabilite in dettaglio le procedure autorizzative per gli impianti nucleari. Il decreto affidava al CNEN funzioni generali di controllo, prevedendo tra l’altro che la vigilanza ispettiva venisse svolta da ispettori nominati dal presidente del Comitato, ai quali competeva la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria.

Negli anni ’70, quando in ambito internazionale, anche in connessione alla grande crisi petrolifera, si registra la massima crescita del numero degli impianti nucleari, si comincia a diffondere la consapevolezza della incompatibilità tra le funzioni di controllo sulla sicurezza e quelle di promozione, ricerca e sviluppo, e comunque con funzioni che implichino responsabilità di esercizio di impianti.

È del 1974 la legge che ha istituito, negli Stati Uniti, la Nuclear Regulatory Commission, affidandole i compiti di controllo già attribuiti all’Atomic Energy Commission, la quale li aveva sin lì svolti insieme alle funzioni di ricerca e sviluppo, funzioni che passarono invece all’ERDA, Energy Research and Development Administration, poi divenuta Dipartimento dell’Energia.

In Italia in quegli anni una simile separazione non avvenne. Ci si limitò a costituire all’interno del CNEN un’apposita unità addetta ai controlli, la Direzione per la Sicurezza Nucleare e la Protezione Sanitaria – DISP – alla quale si cercò di garantire per quanto possibile margini di autonomia e di indipendenza nell’ambito dell’ente attraverso alcuni provvedimenti organizzativi, in particolare con il collegamento tra il presidente e il consiglio di amministrazione dell’ente stesso e il direttore della DISP, escludendo quindi la dipendenza gerarchica dal direttore generale.

Un passo più ampio fu compiuto nel 1982, quando avvenne la trasformazione del CNEN in ENEA, con l’ampliamento dei compiti dell’ente alle fonti di energia alternative. Un’apposita legge stabilì che, per garantire l’indipendenza e l’autonomia della DISP, il Direttore venisse nominato con decreto del Ministro dell’industria, sentito il Ministro della sanità. Restava tuttavia il fatto che all’interno dello stesso ente continuavano a convivere il controllore e il controllato.

Dopo il referendum che, nel novembre del 1987, portò alla chiusura degli impianti nucleari, la questione sembrò non più attuale e perse di interesse, come ogni altro argomento collegato all’energia nucleare, nell’erroneo, diffuso convincimento che lo spegnimento delle centrali avesse risolto definitivamente ogni problema, mentre in realtà, pur se dimenticate, importanti questioni continuavano ad esistere, il decommissioning degli impianti e la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi che essi contenevano. Non sorprende quindi che, ad esempio, bisognerà attendere fino al 1995 perché venga data attuazione, con il decreto legislativo 230, a numerose direttive di radioprotezione che avrebbero dovuto essere recepite da anni, la prima delle quali risaliva addirittura al 1980.

Nel 1994, a seguito del referendum promosso dagli “Amici della Terra”, per svincolare dagli organi del Servizio sanitario nazionale i controlli ambientali, nella concezione di una loro necessaria autonomia, venne istituita l’ANPA - Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente. Ad essa la stessa legge istitutiva trasferì i compiti, le strutture e il personale dell’ENEA-DISP, che andò così a costituire il nucleo iniziale della nuova Agenzia.

Con quel trasferimento la legge aveva risolto due problemi: da un lato aveva assicurato all’ANPA le risorse necessarie per un’effettiva, immediata operatività, dal momento che il personale della DISP, allora quasi trecento unità, per quanto già ridotto rispetto all’organico raggiunto a metà degli anni ’80, prima della chiusura dei programmi nucleari, era certamente ancora sovrabbondante per le necessità dei controlli sul nucleare residuo e poté quindi essere in buona parte riorientato verso nuove attività dell’agenzia ambientale; dall’altro lato, per quanto attiene al nucleare, era finalmente avvenuta la netta separazione tra controllore e controllato, non essendo l’ANPA, a differenza dell’ENEA, esercente di impianti, e il nuovo ente di controllo nasceva inoltre indipendente da ogni indebita influenza derivante da esigenze connesse alla produzione. L’ANPA era infatti posta sotto la vigilanza del Ministero dell’Ambiente, e non, come l’ENEA, sotto quella dell’allora Ministero dell’Industria, amministrazione preposta appunto alle politiche della produzione.

Questo diverso “incernieramento” amministrativo dell’ANPA rendeva tra l’altro ininfluente un’altra caratteristica di per sé critica del sistema nucleare italiano, il fatto cioè che il potere autorizzativo per tutte le attività nucleari e di impiego delle sorgenti di radiazioni ionizzanti poste sotto la competenza statale fosse attribuito al Ministero dell’Industria, caratteristica ancora oggi in essere, fatta salva la sostituzione del Ministero dell’Industria con quello dello Sviluppo economico. A renderla ininfluente era l’indipendenza del parere dell’ANPA, parere obbligatorio e di fatto vincolante che la legge prevede come base per l’emanazione di ogni atto autorizzativo.

Nel 1994, quando l’ANPA venne istituita e le vennero affidate le funzioni di controllo sulla sicurezza nucleare, il principio dell’indipendenza di tali funzioni era già ampiamente diffuso e condiviso ed era previsto da specifiche linee guida emanate dall’AIEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica di Vienna, ma non costituiva ancora un obbligo di diritto internazionale. Lo è divenuto a partire dal 1996, quando entrò in vigore la Convenzione sulla sicurezza nucleare. L’obbligo è stato successivamente ribadito, in termini specificamente mirati alla gestione del combustibile nucleare e dei rifiuti, da un secondo trattato internazionale, la Convenzione congiunta sulla sicurezza della gestione del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, adottata nel 1997 ed entrata in vigore nel 2001. Entrambi i trattati, sottoscritti e ratificati dall’Italia e da tutti i maggiori paesi (alla prima Convenzione hanno aderito ad oggi 74 paesi, alla seconda 63), impongono agli stati contraenti di istituire o di designare un’autorità di controllo (regulatory body) e, rispettivamente, di assicurare la sua effettiva separazione da ogni altra organizzazione coinvolta nella promozione o nell’utilizzo dell’energia nucleare e di garantire l’effettiva indipendenza delle sue funzioni da quelle di ogni altro ente interessato alla gestione del combustibile irraggiato o dei rifiuti radioattivi o alla loro regolamentazione.

Va detto peraltro che il potere coercitivo dei due trattati è molto limitato: per gli inadempienti non è prevista nessuna vera e propria sanzione, ma unicamente un’azione di convincimento (peer pressure) da parte degli altri stati contraenti, azione che viene esercitata durante le riunioni triennali ove vengono discussi i rapporti che ciascuno stato è tenuto a presentare, descrivendo i provvedimenti presi per corrispondere ai diversi obblighi che le due convenzioni prevedono. Gli stessi requisiti di indipendenza dell’autorità di controllo sono stati sanciti, ma ovviamente con ben altro livello di cogenza per l’Italia e per gli altri stati membri dell’Unione europea, da due più recenti direttive, la direttiva 2009/71/Euratom e la direttiva 2011/70/Euratom, che vertono sulle stesse materie delle due convenzioni internazionali sopra menzionate.

In particolare, la direttiva 2009/71/Euratom  richiede agli stati membri di garantire che l’autorità di controllo sia funzionalmente separata da ogni altro organismo o organizzazione coinvolto nella promozione o nell’utilizzazione dell’energia nucleare, compresa la produzione di energia elettrica, al fine di assicurare l’effettiva indipendenza da ogni influenza indebita sul suo processo decisionale. Del tutto analoga, ma specificamente mirata alla gestione del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, la formulazione recata dalla direttiva 2011/70/Euratom.

L’assetto delle funzioni di controllo, con la loro attribuzione all’ANPA, rispondeva pienamente al principio di indipendenza sancito dalle direttive e dai trattati internazionali che lo Stato italiano era impegnato a rispettare. Tale rispondenza non era stata in alcun modo alterata dalle successive trasformazioni che l’Agenzia di protezione ambientale aveva avuto, prima, dal 2002, in APAT, quindi, dal 2008, in ISPRA, non avendo quelle trasformazioni modificato nulla del quadro delle competenze in materia di sicurezza nucleare e di radioprotezione originariamente trasferite all’ANPA, né dei suoi rapporti istituzionali con le amministrazioni e gli enti a diverso titolo operanti nel settore nucleare.

L’attualità vede l’ISPRA ancora impegnato nei compiti di supplenza che gli erano stati affidati. Sembra infatti che all’interno dello stesso governo che ne aveva voluto l’istituzione, l’Agenzia per la sicurezza nucleare non fosse da tutti considerata una priorità. Sta di fatto che i provvedimenti necessari per renderla operativa non sono mai stati emanati.

Nel dicembre 2011 il nuovo governo, impegnato in un sforzo di riduzione della spesa pubblica, ha preso atto che, nel contesto determinato dall’esito del referendum del giugno precedente, che aveva di nuovo chiuso le prospettive di sviluppo del nucleare in Italia, la spesa per la nuova Agenzia era da considerarsi superflua e pertanto, nell’ambito del decreto legge 201/2011, ne ha deciso la soppressione, probabilmente facilitato in questo dalle dimissioni che il presidente designato, prof. Veronesi, aveva rassegnato nel mese di settembre, per il suo limitato interesse verso i problemi del nucleare residuo, come la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, tutti ancora da sistemare, problemi peraltro di soluzione niente affatto semplice.

Ma la decisione del governo non porta, come si sarebbe potuto pensare, alla soluzione più ovvia e, tra l’altro, unica certamente a costo zero: la definitiva riassegnazione delle funzioni di autorità di controllo all’ISPRA, che, come detto, le sta nel frattempo ancora svolgendo. Il decreto legge stabilisce invece che le funzioni già destinate all’Agenzia siano incorporate dal Ministero dello Sviluppo economico, di concerto (qualunque cosa ciò possa significare) con il Ministero dell’Ambiente. Insomma, i controlli sui quali il Ministero dello Sviluppo economico era rientrato in modo indiretto, attraverso l’Agenzia per la sicurezza nucleare, vengono ora assunti dallo stesso Ministero direttamente.

Il contrasto con il principio di indipendenza e con i requisiti al riguardo stabiliti dalle direttive comunitarie è troppo evidente e si ha notizia che lo stesso relatore della legge di conversione stia predisponendo un emendamento che correggerebbe il tiro: le funzioni di controllo, anziché essere conferite al Ministero, verrebbero riattribuite all’ISPRA.

In realtà l’emendamento, nel contesto dell’articolo di legge in cui si inserisce (comma 20-bis dell’articolo 21 della legge 214/2011) dice tutt’altro, limitandosi in sostanza a disciplinare una fase transitoria. Ciò significa che il destinatario delle funzioni di controllo continua ad essere il Ministero dello Sviluppo economico, a cui esse dovranno essere trasferite (o, per dirla con le parole della legge, da cui dovranno essere  incorporate, di concerto con il Ministero dell’Ambiente); che per rendere operativo il trasferimento è sufficiente un semplice decreto del Ministro dello Sviluppo economico, d’intesa con il Ministro dell’Ambiente; che l’Ispra svolgerà quelle funzioni solo in via transitoria, cioè fintanto che non venga adottato il decreto ministeriale.

L’emendamento contiene anche un richiamo al rispetto delle garanzie di indipendenza previste dall'Unione Europea, rispetto che l’emanando decreto, nel definire l’assetto organizzativo con il quale le funzioni saranno svolte, dovrebbe assicurare. Sarà compito arduo per l’estensore del decreto dare attuazione a una legge che prevede l’incorporazione delle funzioni di controllo nel Ministero dello Sviluppo economico e, al tempo stesso, essere rispettoso delle garanzie di indipendenza richieste dall’Unione Europea, così come sarà difficile comprendere come quelle funzioni potranno essere svolte, in modo efficiente, di concerto tra due amministrazioni.

Come uscire dall’impasse? È possibile che si cerchi una soluzione di compromesso, ma non sarà facile trovarla, considerando che il principio di indipendenza è di per sé poco adatto alle mediazioni e che si parte da una situazione, quella attuale, che, come si è detto, a quel principio è pienamente rispondente. Già un arretramento sarebbe difficilmente giustificabile, e quello che la legge indica non è un arretramento, ma un vero e proprio capovolgimento. Sarebbe forse meglio allora rinunciare all’emanazione del decreto ministeriale e puntare direttamente a una revisione della legge, che garantisca già essa stessa quell’indipendenza dell’autorità di controllo che le direttive comunitarie richiedono. L’occasione potrebbe essere offerta, ad esempio, dall’attuazione della direttiva 2011/70/Euratom. Se così avvenisse, il sottotitolo di questa narrazione verrebbe smentito e la storia avrebbe un lieto fine. Altri lieto fine sono possibili, ma richiederebbero una forzatura del decreto ministeriale nei confronti della legge, e sotto questo aspetto non si potrebbe forse parlare di un lieto fine perfetto. Staremo a vedere.

Un’ultima notazione: dopo l’incidente di Fukushima, il Giappone, a quanto risulta unico paese tra quelli dell’OCSE ad avere l’autorità di controllo nucleare incorporata nel Ministero dell’Industria, ha avviato una riforma che porterà i controlli di sicurezza nucleare in un agenzia esterna al Ministero dell’Ambiente. Sarebbe paradossale se in Italia si compisse il percorso opposto.

 

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