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RISCHIO SISMICO, PREVENZIONE ZERO - REWIND

I terremoti si prevedono. Ma si dimenticano …

di: Mario Signorino
La classe politica, la classe dirigente e la società civile appaiono prigioniere di una stessa colpa collettiva, una sorta di “patto di desistenza” che, rifiutando la prevenzione, espone l’Italia senza difesa al proprio destino violento.


 

Quanti italiani sanno che nella sua storia l’Italia è stata colpita da almeno 30 terremoti distruttivi, di magnitudo intorno a 7, che hanno prodotto moltitudini di morti e rovine infinite? Quanti italiani sanno che in Italia, poco più di tre secoli fa (1693), un terremoto ha distrutto Catania, Siracusa, Ragusa, Modica e tutta la Val di Noto? Quanti italiani sanno che lì vicino, due secoli dopo (1908), un terremoto ha distrutto Messina e le Calabrie, ammazzando 100 mila cittadini? Quanti sanno che oggi, in Sicilia, lo splendore del barocco nasconde situazioni di estrema vulnerabilità? Quanti hanno sentito parlare dei terrificanti clustering che hanno colpito più volte la Calabria – 2 e addirittura 3 terremoti distruttivi in soli due mesi, prima nel ‘600 e poi a fine ‘700, mentre fra i due terremoti catastrofici del 1905 e del 1908 passarono solo 3 anni? Quanti conoscono i disastri successivi a Pompei?

Pochi, pochissimi; e ufficialmente nessuno. Perché se ufficialmente non si rimuovesse il problema, sarebbe difficile non fare prevenzione a difesa del nostro territorio. I disastri finiscono nel dimenticatoio per poter continuare a ignorarne la terribile minaccia, sperando che il prossimo Big One tardi al massimo e tocchi alle generazioni future. Così si spiega l’estrema modestia con cui è stato ricordato il centenario del terremoto di Messina del 1908.

Non ci sono alibi per la nostra inattività. Grazie agli studi condotti sugli eventi del passato, abbiamo tutte le informazioni che servono per decidere. Quegli studi ci predicono il futuro. Oggi siamo in grado di prevedere i terremoti e la loro entità, rimanendo oscuro solo il “quando”; possiamo valutare per ciascun centro abitato qual è il rischio a cui è esposto e qual è la sua vulnerabilità. Saremmo perciò in grado di limitare fortemente i danni. Il guaio è che non vogliamo assumere impegni importanti a lunga scadenza. Quel che avviene dopo ogni terremoto, la subitanea dimenticanza dopo i lamenti e le critiche dei primi giorni, è la prova che fare prevenzione sismica in Italia continua ad essere una missione impossibile. Sarà così anche stavolta.

Un vertice istituzionale che su questo problema capitale non dà risposte, se non di tipo strettamente emergenziale, scoraggia anche le iniziative politiche delle associazioni non governative. Vien voglia di smettere. A che serve chiedere a questo governo, come abbiamo fatto con quelli che lo hanno preceduto, qualcosa che non vuole o non può dare? In un paese come l’Italia, la prevenzione sismica non è una questione meramente tecnica, e neanche un problema di protezione civile (che infatti finora non l’ha affrontata): è un problema politico, di sistema, che richiederebbe un drastico cambiamento delle priorità di governo. Insomma, qualcosa che richiederebbe straordinarie capacità progettuali e di leadership.

Ma di ciò non c’è traccia, siamo anzi in una situazione d’indigenza, con una politica assente, che costringe a improvvisare scelte fondamentali – ad esempio, che cosa e come ricostruire, innovare o riprendere le tracce culturali del passato - nelle condizioni peggiori, nel vivo del disastro, senza alcun preventivo confronto approfondito.

È noto che le misure di difesa dai terremoti non fanno eleggere nessuno e spezzano anzi molte carriere politiche. E tuttavia sono un impegno a cui una classe politica degna non può sfuggire, se non riconoscendo di essere vecchia, parassitaria, incapace di buongoverno. Allo stesso modo, una classe dirigente e una società civile che non curano e proteggono il proprio territorio non sono degne di prosperare. Tutti questi soggetti sono prigionieri di una stessa colpa collettiva, una sorta di “patto di desistenza” che, rifiutando la prevenzione, espone l’Italia senza difesa al proprio destino violento.

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