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CONFISCHE PER MAFIA, EOLICO E LA RENDITA “GREEN”
Il malaffare
- di: Rosa Filippini
- I beni, le società e i capitali sono stati sequestrati in quanto apparterrebbero a mafiosi ma l’attività che ha permesso a questi mafiosi di cumularli è invece, perfettamente legale e rientra fra quelle, da tutti osannate, della “green economy”.
La più grande confisca di beni della mafia operata dalla magistratura (un miliardo e trecento milioni di euro) riguarda Vito Nicastri, il re dell’eolico da Roma in giù. Certo, la vicenda non autorizza a stabilire un’equivalenza fra installatori di pale, sostenitori dell’eolico e mafia. Ci mancherebbe, non ci piacciono le generalizzazioni e i continui bla-bla-bla sulle ecomafie. Anche perché, in questo caso, i beni, le società e i capitali sono stati sequestrati in quanto apparterrebbero a mafiosi ma l’attività che ha permesso a questi mafiosi di cumularli è invece, perfettamente legale e rientra fra quelle, da tutti osannate, della “green economy”. La sua speciale redditività è stata reclamata da interi parlamenti e confermata negli anni da tre diversi governi.
Dunque, le generalizzazioni non si possono fare ma, sulla politica energetica e ambientale, si possono dire molte cose che in troppi, nelle istituzioni, nei media e nella società, non vogliono sentire. Vediamole.
- Stabilire per legge incentivi che assicurano rendite miliardarie a produttori di alcune energie rinnovabili è un modo sicuro per favorire la penetrazione del crimine organizzato nei relativi comparti. Il ministro Clini, a pochi mesi dalla nomina, prima di convertirsi del tutto alla Green Economy di Edo Ronchi, aveva dichiarato in modo molto efficace: “Grazie agli incentivi questi produttori in questi anni hanno avuto rendimenti che neanche gli spacciatori di droga”. Dopo questa diagnosi, il Governo ha azzerato o indirizzato altrove gli incentivi? No, ne ha disposto di nuovi per gli stessi comparti fino a tutto il 2015 e per una durata di 15/20 anni.
- Sottrarre alla competizione del mercato la produzione di energia elettrica rinnovabile, stabilendo priorità di dispacciamento e obblighi di acquisto da parte del GSE, il gestore dei servizi di energia, anche per l’energia non immessa in rete, crea una classe di imprenditori irresponsabili, che non devono confrontarsi col rischio d’impresa ma hanno profitti assicurati dallo Stato per 15/20 anni. Anche senza evocare la mafia, questi privilegi sono particolarmente iniqui in periodo di grave crisi economica ed è odioso che siano trascurati dalla grande informazione, noti solo agli specialisti.
- Gli imprenditori dell’eolico e del fotovoltaico a terra sono convinti di essere inattaccabili in quanto protagonisti di una missione salvifica per l’umanità. Infatti, mentre tutta l’Italia subisce i ricorsi contro ogni tipo di opera pubblica o privata da parte degli innumerevoli comitati Nimby, queste imprese, nei pochi casi in cui qualcuno osa contestarle, possono contare sulla difesa di ufficio da parte di alcune fra “le grandi associazioni ambientaliste”. Proprio ieri, i responsabili di Legambiente di Abruzzo e Molise hanno reagito ad una sentenza del Tar del Molise contro un impianto offshore da 162 MW al largo di Termoli con queste parole vagamente minacciose:”È stata una scelta miope, quella delle amministrazioni che hanno fatto ricorso contro un progetto di energia pulita a 8 km dalla costa e ipocrita da parte di chi oggi si fa paladino dell'ambiente ma continua a dare autorizzazioni per villette e porti turistici che stanno distruggendo le coste abruzzesi e molisane". Come dire: siccome avete fatto villette e porti turistici, adesso beccatevi anche le pale e zitti!
- Non considerare con sufficiente attenzione il problema del consumo di territorio pregiato (montano o costiero nel caso dell’eolico, agricolo nel caso del fotovoltaico) ha contribuito a danneggiare in modo gravissimo il paesaggio e il patrimonio naturale di molte zone in Italia, in particolare nel Sud, dove le popolazioni dei territori marginali sono più indifese.
- La frammentazione delle società che operano nel comparto ha consentito alla criminalità organizzata di proporre con successo i propri servigi speciali nel controllo del territorio. L’imprenditore eolico (o fotovoltaico) quasi non esiste. In gran parte, pale e pannelli li importiamo; in Italia ci sono solo “sviluppatori”, “facilitatori”, installatori, venditori e acquirenti chiavi in mano. ”Palazzinari dell’energia” li definimmo qualche anno fa, agli inizi di questa storia, scandalizzando gli ambientalisti conformisti. Ora, dopo la notizia degli arresti, anche Legambiente Sicilia dice di aver sempre chiesto l’abolizione della figura dello “sviluppatore”. Deve averlo fatto a bassa voce però, perché non ce ne siamo accorti. Non deve essersene accorta nemmeno Legambiente nazionale, visto che di “sviluppatori eolici” è piena l’Anev, l’associazione dei produttori di energia eolica (compreso Oreste Vigorito, arrestato per associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata nel 2009 insieme a Nicastri, che non era ancora il re dell’eolico ma era avviato bene), con cui Legambiente continua a fare un’attività agguerrita di lobby e a sottoscrivere appelli pubblici congiunti. In uno di questi, il vice-presidente di Legambiente, Edoardo Zanchini, un paio di mesi fa, lamentava “effetti distruttivi” per il settore a causa delle nuove regole, appena più severe, decise dal Ministero per lo sviluppo economico: "Purtroppo è stato confermato quanto associazioni e imprese avevano detto con chiarezza ai Ministri Romani e Passera (…) Ora si deve cambiare sistema per dare un futuro all'eolico nel nostro Paese".
- Non aver interrotto con maggior decisione il flusso di incentivi che, già oggi, pesa sulle bollette per oltre 10 miliardi di euro all’anno, e aver invece concesso che il prelievo arrivi fino a 12,5 miliardi per i prossimi vent’anni, non ha placato le pretese dei paladini di eolico e fotovoltaico. Anzi. In un documento comune, in occasione delle recenti elezioni e della consultazione con il pre-incaricato Bersani, Legambiente, WWF e Greenpeace inducono anche Fai, Cai, e Touring Club a protestare che “nell’ultimo periodo si è messo mano agli incentivi per le rinnovabili in modo assolutamente sconsiderato, generando incertezza per gli investimenti e mettendo a rischio il settore”. Sono certa che Fai, Cai e Touring Club non avevano idea, al momento della firma, delle dimensioni e delle caratteristiche degli investimenti difesi con tanta foga. Ma, proprio per questo, non farebbero meglio ad essere più cauti?
L’invito alla cautela vale per tutti, innanzitutto per i media e le istituzioni che, dopo quello che è successo non possono più cadere dal pero di fronte alla sfrontatezza dei lobbisti. Il giorno dopo il sequestro dei beni di Nicastri, Mimmo Fontana, presidente di Legambiente Sicilia, in un video diffuso da “Repubblica TV”, ha dichiarato: “non siamo sorpresi, siamo semmai soddisfatti che la magistratura siciliana abbia individuato il pezzo più grosso del rapporto fra la mafia e le rinnovabili. Ora ci auguriamo che il governo Crocetta possa riprendere a investire e ad agevolare gli investimenti sulle rinnovabili in Sicilia”.