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ESPLORAZIONE DI MARTE

Delusioni e aspettative

di: Abel Calle*
Il pianeta chiamato Ares dai greci e Marte dai romani si nota per il caratteristico colore rossiccio. Parlare di Marte significa prendere in considerazione, secondo alcuni, la possibile presenza di vita e visualizzare come in uno specchio il nostro pianeta per intravedere il futuro della Terra. L’esplorazione di Marte è passata dalla delusione alle aspettative quando i dati raccolti dalle missioni spaziali hanno modificato le ipotesi di cosa potremmo trovare sul pianeta.Tanto più che i successi e le conoscenze guadagnate dall'esplorazione di Marte risiedono, per il momento, più che sui risultati, nell'approccio sviluppato per realizzare tale esplorazione.



Introduzione
Marte ha svolto un ruolo essenziale nella definizione del Sistema Solare secondo il modello copernicano e nella configurazione delle orbite dei pianeti secondo le leggi di Keplero. Marte è il quarto pianeta a contare dal Sole e l’ultimo di tipo terrestre. Il colore rossiccio deriva dall’abbondanza di sostanze ossidanti sulla superficie, esposta ad un’intensa radiazione ultravioletta (letale per gli esseri viventi). I suoi giorni sono temporalmente quasi identici a quelli della Terra e il pianeta presenta stazioni climatiche di tipo terrestre, come conseguenza dell’inclinazione di 25odel suo piano di rotazione (simile ai 25,5o della Terra) che provoca variazioni stagionali nelle sue calotte polari e nell’atmosfera.

Le osservazioni recenti indicano che nel passato acqua liquida scorreva sul pianeta in forma stabile, dato che sulla sua superficie sono evidenti letti lacustri secchi e antichi corsi fluviali. Per quel che riguarda la sua evoluzione geologica, non sembra essere tra i corpi più antichi del Sistema Solare, come lo sono Mercurio e la Luna, le cui superfici piene di crateri tuttora intatti mostrano che per tempi lunghissimi non si sono avuti fenomeni di modificazione della superficie stessa. Marte invece ha rinnovato la propria superficie per effetto dell’erosione, dell’attività vulcanica e dell’azione dell’acqua; il pianeta mostra tuttavia grandi crateri d’impatto. Attualmente, non c’è acqua liquida sulla superficie di Marte: la temperatura (in media -50oC) e la pressione (1% di quella terrestre) sono così basse che la sola acqua possibile può essere il vapore acqueo o il ghiaccio. Per il momento, non c’è evidenza conclusiva di molecole organiche.

Figura1. Mosaico di immagini riprese dal vettore orbitale Viking-1. Si noti il colore rossastro della superficie planetaria dovuto all’abbondanza di ossidi di ferro (foto della NASA).

Anche se Marte è il pianeta più visitato da mezzi costruiti dall’uomo, sia vettori orbitali che rover per esplorazione della superficie, non è il pianeta più interessante del Sistema Solare. Titano (satellite di Saturno) esibisce laghi di metano liquido; Tritone (satellite di Nettuno) è il terzo corpo del Sistema Solare con mari liquidi sulla superficie – in questo caso mari di azoto – oltre a Titano e alla Terra; Encelado (satellite di Saturno) e Europa (satellite di Giove) nascondono delle sorprese sotto una crosta gelata e piena di fessure. Ma Marte è il nostro pianeta vicino, che potrebbe essere abitabile e avere acqua in superficie, forse portato allo stato attuale da un drastico cambiamento climatico. Non è quindi del tutto azzardato ipotizzare che il destino del nostro pianeta possa passare per tappe simili a quelle di Marte o che il pianeta ci potrebbe fornire delle risposte circa l’evoluzione della vita. Sono tutte cose che giustificano l’interesse dell’esplorazione di Marte.

Questo interesse per Marte può riassumersi in tre domande chiave:

1) La vita si forma laddove l’acqua liquida è in condizione stabile o ci sono altre condizioni precise?

2) C’è vita su Marte?

3) Se la vita è apparsa su Marte, cosa è successo dopo?

 

Le aspettative.
La storia delle aspettative dell’osservazione di Marte comincia nel secolo XX, con le mappe della superficie del pianeta preparate da Giovanni Schiapparelli (1835-1910) che riportò tutta una rete di canali aggrovigliati sulla base di osservazioni che aveva condotto determinando le posizioni di Marte in opposizione e che sembravano ripetersi ogni 26 mesi. 


Figura 2. Giovanni Schiapparelli, in un francobollo commemorativo. Si noti sullo sfondo una delle sue mappe di Marte con disegnati i “canali”.

Successivamente, l’astronomo dilettante Percival Lowell (1855-1916) portò il significato del termine “canali” fino alle estreme conseguenze, pubblicando vari articoli sul New York Times dedicati alla vita su Marte; l’ipotesi non avrebbe superato lo stadio di aneddoto se Lowell non fosse divenuto un astronomo di prestigio come dimostrato dai suoi contributi alla teoria dell’evoluzione planetaria, dell’espansione dell’universo e dalla sua partecipazione alla scopertadi Plutone.

Figura 3. Percival Lowell (1855-1916) al suo telescopio.

In effetti, il secolo XIX si era mostrato, per quel che riguarda Marte, caratterizzato da una confusione completa tra scienza e letteratura. Tre anni dopo che Lowell aveva costruito il suo osservatorio, H.G. Wells pubblicava il suo famoso romanzo “La guerra dei mondi”, la cui versione radiofonica, prodotta da Orson Welles nel 1938 per la compagnia radio CBS, provocò un caos nella città di New York quando la popolazione, che si sintonizzava dopo l’inizio della trasmissione, credette sul serio ad una invasione marziana in atto.

Gli scienziati che hanno disegnato le più importanti missioni esplorative al pianeta rosso avevano tutti letto le “Storie di Marte “di Burroughs e le “Cronache Marziane” di Ray Bradbury.  Questo fatto è così vero che, il giorno prima dell’arrivo della missione Mariner-9 su Marte, si tenne una riunione all’Istituto Tecnologico della California a Pasadena tra Carl Sagan (ricercatore astronomo e uno dei responsabili, tra i vari incarichi, delle missioni Viking) e Bruce Murray (direttore in quel momento del Jet Propulsion Laboratory) e due famosi autori di fantascienza, Ray Bradbury e Arthur Clarke, e un giornalista, Walter Sullivan, editore scientifico del New York Times. Il motivo di una riunione così peculiare era di porsi in anticipo la domanda se si fosse adeguatamente preparati a quello che si sarebbe potuto incontrare su Marte. In ogni caso, la sensazione che si sentiva in quei momenti si può riassumere nella seguente frase di Murray: “In un certo qual modo, Marte si è esteso ed è rimasto ben oltre il regno della scienza, e si è così inserito con forza nelle emozioni e nei pensieri degli uomini da distorcere l’opinione scientifica riguardante lo stesso pianeta. Quindi, non ha solo colpito la mente popolare, che si è costruita un’opinione erronea in proposito, ma ha avuto effetti anche sulla mentalità scientifica. Si è diffuso il desiderio che Marte sia come la Terra. Esiste un desiderio profondamente radicato di incontrare un luogo altro dove poter cominciare di nuovo”.

L’esplorazione di Marte è legata all’astronautica, che è indispensabile al lancio e alla messa in opera delle missioni spaziali, delle stazioni orbitanti, dei laboratori di analisi e dei rover di superficie. Per questa ragione, può essere utile ricordare brevemente le origini dell’astronautica in quei paesi che vi presero parte attiva.

 

Le origini dell’astronautica.
Le origini di quella che nell’Unione Sovietica è stata chiamata cosmonautica si ritrovano in Konstantin Tsiolkovsky (1857-1935) che stabilì la formula fondamentale dell’astronautica, che oggi si insegna nelle università e che spiega il movimento di propulsione dei razzi. La sua opera “L’esplorazione dello spazio cosmico per mezzo dei motori a reazione”, pubblicata nel 1903, descrive per la prima volta la possibilità di viaggiare nello spazio extra-atmosferico per mezzo della propulsione di razzi ed il posizionamento geostazionario. Va poi ricordato Serguei Koroliov (1907-1966) che ha reso realtà la letteratura spaziale lavorando allo sviluppo di soluzioni ingegneristiche che permisero di arrivare al lancio del primo satellite artificiale, lo Sputnik, il 4 ottobre del 1957 dal cosmodromo di Baikonour in Kazakhstan, che segnò l’avvio della storia spaziale in tutto il mondo. Lo stesso razzo sviluppato da Koroliov, che venne utilizzato per lanciare Vostok-1, fu usato per mettere in orbita un mese dopo il primo essere vivente, la cagnetta Laika, e il 12 aprile del 1961 il primo cosmonauta, Yuri Gagarin, che poté orbitare la Terra a 327 km di altitudine. Si trattava di una tecnologia brillante, dato che ancora oggi il vettore più rappresentativo della Russia, la Soyuz, è soltanto una versione migliorata ma non molto diversa dal razzo sviluppato inizialmente da Koroliov. Si trattò di una partenza brillante da parte dell’URSS che segnava l’avanguardia dell’esplorazione dello spazio in un’epoca in cui la guerra fredda richiedeva una capacità di reazione rapida da parte degli Stati Uniti.

La necessità di accelerare lo sviluppo fu la causa di diversi incidenti americani(in realtà, sembra che ci siano stati incidenti anche gravi nel programma sovietico, ma non resi noti per ragioni di prestigio), come l’esplosione occorsa sulla piattaforma di lancio della missione Vanguard TV3, nel dicembre de 1957, che era programmata per collocare in orbita un satellite intorno alla Terra per determinare la densità atmosferica ed altre misure geodetiche. La rivincita scientifica da parte degli USA sarebbe arrivata con il lancio del satellite Explorer, nel gennaio del 1958, la missione scientifica che scoprì le cinture di radiazioni dette di Van Allen, il nome dello scienziato che, insieme a Von Braun come ingegnere dei razzi e Pickering come gestore del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, furono i responsabili dello sforzo americano nella conquista dello spazio.

Le origini dell’astronautica negli USA erano rappresentate da Robert Goddard (1882-1945) che si era impegnato fra il 1926 e il 1941 a lanciare in via sperimentale 34 razzi, che avevano raggiunto altitudini fino a 2,5 km. Il merito di Goddard fu, senza dubbio, di portare avanti gli sviluppi individuati in pratica senza finanziamenti (o con quelle poche risorse che gli fornì l’aviatore Charles A. Lindbergh, che aveva da poco condotto a termine la storica trasvolata da New York a Parigi). Goddard venne ridicolizzato da giornali di prestigio come il New York Times per la sua idea che, un giorno, un razzo avrebbe potuto muoversi nel vuoto spaziale. Le sue ricerche lo portarono all’impiego, per la prima volta, di combustibile liquido. Questo approccio fu così importante che a questo ricercatore, a cui è stato intitolato il Goddard Space Flight Center della NASA, vennero presentate pubbliche scuse sia pur con molti anni di ritardo.

Figura 4. Alcuni dei fondatori dell’astronautica.

Però, la storia dell’astronautica negli USA cominciò in effetti in Germania. Fu lì che Hermann Oberth (1894-1989) lanciò il suo primo razzo nel 1929. Oberth era stato il professore di Werner Von Braun (1912-1977), incaricato dello sviluppo delle bombe volanti V-2. L’invasione dellaGermania da parte degli Stati Uniti e degli Alleati, verso la fine della II Guerra Mondiale, aveva fra gli obiettivi quello di condurre in porto l’operazione Paperclip per il trasferimento di un nutrito gruppo di scienziati e di ingegneri guidati da Von Braun. Il gruppo poté lavorare felicemente negli USA, dove fu disponibile un finanziamento adeguato per i vari progetti e vennero ottenuti risultati storici con le missioni Apollo per la Luna e la costruzione della stazione spaziale Skylab – una priorità strategica per i fautori  del finanziamento appartenenti alla società civile.

 

Le prime missioni verso Marte:

Mariner-4                    1965   atmosfera marziana, immagini della superficie

Mariner-6                    1965   studio dei poli: diossido di carbonio

Mariner-7                    1965   intensa radiazione ultravioletta

Mariner-9                    1971   primo orbitale, importanti oggetti orografici

Come avrebbe detto poi Murray (direttore del JPL) alla riunione con la stampa: “Il ghiaccio secco (diossido di carbonio) ha dato la botta finale all’idea di un Marte simile alla Terra”.

Fig. 5. Immagini del Mariner-9, la prima missione che orbitò Marte nel 1971. Sopra: la caldera del vulcano Olympus Mons. Sotto: Valles Marineris che presenta vallette, crepacci e depressioni causate dall’erosione.

Al Mariner-9 si deve la scoperta dell’Olympus Mons nella regione dei grandi vulcani di Tharsis, che è il vulcano più alto del Sistema Solare, con un’altezza di 27 km; la Valles Marineris, un’incisione di 5.000 km di lunghezza e 11 km di profondità; la regione del Chryse Planitia, una intricata rete di canali intrecciati, prodotti da antiche inondazioni. Con queste osservazioni, il Mariner-9 modificò le aspettative dell’esplorazione di Marte: in effetti, Marte non è come la Terra, ma non sembra neanche simile alla Luna o a Mercurio: anche se possiede dei crateri, Marte presenta una superficie in grado di rinnovarsi.

 

Le missioni Viking e il dibattito sulla vita.
Il dibattito scientifico a proposito dell’esistenza di vita extraterrestre ebbe luogo in occasione della preparazione degli esperimenti a bordo delle missioni Viking. Il termine di “esobiologia” era stato utilizzato da Joshua Lederberg, Nobel per la medicina, per descrivere lo studio dell’esistenza della vita al di fuori della Terra e studiare il rischio di bio-contaminazione relativamente ai voli spaziali che potrebbero infettare con batteri gli ecosistemi nello spazio interplanetario o su altri pianeti. Un altro scienziato entusiasta di Marte, Carl Sagan (1934-1996), sostenne l’importanza attuale della ricerca di organismi viventi.

Ma chi ha offerto il maggiore contributo è stato il genetista Norman H. Horowitz (1915- 2005) che ha elaborato due concetti chiave: gli organismi viventi sono organismi complessi e, inoltre, possono riprodursi ed evolversi; evoluzione significa trasmettere le informazioni di carattere genetico, riprodursi, e anche essere in grado di trasmettere delle mutazioni, che è un fatto possibile grazie alla chimica del carbonio; infatti, questo è l'elemento in natura che è caratterizzato dal più alto numero di combinazioni possibili per formare composti chimici. Le missioni Viking comprendevano esperimenti per trovare la vita, ed Horowitz era stato l’ideatore di uno di quelli selezionati dalla NASA per essere realizzato. Si trattava di un “esperimento pirolitico” basato sull’impiego di C02 radioattiva in cui la radioattività funzionava come marcatore. Si sperava che microorganismi presenti nel terreno di Marte assimilassero la CO2 (l’atmosfera del pianeta ne contiene un 95%) e successivamente si sarebbe potuto monitorare campioni di terreno per verificare la presenza dell’isotopo radioattivo.

I Viking-1 e -2 arrivarono su Marte del luglio del 1976, dopo essere stati esposti a sterilizzazione per evitare di contaminare il pianeta con organismi terrestri, e portando tre esperimenti per la ricerca della vita. I risultati non furono conclusivi ma vennero trasmesse immagini della superficie marziana (Chryse Planitia per il Viking-1 e Utopia Planitia per il Viking-2) con un aspetto molto simile a quello dei deserti terrestri. Marte presenta una notevole differenza tra l’emisfero nord, caratterizzato da terre basse, ove predominano le pianure, e l’emisfero sud, delle terre alte, ove si trovano notevoli incidenti orografici. I Viking atterrarono in luoghi sicuri dell’emisfero nord, per evitare rischi per le missioni, ma queste non erano appunto le zone più interessanti di Marte a giudicare dai dati trasmessi dalle missioni successive.

In ogni caso, non va sottovalutato l’importante contributo dei veicoli orbitali Viking che aiutarono a stabilire la configurazione definitiva della superficie di Marte, ad approfondire la conoscenza delle regioni polari; la calotta polare nord, di dimensioni maggiori, contiene ghiaccio d’acqua e di diossido di carbonio. La calotta sud, molto ridotta, contiene solo ghiaccio di diossido di carbonio e sperimenta forti variazioni stagionali. L’ellitticità dell’orbita e l’inclinazione del piano di rotazione causano lunghe estati al sud e inverni freddi al nord. Lo studio delle variazioni stagionali ai poli dovrebbe fornire indicazioni rilevanti per la conoscenza dei cambiamenti climatici avvenuti su Marte.

 

Missioni orbitali.
La prima missione orbitale inviata su Marte ebbe luogo20 anni dopo quella dei Viking:

- MGS (Mars GlobalSurveyor)      1996     mappe tramite altimetro MOLA,                                                                       fotocamera: correnti fluviali secche

- Mars Odissey(ESA)                      2001     con un’orbita quasi polare e                                                                circolare

- Mars Express (ESA)                    2003     mappe minerali, metano

- Mars Reconnaissance Orbiter    2005     con HiRISE: analisi luoghi particolari

Fig.6. Immagine ottenuta con la fotocamera HSRC del MarsExpress+MDT (16 metri per pixel). Si nota un piccolo canale affluente di un canale principale; le tracce lineari sul fondo del letto fluviale mettono in evidenza gli effetti del ghiaccio e dell’erosione del suolo analoghe a quelle che si verificano sui ghiacciai della Terra. ESA/DLR/FU Berlin (G.Neukum).

 

Fig. 7.  Mars Express: movimento franoso in uno dei crateri più profondi. 

Fig. 8. Mars Express: cratere con diametro di 50 km nel Thaumasia Planum. Il “buco” centrale di questo cratere si formò a seguito di un’esplosione sotterranea; il calore trasformò in vapore l’acqua liquida o il ghiaccio sotterraneo. ESA/DLR/FU Berlin (G.Neukum).

Fig. 9. Mars Express: cratere di 35 km. Le alte formazioni sono prodotte da erosione in seguito a inondazioni di acqua. ESA 

Fig. 10.  MRO/HiRISE: Cratere “recente” contornato da calanchi che non esistono all’interno del cratere. Si tratta di un cratere di impatto con erosione verificatasi successivamente a causa dell’acqua. 

Fig. 11.  Lo HiRISE è uno dei sei strumenti di cui è munito l’RMO della NASA. 

I rover da esplorazione.
E’ sorprendente pensare che molti dei fenomeni più importanti di Marte sono stati riconosciuti analizzando meteoriti che si sono incontrate con la Terra provenienti da Marte. Più precisamente, sono noti 12 frammenti rocciosi catalogati come marziani; uno di questi, rinvenuto in Antartide nel 1984, ha permesso l’analisi di sostanze carbonatiche che possono formarsi solo in presenza di acqua. I relativi risultati, pubblicati su un numero della rivista Science (dal titolo “Ricerca della vita iniziale su Marte: possibili tracce di attività biogeniche nel meteorite marziano ALH 84001”, Science, 16 agosto 1996, 273: 924-930, n. 5277) stimolarono l’interesse sulla superficie di Marte suggerendo alla NASA di avviare il finanziamento delle missioni con i rover. Sembra che lo scambio di materiale fra la Terra e Marte sia avvenuto frequentemente nella storia dei due pianeti. Esso comprende più materiale da Marte verso la Terra a causa della minore gravità del pianeta; e alcuni ricercatori sostengono che non sia da scartare la possibilità che con questo materiale sia stata scambiata anche la vita.

Missioni con rover (veicoli da esplorazione):

- Mars Pathfinder con roverSojourner      1996 spettrometro X, Alfa e protoni

- Spirit (Mars Explorer Rovers)               2003 minerali in acqua liquida

- Opportunity (Mars Explorer Rovers)   2003 minerali in acqua liquida

E’ da notare che le missioni con i rover hanno fornito dati complementari a quelli ottenuti dai veicoli orbitali; l’obiettivo era l’identificazione di minerali associati all’acqua liquida: soprattutto carbonati, argille e sali. Questi composti non erano stati identificati dal Mars Global Surveyor e dal Mars Odyssey, mentre i veicoli orbitali avevano scoperto burroni recenti, litorali antichi e letti lacustri. In ogni caso, il materiale chiave erano le ematiti grigie, minerale che si forma in acqua liquida, in uno strato sottile e piatto che è possibile incontrare facilmente nelle regioni del cratere Gusev (per Spirit) e nella regione di Meridiani (per Opportunity), che potrebbero essere state entrambe i letti di grandi laghi.

Fig. 12. Sequenza di immagini per illustrare il coordinamento delle osservazioni ottenute con rover e con veicoli orbitali. In alto: immagine panoramica del cratere Victoria presa da Opportunity. Da sinistra a destra: 1. Alcuni strati geologici dello stesso cratere. 2. Immagine del cratere Victoria presa dalla fotocamera HiRISE del veicolo orbitale MRO in alta risoluzione spaziale; si è ricostruita la traiettoria di Opportunity per ottenere l’immagine a sinistra. 3. Roccia meteoritica precedente all’impatto che causò la formazione del cratere Victoria. 4. Disegno che illustra il rover Opportunity. 

Il Phoenix Mars Lander è stato un laboratorio che, lanciato nel 2007, ha operato sul suolo marziano (senza rover) per l’analisi geologica, posizionato ad alte latitudini dell’emisfero nord (68° nord), per studiare i cambiamenti stagionali nei poli durante l’estate marziana. Questa esplorazione ha osservato che, in inverno a queste latitudini, il diossido di carbonio forma una cappa di ghiaccio di vari centimetri di spessore sulla superficie (ghiaccio secco). In primavera ed in estate questa cappa si scioglie per sublimazione.

Il laboratorio Mars Science Laboratory Curiosity (2011-2012), ha studiato nel cratere Gale una montagna di 5 chilometri di altezza. I suoi strati raccontano la storia di Marte nel passato. Gli studi dall’orbita rivelano che gli strati sono formati da materiali diversi a seconda dell’altitudine. L’osservazione più interessante di Curiosity è stata quella che ha comportato la prima perforazione realizzata sulla superficie di Marte con una profondità di 6 centimetri, che è servita a comprovare che il pianeta non è rosso perché quando si scende sotto lo strato superficiale, dove abbondano gli ossidi di ferro, si raggiunge un terreno libero da ossidanti. Questo è stato un risultato che ha accentuato l’attesa per la futura missione europea Exomars, che nel 2018 porterà un trapano per arrivare a livello di 2 metri nel sottosuolo e analizzare gli strati in una regione dove non ci sono ossidanti e che è liberamente esposta ad una intensa radiazione ultravioletta in grado di eliminare qualsiasi resto di molecola organica. 

Fig.13. Curiosity: prima perforazione nella storia su di un altro pianeta: 6 centimetri. Non vi sono ossidazioni al di sotto dello strato fine superficiale (NASA/JPL-Caltech/MSSS).

Le cose che rimangono da fare.
Dopo tutte queste missioni che hanno dato e stanno dando risultati, vi sono quelle che, essendo fallite a causa di gravi incidenti in atterraggio, hanno reso necessarie ulteriori missioni. E’ stato questo il caso della Zond-2, Mars -2 e -3, dotate di sonde meteorologiche, nonché il caso del Mars-96, lanciato nel 1996, che rappresentò una grande perdita in quanto portava con sé due congegni di atterraggio dotati di sensori atmosferici e, cosa più importante, due penetratori lineari che avevano lo scopo di inserirsi nel terreno per 5 metri e realizzare analisi sub-superficiali. Imperdonabile fu la perdita del Mars Climate Orbiter nel 1999, dovuto ad un uso sovrapposto dei sistemi di misura internazionale e anglosassone. Similmente, andò perso nel 1999 il Mars Polar Lander, una sonda per l’analisi delle regioni polari; e lo stesso può dirsi per il Beagle-2, un sistema di atterraggio con il quale si perse il contatto proprio al momento in cui si accingeva ad atterrare; il Beagle-2 si trovava a bordo del veicolo europeo Mars Express.

Da ricordare infine il disastro della missione Fobos-Grunt, persa nel 2011 e che aveva in programma di ricerca su Fobos, uno dei due satelliti di Marte, per studiarne la superficie e riportare campioni di suolo tramite un modulo di distacco preparato a tal fine. Nell’interno di un apparato di 7 chilogrammi di peso, che era programmato dovesse ritornare, erano previste tre capsule con oggetti biologici, una per microorganismi, una per larve di moscerini e una terza per embrioni di crostacei e semi; in tal modo i ricercatori speravano di esplorare come questi organismi avessero sopportato il viaggio per Marte e il viaggio di ritorno per ottenere indicazioni circa la teoria della panspermia. 

Fig. 14. La Zond-2 fu lanciata in segreto il 30 novembre del 1964 due giorni dopo il lancio del Mariner 4. Fu una prova di successo per i motori a ioni e sorvolò Marte per 1500 chilometri senza inviare dati. Portava gli stessi sensori delle navi Venera che tanto successo avevano avuto raggiungendo la superficie di Venere. Da qui sono cominciati gli incidenti dell’URSS nelle sue missioni su Marte. 

 

Considerazioni finali.
Se prendiamo in considerazione le condizioni di abitabilità del nostro sistema solare, riscontriamo che il luogo più adeguato è occupato da Terra. Il forte effetto inverno su Venere a causa di una densa atmosfera di diossido di carbonio provoca un forcing radiativo del 96%, particolarmente alto se paragonato al 36% della Terra, che fornisce condizioni di abitabilità, mentre il 6% di Marte non permette temperature tali che l’acqua liquida possa presentarsi in forma stabile. Questa bassa densità atmosferica è anche la responsabile del fatto che la temperatura di una roccia illuminata dal sole possa essere di 20 °C mentre all’ombra risultare di -50 °C; con la conseguenza che l’inerzia termica necessaria per il mantenimento della stabilità alla superficie non esiste.

Nell’agosto del 2006, la IAU (International Astronomical Union) approvò la riformulazione della definizione di pianeta togliendo Plutone da una lista che tutti abbiamo imparato fin da bambini e generando in tal modo una crisi nella percezione del nostro sistema solare. Sembrava come se gli ultimi 50 anni di esperienza spaziale avessero eliminato delle componenti del nostro spazio esterno. Questa attualizzazione delle nostre conoscenze in materia planetaria ci ha fatto pensare che gli schemi di ricerca della vita extraterrestre non fossero definiti. Tanto più che si sono incontrati esempi di vita terrestre in condizioni fisiche e chimiche impensabili fino a questi ultimi anni come, ad esempio, le acque acide del Rio Tinto o i microrganismi annidati nelle fumarole vulcaniche sul fondo oceanico. Certamente la superficie marziana è colpita da radiazioni ultravuiolette e da effetti ossidanti che non favoriscono la vita; e quindi, la possibilità di poter analizzare dei campioni sotterranei, aumenta le attese per la futura missioni di Exomars.

E’ molto in uso parlare del futuro di Marte facendo riferimento ad una missione con equipaggio umano. E’ da tenere presente che gli stimoli scientifici non sono gli stessi che impone l’astronautica e che è opportuno prevedere un passo intermedio fra l’attuale stadio di esplorazione e le missioni con equipaggi umani. E’ altresì importante ottenere dei campioni marziani e trasferirli a Terra per le analisi opportune come era previsto per la missione Fobos-Grunt.

Il programma Apollo in generale, e la missione Apollo in particolare, rappresentano il paradigma di ciò che una missione umana può realizzare. Apollo ha messo in luce la necessità di tre pilastri indispensabili per ottenere un risultato adeguato: per prima cosa,applicare la strategia che il presidente Kennedy mise in atto quando appoggiò il programma con un finanziamento adeguato. Come seconda cosa, applicare fino in fondo la tecnologia che la NASA aveva inizialmente acquisito dal gruppo di Werner Von Braun e che questi aveva messo a punto in Germania per lo sviluppo delle temute bombe V-2. Il terzo pilastro è l’organizzazione della missione che oggi può essere programmata in tutte le fasi per via informatica. Infine, va considerata la preparazione psicologica dell’equipaggio. Quando questo avverrà, saranno disponibili e rodati veicoli orbitali e rover che permetteranno senza dubbio di ottenere dati, attesi o inattesi e sorprendenti.

 

Bigliografia

Paul Raeburn. Marte. National Geographic, Vercelli, 2003.
Giles Sparrow. Spaceflight: The Complete Story from Sputnik to Shuttle - And Beyond. DK, London, 2007.

www.esa.int
www.nasa.gov
www.iki,rssi.ru/eng/

Fig. 15. Mars Pathfinder: il sorgere del sole su Marte

 

* Nota. Affiliazione dell’autore: Dipartimento di Fisica Applicata, Facoltà di Scienze, Università di Valladolid. Articolo pubblicato inizialmente su Revista de Ciencias, novembre 2013, ISSN: 2255-5943. Traduzione di Francesco Mauro

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