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PERICOLI, PAURE, INFORMAZIONE SUI TUMORI E LE LORO CAUSE

Ma che cos’è questa epidemiologia?

di: Francesco Mauro
La relazione finale del gruppo di lavoro sui tumori in Campania, in particolare nelle province di Napoli e Salerno, e sulla loro relazione con lo stato dell’ambiente, con particolare riferimento allo smaltimento legale e illegale dei rifiuti, ha riaperto il dibattito sull’uso e sul significato dell’epidemiologia. La relazione conclude che “non c’è nesso causale accertato” tra tumori e rifiuti nei luoghi presi in considerazione, ma tale conclusione viene contestata da molte parti. In effetti, non è facile districarsi da queste problematiche: ruolo e metodi dell’epidemiologia, natura dei dati e ragioni della loro variabilità, modelli biologici e probabilistici per l’interpretazione della cancerogenesi, percezione del pubblico. La complessità dei fenomeni può aiutare a capire la discrasia tra il riconoscimento scientifico dei pericoli e l’emergere delle paure da parte del pubblico e dei decisori.


Tumori e opinione pubblica
Ancora una volta, a breve distanza dalla diffusione di dati che trattavano di tumori e ambiente umano (il caso dell’ILVA di Taranto), opinione pubblica, media e decisori hanno dovuto affrontare la questione della cancerogenesi indotta dalle azioni umane.

L’opinione pubblica è sensibilissima all’induzione di tumori, provata, sospetta o inventata, avvenuta o potenziale. Il cancro è una malattia che mette giustamente paura, anche se ormai da qualche anno è “solo” la seconda causa di morte nella popolazione italiana (la prima sono le malattie del sistema circolatorio). La paura è generale, anche se esistono grandi differenze biologiche tra tumore e tumore con riflessi sulla curabilità (dagli aggressivi e spesso intrattabili carcinomi dei polmoni e del sistema intestinale ai più controllabili carcinomi in situ e a gran parte di quelli del cavo orale); e anche se le percentuali di cura sono grandemente migliorate (fino a 40 punti percentuali negli ultimi 50 anni). Tant’è, i tumori - che li si chiami così, con il più arcaico “cancro” o con il più mascherato “neoplasia”, fanno paura.

Una delle ragioni di questa sensibilità è certamente il fatto che, nei paesi industrializzati, per diversi decenni l’incidenza dei tumori ha continuato a aumentare, per stabilizzarsi intorno al 1999. Sul perché di questi andamenti c’è discussione:

- allungamento della vita media e invecchiamento della popolazione (l’età media in cui viene oggi diagnosticato un tumore maligno è di oltre 65 anni),
- fattori genetici,
- miglioramenti nella strumentazione patologica e cellulare e quindi anticipazione e precisione della diagnostica,
- cambiamenti degli stili di vita,
- abbassamento delle difese umanitarie,
- maggiore esposizione agli agenti cancerogeni.

L’indagine sui tumori della Campania
L’8 gennaio, il Ministro della salute, Renato Balduzzi, ha presentato ad Aversa la relazione finale del gruppo di lavoro sulla “Situazione epidemiologica della Regione Campania e in particolare delle province di Caserta e Napoli (città esclusa) con riferimento all’incidenza della mortalità per malattie oncologiche”.

Il gruppo di lavoro era stato costituito nel luglio scorso dal ministro “per verificare la connessione tra l'incidenza della mortalità per tumore nell'area in questione e fattori ambientali, in particolare quelli relativi alla gestione dei rifiuti”. Il gruppo è stato costituito da esperti con curriculum adeguato, per la maggior parte appartenenti all’Istituto Superiore di Sanità, e con la collaborazione dell’ARPA Campania. A giudicare dalle loro pubblicazioni, questi esperti non solo sono in grado di esprimere giudizi indipendenti e competenti, ma mostrano anche una particolare prudenza in senso precauzionistico, una specie di “in dubio pro homine”. Se una critica c’è da fare, riguarda il mandato, chiaramente di origine politica, dove il riferimento ai rifiuti viene “imposto” dalla decisione ministeriale, quasi che non ci possano essere in Campania altre sostanze cancerogene importanti quanto o più dei rifiuti.

La relazione analizza il quadro epidemiologico attuale della popolazione campana per quel che riguarda l'attesa di vita, i tassi di mortalità, l'incidenza delle patologie tumorali e i relativi indici di sopravvivenza e mortalità, nonché gli stili di vita e i fattori di rischio comportamentali. Fedele al mandato, il documento si sofferma sulle problematiche connesse allo smaltimento dei rifiuti nella regione e sulle correlazioni tra specifiche patologie e l'esposizione ai processi di smaltimento.

Le conclusioni del gruppo di lavoro sono che “non c’è un nesso causale accertato, ma potenziali implicazioni sulla salute non possono essere escluse”.
La relazione nota che l'esposizione della popolazione ai rifiuti è in generale "di tipo indiretto (ed) è estremamente complesso valutare il ruolo che i rifiuti svolgono nel carico complessivo di inquinanti che può arrivare all'uomo, (ma) non si può ignorare l'alta percezione del rischio che la popolazione residente presso siti di smaltimento rifiuti avverte”.

Quindi, in questo caso, sia pur con prudenza e diplomazia, il gruppo di lavoro è stato chiaro nelle conclusioni. Gran parte della stampa ha riportato questa indicazione: ad esempio, pur titolando equivocamente “Tumori e rifiuti in Campania”, subito sotto, con caratteri ugualmente leggibili, si diceva “Non c’è nesso causale accertato”.

I seguenti punti della relazione meritano particolare attenzione:

- La situazione della salute della popolazione campana risulta in generale sfavorevole rispetto al resto d’Italia, anche se i tassi di mortalità per cause specifiche sono in diminuzione.
- L’attesa di vita alla nascita in Campania è di 77,7 anni per gli uomini e di 83,0 anni per le donne): valore inferiore di due anni rispetto alla Regione Marche, che ha il valore più alto d’Italia insieme con il gruppo formato da Umbria, Toscana, Emilia-Romagna, Trento e Bolzano (superiore a 80 anni per gli uomini e 85 per le donne, tranne l’Emilia-Romagna).Anche rispetto all’intero Sud la Campania ha un valore inferiore di un anno; ma tale svantaggio è presente da tempo e non risulta governato da una singola patologia o sottogruppo e quindi da esposizioni ambientali limitate geograficamente.
- La quota maggiore di mortalità è data dalle malattie del sistema circolatorio (40% circa); sono elevati anche i tassi di mortalità per malattie dell’apparato respiratorio, digerente e per il diabete mellito (quest’ultimo per le donne mostra una mortalità doppia rispetto alla media nazionale).
- Per i tumori maligni, negli uomini si osserva una mortalità superiore ai valori dell’intera Italia. L’eccesso è dovuto al contributo delle province di Caserta (per gli uomini) e Napoli (per entrambi i generi). I tassi di mortalità più elevati sono quelli per i tumori del fegato, laringe, trachea-bronchi e polmone, prostata, e vescica. A partire dal 1988, vi è un andamento decrescente della mortalità da tumori.
- Nella parte meridionale della provincia di Napoli e nella parte settentrionale di quella di Caserta si osservano concentrazioni territoriali (cluster) di eccessi di mortalità per cause oncologiche e di malformazioni congenite alla nascita.
- Buona parte degli eccessi per quel che riguarda i tumori sono ricollegabili a fattori di rischio noti e presenti nell’area considerata: soprattutto virus dell’epatite C e B e fumo di sigaretta.
- L’incidenza dei tumori si è stabilizzata dalla metà degli anni 2000 nell’uomo e dal 2000 nella donna, ad eccezione del carcinoma polmonare.
- La sopravvivenza al tumore a 5 anni dalla diagnosi mostra, rispetto ai risultati nel Centro-Nord, risultati meno buoni nel Sud Italia, particolarmente a Napoli (per un complesso di ragioni: differente composizione del campione per sede tumorale, scarsa precocità della diagnosi, difficoltà di accesso alle strutture sanitarie, carenza di standard, qualità dei servizi sanitario-ospedalieri, ecc.).
- A differenza delle altre regioni, vi è una riduzione della percentuale di persone che si ritiene in buona salute.
- Si riscontrano eccessi di sedentarietà, eccesso ponderale (fino all’obesità: per i bambini 28% in sovrappeso e 21% in condizioni di obesità, per l’intera popolazione 36% e 13%), fumo, aumento dei fattori di rischio cardiovascolare compreso il diabete mellito; l’unico fattore di rischio che andava diminuendo era il consumo di alcool, ma di recente l’entità di questa diminuzione si sta riducendo. Napoli e Caserta presentano una più alta prevalenza di sedentari, Benevento e Avellino una maggior presenza di persone in eccesso ponderale, fumatori a Napoli e bevitori a Benevento e Avellino.
- Non viene confermato un incremento di rischio di mortalità per tumori.

In conclusione, ne viene fuori un quadro certamente preoccupante rispetto a quello di altre regioni, ma probabilmente legato a un complesso di fattori: certo non solo rifiuti, e neanche solo fattori ambientali prodotti dall’uomo, il che non esclude affatto una loro presenza come concausa importante.

La presentazione delle conclusioni del gruppo di lavoro non è stata ovunque bene accolta. Il ministro Balduzzi è stato oggetto di contestazioni ad Aversa; critiche ed accuse di leggerezza si sono levate da diverse parti. Il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori ed i disavanzi sanitari, Antonio Pelagiano, ha dichiarato: “Il nesso tra patologie tumorali e inquinamento ambientale è purtroppo ampiamente dimostrato … l'aumento delle neoplasie legate alla dispersione nell'aria, nell'acqua e nel terreno di rifiuti tossici è esponenziale … gli studi medico-scientifici … confermano l'aumento del rischio di contrarre neoplasie in relazione all'accorciarsi della distanza tra abitazione e discarica abusiva”.

Tuttavia il disaccordo nell’ambiente scientifico è stato molto raro, rarissimo fra oncologi, tossicologi, e epidemiologi.

Difficoltà nella raccolta dei dati
La discordanza tra i risultati scientifici e le aspettative dell’opinione pubblica circa l’attribuzione dell’insorgenza di tumori ad una causa particolare non è nuova nel nostro come in altri paesi. Essa si articola in diverse situazioni che mettono “sotto accusa”:

- un agente considerato erroneamente come causale;
- un agente causale che non è però presente in una “dose” o “esposizione” tale da spiegare l’effetto osservato;
- un potenziale agente causale che è presente insieme ad un numero di potenziali concause tale da non permetterne l’individuazione come causale.

Una lista non esaustiva di esempi di questi casi è la seguente:

- Gli studi epidemiologici dopo l’incidente di Seveso con la diossina (1976) a tutt’oggi hanno dimostrato un aumento dei tumori del sistema linfatico e emopoietico con un rapporto tra i tassi di incidenza (rate ratio) da 1,94 a 3,17 a seconda della zona. Il numero assoluto dei decessi attribuibili a questi tumori nel caso di Seveso è molto basso, ma la diossina è uno dei più noti agenti cancerogeni e lo studio dell’incidente ha rappresentato l’inizio di una reale azione di controllo, prevenzione e individuazione delle responsabilità.
- E’ stato suggerito un aumento della mortalità infantile o interruzione dell’andamento a decrescere della mortalità infantile a livello globale come effetto del fallout dei test di esplosioni nucleari (Sternglass, 1963): questo dato non è mai stato confermato a differenza degli ampiamente provati effetti genetici e somatici (induzione di tumori) delle radiazioni ionizzanti dovute al bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, ai test delle Isole Marshall, ad esposizioni lavorative e mediche.
- A seguito dell’incidente di Chernobyl (1986), oltre agli effetti acuti con decessi nell’immediato, è stata osservata induzione di cataratta, tumori della tiroide e, forse (a livello non ancora significativo) leucemia infantile, ma nessun’altra patologia neoplastica. Da notare la presenza di un effetto non-radiologico: la “radiofobia” nei paesi dell’ex URSS. Nessun effetto sull’uomo è stato comprovato in Italia.
- A seguito della Guerra del Golfo, la posizione del consenso scientifico internazionale nega effetti dell’esposizione esterna all’uranio impoverito, dato che le particelle alfa compiono percorsi brevissimi e possono essere arrestate da un foglio di carta; viene accettata invece la possibilità di effetti nel caso di ingestione dovuta alla piccola quantità di raggi gamma a bassa energia emessi dalle tracce di uranio-235 ancora presenti.
- Organismi geneticamente modificati (OGM): non esistono indicazioni scientifiche di eventuale cancerogenicità.
- Radiazioni elettromagnetiche non-ionizzanti: il dibattito si è concentrato sulle radiofrequenze dei telefoni cellulari o delle stazioni emittenti (come Radio Vaticana), ma il consenso internazionale continua a negare che vi sia evidenza consistente e convincente di effetti non-termici sull’uomo, compresa l’induzione di tumori e di mutazioni.
- Per quel che riguarda le zone ad alta radioattività per cause naturali (comprese le aree in Lazio ed Umbria ove è nota la presenza del radon),
non è stato finora possibile individuare livelli significativi di danno biologico.

La difficoltà di attribuire alla sola ILVA i tumori osservati a Taranto è stata già discussa in un precedente articolo sul “l’Astrolabio” (http://astrolabio.amicidellaterra.it/node/289). Lo stesso dicasi per i tumori denunciati all’intorno di siti per lo smaltimento dei rifiuti (ad esempio, la discarica di Malagrotta).

Come regola generale, è sempre difficile riconoscere l’importanza relativa di un fattore in una situazione multifattoriale, o quando il fattore ha effetti indotti anche da altri fattori, oppure induce in contemporanea più effetti diversi o effetti complessi. D'altronde, lo spettro di agenti cancerogeni per l’uomo riconosciuti come tali, sospetti o potenziali, mostra un notevole grado di diversità e complessità fin dalla scoperta (1895) dei tumori della vescica dovuti alle amine aromatiche. Attualmente, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), afferente all’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), ha riconosciuto e descritto come definitivamente cancerogeni per l’uomo 111 agenti o gruppi di agenti, senza contare le categorie più ampie dei probabilmente e dei possibilmente cancerogeni.

La questione ovviamente può essere rovesciata prendendo in considerazione tumori che hanno origine da danno biologico attribuibile unicamente ad uno specifico agente con effetti noti e descritti. Alcuni casi tipici sono:

- Il mesotelioma maligno, che si sviluppa nella pleura, nel peritoneo, nel pericardio o nella tunica vaginalis, indotto quasi esclusivamente dall’amianto o comunque da materiale a fibre, tipica patologia occupazionale, non causato dal fumo di tabacco che però ne aumenta il rischio.
- Il melanoma indotto dai raggi ultravioletti, compresi quelli solari, in particolare negli individui di pelle chiara.
- I tumori ormono-dipendenti nella donna.

Il compito di analizzare le cause, il decorso e le conseguenze delle malattie spetta all'epidemiologia (dal greco επι= sul, δημος= popolo e λογος= discorso, studio) che si occupa dello studio della frequenza e distribuzione nella popolazione delle malattie e di eventi di rilevanza sanitaria. A questo compito collaborano la medicina preventiva, la medicina clinica, la biologia cellulare e quella molecolare che studiano in termini moderni la medicina su basi biologiche, la tossicologia, compresi i meccanismi d’azione. Il rapporto tra epidemiologia e tossicologia cellulare è quello che determina la capacità di riconoscere l’origine di una determinata neoplasia.

Svariati problemi rendono difficile l’epidemiologia, soprattutto riguardo l’omogeneità, la qualità, le dimensioni e in ultima analisi la comparabilità del campione analizzato, nonché la randomizzazione dei componenti il campione e la significatività delle differenze fra il campione d’interesse e quello di controllo o altri campioni. Non è possibile utilizzare correttamente l’indagine epidemiologica se non si affronta correttamente lo studio tossicologico e non si comprende “prima” il meccanismo d’azione.

Variabilità dei dati
Dati tutti questi fattori di rischio, variabili, modificatori dell’effetto e fattori confondenti, non sorprende che ogni tipo di tumore o ogni tumore di un certo sito tissutale mostri una penetranza diversa in diversi paesi, regioni, province o gruppi umani in qualche modo delimitati, e che tale variabilità si estenda alla letalità di un dato tumore o alla sopravvivenza a 5 anni.

In Italia, i dati per provincia non sono sempre del tutto disponibili; ancor meno, e meno aggiornati, quelli per comune. Senza contare che i comuni sono caratterizzati da superfici e popolazioni estremamente disomogenee, per cui nel caso delle grandi città sarebbe opportuno avere i dati per quartiere/circoscrizione/municipio). Le differenze sono consistenti: ad esempio, la provincia di Enna (19,7 per 10.000) ha circa la metà di decessi per tumore delle province di Lodi, Milano e Bergamo (28,8-31,2); e i primi posti di questa fortunata classifica sono quasi tutti di città del Sud.


Tasso standardizzato di mortalità per tumori per provincia (per 10,000 abitanti), 2006. Fonte: Istat 

Alcune conclusioni
Sul piano scientifico e su quello pratico, vanno ricordati due fondamentali contributi, anche se soggetti a continue verifiche. Il primo è il lavoro di Doll & Peto (1981), “The True Causes of Cancer”, che sovverte su basi sperimentali la percezione comune dell’importanza relativa delle cause del cancro, indicando nell’ordine di rilevanza (per gli USA, ma all’incirca valido per tutti i paesi industrializzati): al primo posto la dieta (35% del totale tumori) e il tabacco (30%), quindi infezioni, comportamento sessuale e riproduttivo, fattori occupazionali, alcool, fattori geofisici (3%, incluse le radiazioni ionizzanti, soprattutto il radon), inquinamento atmosferico (2%), altro, fattori genetici <10%. Pur correggendo le stime per il cambiamento globale/locale della situazione ambientale, l’ordine rimane sostanzialmente immutato.

Altrettanto rilevante l’osservazione di Ames & Gold (1997) che la grande maggioranza degli agenti naturali sono nocivi nei termini sopra descritti e che la maggioranza degli agenti nocivi usati dall’uomo sono di origine naturale (ad esempio, molti pesticidi, antibiotici, alcaloidi, farmaci, ecc.). E’ opportuno distinguere per gli effetti di questi agenti diversi livelli di fenomeni: cambiamento, danno, effetto nocivo (“harm”), detrimento, inattivazione, distruzione.

La complessità dei fenomeni, dai meccanismi di azione agli effetti tardivi, l’azione di agenti multipli, le interazioni, le diverse suscettibilità, rendono difficile l’individuazione di sostanze, limiti, effetti. I metodi dell’epidemiologia, della biologia cellulare e molecolare, della biofisica, possono aiutare a comprendere il quadro qualitativo ma al tempo stesso a confondere quello quantitativo. Si ritorna così all’origine delle raccomandazioni europee e internazionali: monitoraggi e valori non servono tanto a stabilire limiti invalicabili, quanto a segnalare l’opportunità di attivare meccanismi di controllo e processi di risanamento; l’atteggiamento pratico è che non c’è bisogno di una catastrofe per decidere di intervenire. E ancora: un super-agente responsabile quasi univoco di un danno osservato è teoricamente sempre possibile ma improbabile, mentre la variabilità, diversità e complessità sono sempre altamente probabili. Gli interventi devono essere prioritari, utili e mirati; in questo, i suggerimenti contenuti nella relazione del gruppo di lavoro possono risultare molto utili.

E’ chiaro che un quadro così complesso non è quello che vorrebbero i politici, i magistrati, i controllori, i comunicatori e il pubblico come singoli individui e come collettività, ma questi sono i pericoli: meccanismi d’azione probabilistici, sovrapposizione di effetti, nessi causali difficili da dimostrare, duro lavoro per decidere dove e come intervenire; il resto sono paure, che andrebbero controllate, anche mediante una corretta informazione e formazione e con una governance responsabile, non solo per non pigliare lucciole per lanterne e non creare allarmismi, ma anche per applicare laddove è più necessario conoscenze e risorse.

 

 

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