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Il dibattito sull’eolico a Creta
- La pubblicazione dell’articolo “Isole in cambio di debito” sullo sviluppo dell’eolico a Creta ed in altre zone della Grecia ha aperto un dibattito che è stato arricchito con contributi che costituiscono veri e propri articoli. Reputiamo che pubblicarli nella loro interezza sia non solo interessante ma doveroso, fermo restando che le posizioni espresse sono ovviamente quelle degli autori.
Commento inviato da Paolo Saraceno
(29 gennaio 2013). Gli articoli non mi piacciono perché sono qualitativi e non fanno confronti e danno un idea non veritiera della cosa. L’eolico si critica o si supporta in base al costo dell’energia prodotta e ai danni che fa. Numeri che gli articoli non riportano ma che ti mando. Per conto del ministero dell’ambiente ho partecipato ad una autorizzazione per un impianto eolico nel golfo di Taranto che produce energia elettrica a 3 cent il KWh, circa la metà di quanto costa produrla con la centrale a carbone di Brindisi. E’ insensato supportare impianti di questo tipo? In Italia se ne possono fare alcuni (non molti) ma vanno fatti. Immagino che Creta sia un posto ottimo, meglio l’eolico o usare il carbone o il gas? Perché in questi articoli non si fa mai un discorso comparativo? Cosa suggeriscono gli autori? Da velista che ha navigato tra le isole greche, non ho difficoltà a ipotizzare che l’intera domanda di energia elettrica di quelle isole possa essere soddisfatta con l’eolico, meglio i combustibili fossili ? Ancora ricordo la bella presentazione di Coiante dello scorso anno in cui si dimostrava che era possibile con l’eolico essere competitivi. Certamente l’eolico non è la soluzione, perché di siti buoni in Italia ce ne sono pochi e gli incentivi (sempre Coiante) non hanno aiutato a farli nei posti giusti, ma questa battaglia contro l’eolico, fatta a priori, con parole senza numeri, non è seria e non la capisco. Gli incentivi devono essere dati ipotizzando che in un tempo breve possano azzerarsi. Per l’eolico questo è possibile per il fotovoltaico no (quindi quegli incentivi sono soldi buttati) perché questa battaglia contro l’eolico e non contro il fotovoltaico? Infine per i danni agli uccelli ti allego questa figura presa da “sustsainable energy without hot air” in cui si vede che il numero di uccelli uccisi in Danimarca (mi pare 30 % dell’energia elettrica prodotta con l’eolico) sono:
- 30.000 dalle pale.
- 1.000.000 da autotreni (un numero analogo per gli impatti contro gli edifici e un numero ancora maggiore per gli impatti contro le linee elettriche per un totale di circa 5.000.000).
- 55.000.000 uccisi dai gatti (in effetti il numero è relativo all’Inghilterra, mancando quello danese, ma l’ordine di grandezza è quello, da possessore di gatto posso confermarlo).
In Italia la Lipu tiene sotto controllo alcune pale da anni e se ben ricordo una loro presentazione, hanno due soli casi attribuiti con certezza alle pale (del tutto trascurabili rispetto alle uccisioni nelle stesse zone dovute a rapaci, volpi ed altro).
Insomma quelle foto di uccelli morti sono terrorismo e disinformazione (non sarei sorpreso che fossero anche dei falsi…) non degne dell’Astrolabio.
Paolo Saraceno
Commento inviato da Francesco Mauro
(31 gennaio 2013) Mi dispiace che a Paolo Saraceno sfugga completamente la questione principale: il comportamento dell'Unione Europea e della Germania. E non voglio credere che gli piaccia andare in barca, a Mykonos, Delos o Castelrosso (Kastelorizo), in una selva di torri eoliche. Quanto ai numeri, ce ne sono pure troppi, non bisogna aspettare la catastrofe per avere più numeri ... E - se paesaggio e consumo di territorio non sono abbastanza - non dimentichiamo il problema dell'intermittenza. Non è colpa di nessuno se i combustibili fossili non danno intermittenza. Quanto agli uccelli, a me quelle foto non piacciono, ma mi pare scorretto accusare i greci di falso. Comunque, i commenti di Saraceno è bene che ci siano stati perché su queste cose bisogna discutere e riflettere.
Francesco Mauro
Commento inviato da Enzo Cripezzi
Sono Enzo Cripezzi coordinatore per Puglia e Basilicata della LIPU. Mi occupo, mio malgrado, di rinnovabili da quasi 15 anni e ho studiato circa un centinaio di progetti di questo genere, in gran parte eolici. Ho sentito l’esigenza di confrontarmi sull’argomento partendo dal commento che Saraceno ha proposto.
Credo che se davvero l’elettricità dell’eolico costi la metà di quella derivante da carbone (a Taranto poi, non in cima alle vette), non capisco perché le aziende non lo abbiano già fatto. Comunque, siccome credo che né io, né lei , né nessun altro siamo contro le rinnovabili, il problema, come afferma Antonello Caporale nel suo bel libro dedicato al tema (di cui suggerisco lettura... stia tranquillo non è "contro" l'eolico), è che le rinnovabili sono come “la pace”, tutti fanno a gara nel volerla e a volerla promuovere ovunque. Occorrono però patti e condizioni.
Lei afferma che in Italia si possono fare alcuni impianti eolici, ma le faccio notare che in Italia, al sud, ne hanno già fatti quasi ovunque e senza chiederci nemmeno il permesso.
Per sbaglio o per fortuna i “posti giusti” sono ormai occupati e sarebbe il caso di lasciarne qualcuno intonso, almeno a futura memoria, per mostrare un flebile ricordo di quello che era.
Qual è il risultato? Il 2,9% rispetto al totale di elettricità prodotta, l’1% se consideriamo tutto il fabbisogno energetico complessivo.
Ancora peggio quello della blasonata Germania che ha saturato i suoi siti eolici e, aggregando tutte le rinnovabili promosse al massimo, ha raggiunto il 10% del suo fabbisogno energetico e, appunto, adesso aggredisce paesi più deboli come la Grecia per imbottirli di pale e pannelli, oltre ad aprire nuove centrali a gas o a carbone per tentare di perseguire la fuoriuscita dal nucleare. Non si tratta di realizzare pale per alimentare l’isola di Creta ma di annullare una intera isola, e non solo quella, per schiavizzarla al servizio (energetico) di una piccola parte della terra ferma.
Vogliamo fare un paragone? Le 6.000 torri eoliche italiane per una potenza installata di 8.000 MW, occupano all’incirca 230.000 ettari (considerando solo l’intorno di 350 m e senza contare gli effetti paesaggistici ben più vasti). Di contro due impianti turbogas da 800 MW occupano solo 4-6 ettari di zona industriale producendo una quantità superiore di elettricità.
Se proprio volessimo perseverare nel campo delle rinnovabili elettriche, perché perseguire l’opzione eolica e non quella fotovoltaica per il nostro Paese? E per quest’ultimo aspetto, perché favorire pochi speculatori invece di tetti e coperture industriali di quelle distese infinite di urbanizzazioni e cementificazioni che hanno purtroppo distrutto buona parte del bel Paese? Il valore del territorio è o non è una componente da contabilizzare nei costi-benefici delle opzioni energetiche?
Oppure è sufficiente che siano fonti “pulite” perché siano automaticamente “ecocompatibili” senza dover rispondere a nessun altro requisito di allocazione territoriale? In proposito mi permetto di farLe notare che l’indignazione contro gli incentivi spropositati è da tempo maturata anche contro il fotovoltaico, anche grazie alla benemerita azione degli Amici della Terra e di poche altre sigle.
E infine veniamo anche alle statistiche sugli effetti a carico degli uccelli.
Intanto la Danimarca raggiunge il 20% di contributo elettrico da eolico (il 67% con carbone e gas, l’11% da biomasse). Però questa percentuale, propagandata indebitamente dalla lobby eolica, va relazionata al peso della nazione, paragonabile alla Lombardia! Esasperando il concetto potremmo dire che un impianto eolico da 100 MW produce il 400% del fabbisogno elettrico dello Stato di… San Marino.
Nello specifico degli effetti sull’avifauna, ciò dovrebbe entrare nei canoni di una valutazione di carattere ambientale e, come tale, non ha molto senso una valutazione di carattere comparativo di effetti che invece non sono alternativi tra di loro ma cumulativi, qualche volta sinergici. In altri termini gli effetti dell’eolico, peraltro non ancora diffuso ovunque come strade, abitazioni, gatti, ecc. si “aggiungono” a quelli esistenti e non sono alternativi o sostitutivi a questi. Si consideri poi la genesi strumentale di tali statistiche o “studi”, spesso nati da ricerche, come quelle sugli effetti diretti (collisioni) e indiretti a carico degli uccelli, redatti dalle stesse società energetiche presupponendo quanto meno un conflitto di interessi.
Pur tuttavia, anche in termini di paragone, si noti che le differenze dimensionali degli effetti derivanti dalle differenti cause (vetri, strade, gatti, ecc.) sono banalizzate da una lettura acritica poiché lo studio (se cosi si può definire) non tiene conto del valore conservazionistico attribuito alle specie interessate. In altri termini il 99% degli uccelli predati dai gatti è costituito da specie comuni come passeri, gazze, rondoni, corvidi, piccioni, ecc. e che hanno la capacità di ricostituire facilmente le popolazioni eventualmente danneggiate.
All’altro estremo gli impianti eolici, che incidono su aree rurali, spesso non ancora compromesse o comunque dalle buone potenzialità, spesso interessate da specie dalle popolazioni esigue in valore assoluto ma dal valore conservazionistico esponenziale e che di per sé hanno difficoltà a ricostituire popolazioni vitali, anche perché geneticamente “programmate” con un successo riproduttivo basso essendo al vertice delle catene alimentari. E’ il caso di uccelli rapaci, di cicogne nere, ecc. ma anche di chirotteri… e dei grifoni affettati in Spagna o a Creta.
E comunque documentati, lì come altrove, in maniera del tutto asistematica, poiché ci vorrebbero tecniche appropriate (e molti soldi) per monitorare continuativamente ogni pala. Infatti dopo un po’ ci si accorge che non ci sono più animali anche dove non si trovano carcasse sotto le pale perché abitudinariamente cani randagi, volpi, ratti, ecc. arrivano prima a nutrirsene rispetto ai fortuiti rinvenimenti di chi passa lì per caso.
Esiste poi una nutrita bibliografia (scientifica e indipendente), che documenta le collisioni causate da impianti eolici di Spagna, Germania, Stati Uniti, ecc., spesso a carico di specie rare o rarissime che ben poco hanno a che vedere con le statistiche prima accennate. Le immagini degli avvoltoi uccisi dalle pale, quindi, sono inconfutabili ma, se non bastasse, a questo link potrà vedere una fortuita sequenza videoche si commenta da sé.
Per completezza la LIPU non effettua un monitoraggio sistematico di tali effetti delle pale eoliche, né avrebbe la forza di farlo. I due casi citati sono circoscritti ad un solo impianto (uno solo) in Molise da cui sono pervenuti due nibbi reali, rinvenuti del tutto fortunosamente da parte di passanti e consegnati al locale Centro Recupero fauna Selvatica della LIPU del Molise, appunto, poi deceduti. Diversamente non si avrebbe notizia nemmeno di questi. Sui Monti Dauni, invece, questa specie è silenziosamente scomparsa e non c’è da sorprendersi.
A margine va aggiunto che non si tiene conto degli effetti indiretti, cioè della perturbazione che gli uccelli (ma in tal caso anche orsi, lupi e altre specie) subiscono per la possibilità di utilizzo spaziale del territorio, la cui omogeneità è occupata e frammentata dalle centrali eoliche e, per tale aspetto, anche da quelle fotovoltaiche.
Sarebbe opportuno che si prendesse atto che ci sono dei limiti a certe opzioni energetiche acriticamente favorite “senza se e senza ma” e che dovrebbe essere avviata una valutazione complessiva per orientare le esigue risorse verso nuove opzioni di lotta ai gas serra rimaste al palo per quanto attinenti a comparti ben più energivori (riscaldamento, trasporti, efficienza, ecc). In ogni caso, mi permetto di ribadire, la corsa alle fonti di energia rinnovabili rischia di rimanere una politica sterile, gridata a vantaggio di una lobby per poi ritrovarci domani con risultati esigui e un territorio vilipeso. Senza innovazione scientifica le fonti rinnovabili avranno un ruolo infinitesimo tra le fonti di energia.
Enzo Cripezzi
Commento inviato da Alberto Cuppini
Premesso che trovo sempre umiliante giustificare l'impegno contro l'eolico industriale, che appare destinato a coprire di aerogeneratori alti 150 metri (almeno per il momento) tutti i crinali appenninici (e anche Creta, a quanto pare), con argomenti "quantitativi" anzichè "qualitativi", proverò a fare due conti per valutare l'ordine di grandezza dei costi di questa tecnologia. Non c'è bisogno di essere precisissimi per confutare certe asserzioni inverosimili. D'altronde mi rendo sempre più spesso conto di questa necessità di dovermi esprimere in ogni ambito in termini di costi, rendimenti, efficienza ed opportunità in un'Italia dove la "qualità" di qualsiasi cosa, al di là delle sue conseguenze utilitaristiche immediate, viene sempre più spesso trascurata se non apertamente dileggiata. Con tutti i bei risultati che si vedono ma che, a quanto pare, non si comprendono.
Ma ormai c'è poco da fare, se non impegnarsi con le giovani generazioni per cambiare questa triste realtà: come diceva quel tale, la cultura (e la sensibilità e la morale e il senso estetico eccetera eccetera ) chi non ce l'ha, non se la può dare. A meno di non considerare "cultura" qualche tecnicalità, ancorché specialistica.
Partiamo da una grossolana, ma necessaria, semplificazione: fissiamo, in base all'esperienza di questi anni, i costi aziendali (sottolineo: solo costi aziendali) di un MW (Mega Watt) di potenza eolica installato in una zona montuosa o collinare italiana (dove si può meglio intercettare quel poco vento utile che c'è), in un milione e mezzo di Euro (grosso modo un milione per l'aerogeneratore e 500.000 per le altre spese). Anche il decreto governativo per i nuovi incentivi feed-in fissa, ai fini della determinazione delle garanzie patrimoniali per partecipare alle aste, come standard per le sole spese di impianto (pur sottostimandole), la cifra di 1.225.000 Euro al MW per l'eolico onshore.
Partendo dall'ipotesi di un milione e mezzo, si ricava facilmente che un MW eolico posto in un sito per il quale si ipotizza una produttività di 2.000 ore annue (siti rari ma non impossibili da trovare in Italia, ma ormai già ampiamente sfruttati, anche dove non si sarebbero potuto costruire simili impianti) e nell'ipotesi di una vita utile dell'aerogeneratore di 25 anni, come propagandato da molti costruttori, produrrebbe, in teoria, per 50.000 ore un'energia pari, di conseguenza, a 50 GWh e quindi al costo di 30 Euro al MWh (1.500.000 Euro diviso 50.000 MWh) o, se si preferisce, a 3 centesimi di Euro il kWh, più o meno come nell'esempio riportato (anche se questo riguarda addirittura un ben più costoso impianto offshore a Taranto, città evidentemente sfortunata).
Solo 3 centesimi, dunque: sarebbe bellissimo...
Passiamo ora ad una ipotesi più realistica, mantenendo l'ipotesi di un sito da 2.000 ore, ottimo per l'Italia ma in via di rapido esaurimento, ma considerando un ciclo di vita di 15 anni, prima di essere costretti a sostituire parti importanti dell'hardware per usura o incidenti: e dunque, rifacendo i calcoli come prima, 30.000 ore di produzione, cioè 30 GWh, per 50 Euro a MWh. Ancora discreto, almeno per il mercato italiano dell'energia elettrica, che è uno dei più cari al mondo.
Successiva approssimazione: consideriamo la produttività reale dei siti eolici italiani, che ormai si conferma abbastanza costante, se non addirittura in leggera decrescita, attorno alle 1.500 ore di produttività annue. Mantenendo costante la vita utile in 15 anni, si ottiene il risultato di 22.500 ore di produzione complessiva, quindi 22,5 GWh al costo di 66 Euro al MWh. E qui già siamo con costi sopra al prezzo di mercato dell'energia elettrica dell'inizio di gennaio (65 Euro al MWh). Ma non è finita.
La realtà, purtroppo, prevale sulla fantasia. Il più completo studio a posteriori finora dedicato all'argomento della produttività degli impianti eolici (vedi "Wind farm turbines wear sooner than expected, says study") ci dice che non solo la durata di 15 anni è un'ipotesi molto ottimistica, ma, quel che è peggio, la curva discendente della produttività è molto più accentuata e rapida del previsto, a maggior ragione per le macchine più grandi e per gli impianti in mare, per cui quei 66 Euro di costo valgono solo per una ipotesi di scuola (la produttività iniziale dovrebbe rimanere costante per 15 anni), inapplicabile alla realtà.
In base a queste considerazioni possiamo pensare che un medio sito italiano generi costi aziendali al MWh prodotto comunque superiori ai 100 Euro (10 cent al kWh).
E' perciò gravissimo che, chi ha partecipato ad un processo autorizzativo per un impianto eolico offshore (dove i costi, misericordiosamente, sono preventivati, almeno stando all'entità degli incentivi concessi, superiori del 50% rispetto a quelli onshore, sebbene anche in questo caso la realtà appaia persino peggiore (vedi "Gb: Governo sbaglia piani,eolico potrebbe costare 17 mld in più") possa sorbirsi la spudorata frottola, senza una minima verifica dei 3 cent di costo al kWh! Se non altro perché, se lo credesse davvero, dovrebbe chiedersi per quale motivo la collettività dovrebbe farsi carico di pagare degli incentivi, garantendo un premio feed-in, pari a sei volte ( ! ) il costo di produzione, ad un impianto che produce energia elettrica con costi che sarebbero la metà dei prezzi correnti di mercato.
E adesso passiamo ai costi (ingegneristici) non aziendali, ma che ricadono comunque sulla collettività e devono essere considerati in un'analisi, per quanto grossolana, dei costi dell'energia eolica in Italia. Ripeto: ai soli costi ingegneristici collettivi, non voglio parlare in questa sede, per evitare di maramaldeggiare, degli incentivi (indicati nelle bollette come "oneri di sistema"), diretti ed indiretti. E tanto meno dei costi (Dio mi perdoni!) "qualitativi". E limitarmi solo ai principali: i costi per rinnovare le reti (l'ordine di grandezza è quello dei milioni di Euro all'anno per i prossimi anni) che così come sono non sono adatte a supportare oltre un certo limite dell'energia non programmabile, ed i "costi di dispacciamento", difficili, sebbene non impossibili, da quantificare ma in deciso aumento nelle bollette da quando si è impennata la produzione da fonti intermittenti.
E qui, proprio parlando di costi di dispacciamento, casca l'asino. Definitivamente. Già avevamo raggiunto livelli di costo completamente fuori mercato in assenza di incentivi per un sito medio italiano, pur senza considerare le ingentissime spese per la rete; ma incontriamo ora un ostacolo molto più dirimente che i costi. Qui purtroppo sono costretto a parlare brevemente, e me ne scuso, di "qualità", che è comunque un'essenza, e non una trascurabile contingenza, di tutte le cose che, prima o poi, salta fuori anche in ingegneria ed in economia. La qualità dell'energia elettrica prodotta dalle fonti intermittenti (eolico e fotovoltaico) non è la stessa di quella prodotta dalle fonti tradizionali (termoelettrico, nucleare e grande idroelettrico).
Per questo è improprio fare paragoni (già sconfortanti in Italia) sui costi. Per questo, soprattutto, l'energia eolica e fotovoltaica non si può dire "alternativa". Oltre a causare instabilità alle reti e maggiori costi, non si è in grado di garantire ai consumatori, ed in particolare all'industria, la stabilità dei parametri elettrici. Più si aumenta la percentuale di fonti intermittenti, più la situazione si aggroviglia senza soluzione. Questo non vale certo solo per l'Italia: (vedi "Il colossale pasticcio delle rinnovabili elettriche in Germania secondo Der Spiegel.")
Purtroppo l'energia elettrica, per essere usata quando ce n'è necessità, si può spostare solo nello spazio (pur con severi limiti) ma non nel tempo.
Niente da fare: si potrebbe coprire Creta (anche il mare attorno, già che ci siamo, perchè, tanto, un mare vale l'altro e basta solo stare un po' più attenti con la barca a vela) di pale eoliche e pannelli fotovoltaici e quindi ottenere facilmente (prescindendo dai costi, ovviamente) non solo l'energia sufficiente ai consumi dell'isola, ma a quelli dell'intera Grecia, ma ciononostante sarebbe comunque necessario mantenere in funzione tutte le centrali a combustibili fossili esistenti sull'isola in funzione di back up, con i relativi sussidi (il capacity payment) da pagare anche in questo caso, per far sopravvivere questi impianti ma senza produrre. Che bel risultato! In Italia c'era bisogno di tutto tranne che di una pletora di generatori di elettricità non programmabile e quindi non affidabile.
Per questo il Professor Mario Silvestri, durante il dibattito culturale e parlamentare per determinare come sostituire le centrali nucleari italiane dopo Chernobyl ed il successivo referendum anti-nucleare, sebbene allora si ipotizzasse, in teoria, in assenza degli attuali aerogeneratori giganti in opera solo da una dozzina di anni in Italia, che la produttività dell'eolico italiano sarebbe stata di 3.000 ore (giusto il doppio di quella poi rivelatasi reale: complimenti a chi aveva fatto le previsioni!). In queste previsioni si affermava esplicitamente che era "penoso" anche solo parlare di eolico per garantire una fonte complementare di energia elettrica sicura per le esigenze del Paese. Naturalmente tutte queste obiezioni si attagliano, a maggior ragione, anche al fotovoltaico per quello che riguarda i costi di produzione. E' difficile però spiegare in termini di costi perché il fotovoltaico sui tetti degli edifici moderni e nelle aree industriali potrebbe andar bene e quello a terra nelle aree agricole no. Il fotovoltaico al posto dei vigneti e di altre culture va male (e l'eolico industriale in cima alle montagne perfino peggio) ANCHE per i costi, ma soprattutto per i soliti motivi "qualitativi" che pare non piacciano per ipotesi.
Trascuro, per l'eolico industriale, anche perché tanto ormai di fattori negativi di costo ne ho indicati già in abbondanza, i costi determinati dai mancati ricavi di tutte le attività economiche compromesse dall'eolico industriale e soprattutto la perdita del valore delle proprietà che vedono trasformarsi zone turistiche e silvo-agropastorali in terrificanti aree industriali deserte di operai. Evito altresì, lo ripeto, di parlare delle considerazioni ostative veramente importanti, perché "qualitative". Ma per tutti questi motivi, ad esempio, in Scozia si mette in dubbio l'opportunità di costruire impianti che potrebbero produrre per oltre 3.000 ore. Pensate: quei disgraziati scozzesi, di fronte alla salvezza del pianeta Terra che le loro pale garantirebbero, si preoccupano per degli incomprensibili "valori identitari"! Miserabili egoisti!
Per concludere, se tutto questo non bastasse, mi preme un'obiezione "quantitativa" all'eolico ed alle altre rinnovabili di portata ben più ampia. Il protocollo di Kyoto è stato sottoscritto nel 1997 per evitare che continuasse un'emissione mondiale di gas climalteranti allora giudicata ormai insostenibile. Dopo quindici anni di costosissimi sforzi, risulta che, da allora, tali emissioni, a livello globale, sono cresciute del 50%!
Ormai a credere all’efficacia delle politiche conseguenti a quel protocollo sono rimasti solo gli europei. E gli australiani... Gli altri, visti i risultati, e ammesso che ci fossero saliti, hanno abbandonato la barca.
E' ridicolo fare i primi della classe, menando vanto del raggiungimento dei propri obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni inquinanti (dovute soprattutto alla deindustrializzazione ed alla crisi economica) attraverso politiche autolesionistiche che producono il solo risultato di spostare le produzioni industriali, e la conseguente ricchezza, là dove sistemi economici sempre più competitivi ed insensibili ai problemi ecologici NON vengono supportati dall'elettricità prodotta da ... mulini a vento (!).
La cosa ormai non è più neppure seria, ma appare solo come l'ultimo atto di un tentativo europeo, iniziato esattamente un secolo fa, di suicidarsi in tutti i modi possibili ed immaginabili.
Cento anni fa l'Europa era la padrona del mondo. Molto presto, se la tendenza al declino in atto non verrà rovesciata rapidissimamente, non sarà neppure più necessario, almeno in Italia, preoccuparsi di emissioni climalteranti. Non potendoci più permettere il lusso di acquistare combustibili fossili, si ritornerà, per produrre energia, ai mulini a vento (quelli veri) ed a quelli ad acqua, come si era fatto per secoli. Ed all'uso degli animali per spostarsi e per produrre lavoro. E per girare le macine si ricorrerà di nuovo agli asini. Di essi c'è grande abbondanza nel Bel Paese (presto ex Bel Paese), specie dietro alle cattedre universitarie, tra chi non si è opposto, avendone le competenze e i titoli, a questa baggianata dell'eolico salvifico. Ma i titoli accademici non danno, evidentemente, il coraggio di sfidare i tabù del politicamente corretto, che oggidì garantisce fama, carriera, prebende varie e persino premi Nobel. E neppure, più semplicemente, di opporsi agli appetiti inconfessabili dei politici e delle loro (molte) clientele in questo settore. O forse si tratta solo di banale conformismo: parliamo comunque di ben altre tempre rispetto a quella del compianto Professor Silvestri e di altri della sua generazione...
Alberto Cuppini
per la Rete della Resistenza sui Crinali
http://reteresistenzacrinali.wordpress.com/