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IL NUCLEARE TRA PROMESSE E PENTIMENTI

Ripensaci, Giacomino!

di: Roberto Mezzanotte
In Italia, con il referendum del giugno 2011, la questione nucleare è definitivamente uscita dal dibattito politico (anche se il futuro governo dovrà occuparsi di problemi ancora irrisolti, dalla realizzazione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi alla definitiva attribuzione delle funzioni di controllo). In altri paesi è invece al centro delle agende di governo e anche delle campagne elettorali.


 

La scelta nucleare è divenuta ormai terreno di confronto politico anche in paesi dove fino a qualche tempo fa essa era largamente condivisa e non costituiva elemento di sostanziale divergenza tra i programmi dei diversi partiti o dei candidati al governo.

In tal senso Francia e Giappone, sia pure in modo diverso, rappresentano due chiari esempi. In entrambi i paesi le centrali nucleari sono divenute nel tempo una componente importante o addirittura dominante nella produzione di energia elettrica, con quote che nel paese asiatico, prima dell’incidente di Fukushima, avevano raggiunto circa un terzo della produzione complessiva, con l’obiettivo di incrementare tali quote fino al cinquanta per cento entro il 2030;la Francia, come è noto, detiene il primato mondiale della quota di produzione di energia da fonte nucleare, con circa i tre quarti del fabbisogno elettrico coperti dai suoi cinquantotto reattori.

In Giappone, l’incidente alla centrale di Fukushima, avvenuto a seguito del terremoto e dello tsunami del marzo 2011, aveva profondamente inciso sul generale consenso di cui sino ad allora l’energia nucleare aveva goduto. Yoshihiko Noda, capo del governo progressista guidato dal partito democratico, che nelle elezioni del 2009 era riuscito ad interrompere il lungo dominio del partito liberaldemocratico, dopo l’incidente aveva promesso un graduale disimpegno dal nucleare e, per l’immediato, aveva richiesto che per tutte le centrali venissero effettuati “stress test” che dimostrassero almeno la resistenza ai più gravosi eventi sismici e di tsunami. Questa condizione ha portato ad una sostanziale sospensione della produzione di elettricità da fonte nucleare, poiché i reattori che via via venivano spenti per soste programmate non sono stati riavviati in attesa di essere a ciò autorizzati alla luce dei risultati degli stress test. Tra il 5 maggio 2012 – data dello spegnimento del rettore n. 3 della centrale di Tomari – e il successivo 1° luglio – quando è iniziata la procedura di riaccensione del reattore n. 3 della centrale di Ohi – tale produzione è rimasta totalmente azzerata, sostituita da forti incrementi nell’importazione di GNL, di carbone e di petrolio.

Sotto il governo Noda vi è stato anche un importante mutamento dell’organizzazione dei controlli di sicurezza, con l’istituzione di una nuova agenzia, posta nell’ambito del ministero dell’ambiente, che dal settembre scorso ha sostituito nelle funzioni di controllo il soggetto cui tali funzioni, in evidente conflitto con il principio di indipendenza dell’autorità di sicurezza, erano state sino ad allora affidate, una direzione del ministero dell’industria.

Le elezioni che nel dicembre scorso hanno rinnovato uno dei due rami del parlamento giapponese,la Camerabassa, hanno però visto il largo successo del partito liberaldemocratico, guidato da Shinzo Abe, il quale è quindi diventato il nuovo capo del governo.

Abe non ha mai nascosto di essere decisamente favorevole all’energia nucleare e alla costruzione di nuovi reattori. In un recente discorso di fronte al Parlamento ha affermato che l’economia del Giappone non può fare a meno delle centrali nucleari, anche se queste dovranno essere rese più sicure. Del progressivo disimpegno promesso dal precedente governo non se ne parlerà quindi più.

Tuttavia il ritorno al nucleare dovrà ora fare i conti con la diffidenza verso quella fonte di energia che nel frattempo si è diffusa tra la popolazione e tra gli stessi governi locali. È pertanto probabile che sino al prossimo appuntamento elettorale, quando in luglio verrà rinnovata parte della Camera alta, il nuovo governo manterrà un atteggiamento prudente, senza in particolare spingere sulla riaccensione dei reattori ancora spenti.

Il governo francese si trova in una situazione in qualche modo opposta. Durante la campagna elettorale che lo ha visto confrontarsi con il Presidente Sarkozy, François Hollande ha promesso una riduzione, entro il 2025, della quota di energia elettrica di origine nucleare fino al cinquanta per cento. Perla Francia, che per quaranta anni ha puntato sul nucleare non solo in termini di produzione di energia, ma con la più complessiva costituzione di un forte sistema industriale, il mantenimento di quell’impegno richiederebbe uno sforzo tutt’altro che trascurabile, se non anche il sacrificio di investimenti compiuti.

Di fronte a queste difficoltà, c’è chi pensa che la promessa elettorale sia destinata ad essere progressivamente dimenticata, altri ritengono che potrà invece essere ridimensionata, attraverso un’opportuna interpretazione dell’impegno assunto: non si tratterebbe di incidere direttamente sulla quantità di energia generata dall’atomo, riducendola, ma di aumentare, nel mix energetico nazionale, la quota di energia elettrica, spingendo ad esempio sul riscaldamento elettrico, e lasciando così di fatto almeno immutata la produzione di origine nucleare.

Comunque vada, un fatto sembra ormai certo: anche in Francia il nucleare non è più un mito intoccabile e il rettore in costruzione in Normandia, che dovrebbe entrare in esercizio alla fine del 2016, potrebbe a lungo rimanere l’ultimo.

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